Recensione di Mirella Facchetti
Autore: Barbara Fiorio
Editore: Feltrinelli
Pagine: 267
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2018
SINOSSI. Vittoria non crede nella spiritualità dei manuali, negli aforismi da calamite e di certo non crede nei cartomanti: molto meglio un piatto di trenette al pesto con un’amica che farsi leggere i tarocchi. Fotografa genovese di quarantasei anni con alle spalle alcune pubblicità di successo, Vittoria è sempre riuscita a navigare tra le difficoltà della vita, sostenuta da un valido bagaglio di buon senso, dall’ironia e dal suo grande amore: Federico. Quando però lui se ne va, lasciandola sola in una casa piena di ricordi, il mondo le crolla addosso. Disorientata e in piena crisi creativa, Vittoria si ritrova al contempo senza compagno, senza lavoro e con l’angoscia di non sapere più cosa le riserva il futuro. A corto di opzioni e di soldi per pagare le crocchette a Sugo, il suo fidato gatto, finirà per fare quello che ha sempre disdegnato e che, suo malgrado, le riesce benissimo: leggere i tarocchi a una pletora di anime gentili che, come lei, hanno il cuore spezzato. Tra la carta dell’Eremita che le ricorda Obi-Wan Kenobi e la Ruota della fortuna che sembra un party lisergico, ritroverà anche la creatività, scattando fotografie ai suoi clienti e arrivando a inventarsi una nuova professione: la fotomanzia. Così, senza rendersene conto, tornerà pian piano ad ascoltare il mondo che la circonda, trovando la forza di rialzarsi, di dare agli altri e di credere in se stessa.
RECENSIONE
Ci sono libri (e autori) con i quali si instaura subito un rapporto particolare, oserei dire privilegiato.
Sono quei libri che hanno quel qualcosa che va a toccare in noi delle corde profonde, tanto che bastano tre righe e li senti subito tuoi.
Di questi libri, ammettiamolo, diventi pure geloso (perché, ok il passaparola, ok la promozione dell’editoria, ma non è che sei Babbo Natale e devi condividere il tuo tesoro con chiunque, eh!) e quindi li consigli e li “dai al mondo”, ma con parsimonia, regalandoli solo a chi ti sta veramente a cuore e che sai potrà apprezzarli in tutto il loro valore.
Ecco, tutto questo è per me “Qualcosa di vero”, il precedente romanzo di Barbara Fiorio.
Alla luce di quanto detto, si potrà ben capire con che bramosia attendessi un nuovo lavoro dell’autrice e, dopo una lunga attesa (troppo lunga!), finalmente, è arrivato “Vittoria”.
Con “Vittoria” la Fiorio, – mantenendo inalterato il suo stile, la sua capacità di inserire un sorriso al posto giusto e di far sentire al lettore tutte le emozioni dei suoi personaggi – cambia totalmente registro e ci regala un racconto introspettivo.
Vittoria è una donna in crisi, una crisi sentimentale che si è trasformata anche in crisi creativa. Risultato: nessuna fotografia; e fare fotografie è il suo lavoro, la sua passione.
Basta un passaggio all’autrice per farci sentire tutto il dolore di Vittoria: vedo ogni cosa, ma la mia macchina resta ferma, con l’obiettivo coperto. È come se avessi già raccontato tutto quello che potevo, come se da adesso in poi fosse solo un’eterna ripetizione. Non mi interessa niente, non ho nulla di nuovo da dire.
Ma quando stai cadendo a picco, quando sei deluso, in difficoltà, in crisi profonda, c’è una sola cosa che può sostenerti: l’amicizia. L’amicizia che ti accoglie, ti raccoglie (letteralmente da terra quando sprofondi nel dolore), che ti coccola, che ti tiene per mano mentre riprendi a camminare e che accompagna i tuoi primi passi insicuri e traballanti, quando decidi di riaffacciarti nel mondo. Ed è questo il filo conduttore che unisce “Vittoria” a “Qualcosa di vero”: due testi profondamente diversi tra loro, ma accomunati dal concetto di amicizia. Un sentimento raccontato in modo straordinario, speciale: mentre leggi vorresti essere anche tu un amico di Vittoria, vorresti anche tu creare catene di monitoraggio per controllare il suo stato d’animo e l’evolvere della sua crisi.
Quello che amo dei libri di questa scrittrice è che vi trovo narrati i sentimenti. I buoni sentimenti, raccontati in modo vero, sincero e non smielato. A impreziosire il tutto, inoltre, vi è il fatto che nelle sue storie c’è spazio per la bontà: gente buona, capace di piccoli gesti, gente che crea legami, gente che vorresti incontrare spesso nella vita di tutti i giorni.
La capacità della Fiorio di raccontare la bellezza della normalità mi affascina e mi fa emozionare. Sempre.
Per darvi un assaggio della portata emotiva di questo romanzo, richiamo un passaggio di un capitolo (“Questa sei tu”) in cui si tratteggia un momento fondamentale per Vittoria; il risultato è emozionante e di una bellezza disarmante: Ho dato a Valentina i miei occhi per vedersi e per farlo li ho dovuti aprire. Fa male, fa bene, fa paura. Se si chiudono di nuovo? Stupendo!
Consigliato all’ennesima potenza!
Note a margine: la copertina bellissima, Alice e il suo “tric tric”, il mitico Sugo e i consigli che indirettamente, grazie a Vittoria, arrivano a noi (C’è un peso da mettere sulla bilancia: è il valore che ti dai).
Barbara Fiorio
(Genova, 1968), formazione classica, studi universitari in graphic design, un master in marketing communication, ha lavorato per oltre un decennio nella promozione teatrale ed è stata la portavoce del presidente della Provincia di Genova. Tiene corsi e laboratori di comunicazione e di scrittura, tra cui il Gruppo di Supporto Scrittori Pigri (GSSP). Ha pubblicato il saggio ironico sulle fiabe classiche C’era una svolta (Eumeswil, 2009) e i romanzi Chanel non fa scarpette di cristallo (Castelvecchi, 2011), Buona fortuna (Mondadori, 2013), Qualcosa di vero (Feltrinelli, 2015) e Vittoria (2018). I suoi libri sono tradotti in Spagna e in Germania.