Recensione di Giovanna Nappi
Autore: Edoardo Albinati
Editore: Rizzoli
Pagine: 1294
Genere: Narrativa
Anno Pubblicazione: 2016
Questa storia ne comprende altre. È inevitabile. Si ramifica o è già ramificata al momento in cui si apre. Si sovrappone come succede alla vita delle persone. Non si può dire dove comincino e dove finiscano, queste vite e queste persone, visto che si tratta pur sempre di relazioni, di triangoli, nodi, trasmissioni, incroci, e l’inizio non è mai l’inizio perché c’era sempre qualcosa prima di quell’inizio, come ci sarà qualcosa dopo la sua fine. Quindi in questo libro la storia principale quasi non si vede: le è cresciuta intorno la foresta dei dove, dei quando, dei come se, degli intanto, e i suoi protagonisti sono diventati non più i ragazzi al centro della triste vicenda, ma molti altri ragazzi non meno protagonisti, e le loro madri, le loro sorelle, i loro professori di scuola, i chitarristi e i batteristi che ascoltavano e i produttori delle moto che cavalcavano e gli architetti che progettarono le case in cui questi ragazzi abitavano e gli autori dei libri che li spinsero ad allearsi, ad accoppiarsi e ad ammazzarsi tra loro, o a isolarsi per cercare la verità, o a isolarsi per fuggirla. Edoardo Albinati, classe 1956, si appresta a raccontare le vicende che hanno coinvolto la sua esistenza e quella di una miriade di persone in cui lui si è imbattuto nel corso della propria vita all’interno del mastodontico libro La scuola cattolica, premio Strega 2016.
SLM.
QT.
DdC.
Queste le tre sigle che quasi ossessivamente rappresentano dei poli attorno a cui ruota una vicenda dai contorni oscuri, sicuramente irrisolti, che egli tenta di raccontare.
Il San Leone Magno, innanzitutto, ciò da cui tutto è partito. Un istituto a carattere religioso in cui confluivano i ragazzi di Roma degli anni di cui stiamo parlando (gli anni Settanta, in principio, sebbene le conseguenze di quelle vicende si riversino nel presente come un moto perpetuo).
Un istituto che, proprio perché cattolico, proprio perché gestito da figure ecclesiastiche (non tutte, ma in maggioranza), innesta (o almeno dovrebbe) nei giovani rampolli romani il credo cristiano.
Chi approda a questa scuola è inquadrabile già all’interno di una categoria sociale e culturale ben connotata: si tratta di famiglie benestanti, dai tratti spiccatamente borghesi, con professioni caratterizzanti i padri, e abitudini (malsane, questo è chiaro) che inquadrano le madri.
Lo sfondo è il quartiere Trieste, che Albinati descrive in maniera impeccabile, poiché non si può peccare quando si racconta delle vie percorse per anni, dei vicoli e degli incroci in cui si è cresciuti. Il quartiere è la metonimia della società che in questo libro viene denudata nei suoi aspetti più infimi, è rappresentativo non soltanto di un atteggiamento politico ma anche di una predisposizione d’animo che ebbe il culmine – da un punto di vista più che personale dell’autore – nel 1975.
È questo l’anno del DdC, evento chiave da cui tutto è partito o in cui ogni cosa è finita.
A partire da questi tre nuclei di vita e di significato, l’autore sviscera l’animo umano in tutte le sue perfide tendenze, scavando in se stesso e rivelando il proprio lato oscuro, che è poi – solo in parte – il lato oscuro della sua generazione, di quelli che insieme a lui hanno frequentato il SLM, e lì hanno imparato a stare al mondo (anche quando quello stare al mondo vuol dire diventare degli esseri ignobili).
I gesti efferati di cui l’autore, pur attardandosi molto, racconterà al lettore sono solo lo spunto per delle considerazioni di una profondità che definirei spaventosamente attuale.
L’educazione di un ragazzo, l’incapacità di creare un modello valido. La crescita e l’approccio nei confronti del sesso. La scoperta della violenza, di quanto si possa trarre godimento dall’infliggere violenza. L’eccitazione.
L’inferiorità nei confronti dei propri simili, che si trasforma in rivalsa (mai positiva, ma mortale). A questi e molti altri argomenti verranno dedicate pagine e pagine che possono essere giudicate ostiche (lo sono), ma sono lo specchio di fatti e notizie di cui sono pieni i giornali tuttora.
La scuola cattolica è il resoconto spietato di una società malata, della pochezza dell’essere umano, della totale mancanza di strumenti che siano in grado di indirizzare qualcuno non dico nella direzione giusta ma all’interno dei confini di una strada. In questo libro non c’è spazio per la redenzione, o per il perdono, perché non basterebbe una vita intera per scontare i peccati di cui tutti ci siamo macchiati.
Edoardo Albinati
(Roma, 1956) da oltre vent’anni lavora come insegnante nel penitenziario di Rebibbia, esperienza narrata nel diario Maggio selvaggio. Suoi reportage dall’Afghanistan e dal Ciad sono usciti sul “Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “The Washington Post”. Ha scritto film per il cinema di Matteo Garrone e Marco Bellocchio. Tra gli ultimi libri pubblicati, ricordiamo Tuttalpiù muoio con Filippo Timi e Vita e morte di un ingegnere.
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