Recensione di Sabrina De Bastiani
Autore: Olivier Truc
Traduttore: R. Fontana
Editore: Marsilio
Collana: Farfalle
Pagine: 495
Genere: Giallo
Anno di pubblicazione: 2018
SINOSSI
“Il terzo episodio di una serie crime sorprendente: la Lapponia non è più la stessa da quando Truc ha cominciato a raccontarla” – Le Figaro
L’inverno è alle porte tra i pascoli di renne all’ombra della Montagna rossa, nella Lapponia svedese. Sotto una pioggia che scende incessante da giorni, gli allevatori del clan Balva devono completare la soppressione annuale del bestiame, prima che la tundra si copra di ghiaccio e neve, e parallelamente difendere dinanzi alla corte suprema il diritto alla terra dei sami, il popolo lappone, contro le rivendicazioni dei proprietari dei boschi. Ma il rinvenimento di uno scheletro umano senza cranio cambia le carte in tavola, costringendo il capo del Balva, Petrus Eriksson, a contattare la polizia delle renne per l’identificazione. Non si tratta di un’indagine di routine per Klemet Nango e Nina Nansen: i primi rilievi mostrano che le ossa risalgono al Diciassettesimo secolo, e se appartenessero a un uomo sami potrebbero essere la prova di una presenza ancestrale del suo popolo nella regione. Un popolo sempre più emarginato e condannato all’estinzione, vilipeso dal razzismo e ridotto a elemento di folklore, senza memoria né futuro. Un popolo il cui destino ricorda quello delle vittime dei nazionalismi novecenteschi, ma anche quello dei rifugiati di oggi, nomadi per necessità alla ricerca di una vita migliore. Agli agenti Nango e Nansen spetta il compito di immergersi negli archivi di storici e antropologi, nelle collezioni di antiquari e musei, per illuminare i meandri di una storia di odio e sopraffazione che le istituzioni svedesi vorrebbero cancellare. Tra misuratori di crani e ladri di vestigia aborigene, massaggiatrici thailandesi e ambigue giocatrici di bingo, nel cuore di montagne incantate e foreste senza fine, la pattuglia P9 della polizia delle renne dovrà scoprire la verità e allo stesso tempo restituire dignità alla gente della tundra, dalla cui vita in armonia con la flora e la fauna del Grande Nord il nostro presente miope ha tutto da imparare.
RECENSIONE
In un incubo ancora peggiore, erano le montagne che sputavano torrenti gonfi e rossi. Si era chiesta se la Montagna rossa si fosse guadagnata il nome a quel modo, se qualcun altro prima di lei avesse avuto lo stesso incubo.
Con la terza avventura della pattuglia P9 della polizia delle renne, “impersonata”da Klemet Nango e Nina Hansen, Olivier Truc si presenta al suo meglio, consegnandoci una storia densa di pathos e allo stesso tempo un’ indagine dinamica, serrata, molto moderna, pur muovendo passi e motivazioni da un passato che non sarà mai abbastanza remoto.
Dello stile di Truc, ritroviamo la meraviglia delle descrizioni del territorio lappone, questa volta intarsiato nella cornice di un autunno di pioggia, che promette a breve una tundra di neve e ghiaccio; la resa perfetta, quasi ritmico/musicale, dell’alternarsi dei giorni scandendone lo scorrere nella misura delle ore di luce; la finestra, sempre aperta, sul mondo degli allevatori di renne, impegnati in questa occasione a sacrificare, sopprimendolo, una parte del bestiame prima dell’arrivo dell’inverno, e a continuare la loro “battaglia” per difendere i propri diritti sulle terre e quelli umani di popolazione autoctona.
Ma in questo terzo capitolo, a ben vedere, c’è molto, molto di più. Gran ritmo, tensione, originalità nelle tematiche, un’indagine criminale che diventa storica, scenari emotivi che cambiano completamente, ma soprattutto una decisa “crescita” dei personaggi e del rapporto tra i protagonisti.
Molti sono i piani e le chiavi di lettura su cui soffermarsi, partendo dall’indagine criminale, alla quale non sono lesinati colpi di scena, continuando con un quadro storico contemporaneo e passato della popolazione Sami, fino alle discriminazioni razziali e agli abusi perpetrati in nome di una razza superiore.
Ciascun lettore che si accosti a questo libro sarà inevitabilmente più attratto da un aspetto piuttosto che da un altro, ma lungi dall’essere un calderone di troppi elementi, “La Montagna rossa” è un noir perfettamente e sapientemente dosato e risolto che diverte, intriga e fa pensare. E conoscere.
Scelgo di non dilungarmi sul versante crime del libro, perché è un piacere che non va guastato ma gustato.
Preferisco, perché il libro lo consente e lo stimola, focalizzarmi sui personaggi relativamente alle tematiche affrontate.
Ecco allora come l’indagine sul ritrovamento di ossa umane, condotta da Klemet e Nina, mette in evidenza e dà spazio di espressione alla sana attrazione ed elettricità tra i due.
Se è vero che Nina, (ri)sente ancora del sentimento irrisolto verso Aslak (uno dei protagonisti del primo episodio “L’ultimo lappone”) …
“Penserai che sia stupida, ma mi è venuto in mente che…” Nina bisbigliava, goffa.
“Il corpo di Aslak non è stato ritrovato e …”
Klemet avrebbe potuto aspettarsi tutto tranne quello. Cinse le spalle della collega con trasporto, assicurandosi che gli allevatori non lo notassero.
“Non ti pare che quella storia ti abbia preso la mano? Troviamo una tibia e un femore a più di mille chilometri dal luogo da cui Aslak è sparito e tu arrivi subito a una conclusione simile?”.
“Non sono arrivata a una conclusione, mi sono posta una domanda, tutto qui.”
“Aslak è morto. Era sparito nella notte polare, ferito. Te lo ricordi?”
Nina si offese.
“E tu te lo ricordi, Aslak?”
È anche sempre più vero che l’attrazione e l’alchimia tra lei ed il collega Klemet, fatica sempre più a restare taciuta.
Ecco allora come a questi sviluppi e parentesi più leggere, senza essere mai stucchevoli, si intrecciano parti più dure, su abusi di razza, purtroppo verificatisi realmente in Svezia, trattate però con garbo ed eleganza, pur non lasciando spazio a giustificazioni, peraltro inammissibili.
“La vergogna, signore. Abbiamo avuto accesso al registro delle persone sterilizzate. (….) Abbiamo raggiunto tutti. Ma pochi hanno risposto. La vergogna di essere additato come un cittadino di serie B, un parassita. Ti resta attaccata alla pelle per tutta la vita.”
“E lei..?”
“Perché sono stata sterilizzata? Perché non ricordavo a memoria il catechismo. Un pastore ha stabilito che ero deviata, antisociale, e che dovevo essere sterilizzata. E un medico ha firmato e ha eseguito. Avevo tredici anni signore. Era il 1941. E’ sciocco, ma ora ricordo a memoria interi passi del Nuovo Testamento pur non credendo in Dio. Mi dà sicurezza, mi aiuta a pensare che non possono farmi più niente, che sono normale.”
Ne “La Montagna rossa”, a partire dal titolo, che visivamente lo evoca, non manca il sangue, non ne manca lo scorrere, non manca l’importanza (distruttiva o meno) dei legami, di sangue.
Non manca, anzi è quanto più presente, la cifra “di denuncia” di Olivier Truc, che riesce, fondendole nell’intrigo crime e thriller, a farci appassionare e interessare a realtà geograficamente distanti, ma umanamente molto vicine.
Per una storia che entra nel sangue, che resta in circolo, una volta chiuso il libro.
Olivier Truc
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