Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Luca Bianchini
Editore: Mondadori
Pagine: 264
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2018
Sinossi. Angela non ha ancora vent’anni quando diventa madre, una mattina a Trieste alla fine degli anni Sessanta. Pasquale, il suo grande amore, è un “jeansinaro” calabrese, un mercante di jeans, affascinante e già sposato. Lui le ha fatto una promessa: “Se sarà maschio, lo riconoscerò”. Angela fa tutti gli scongiuri del caso ma nasce una femmina: Emma. Pasquale fugge immediatamente dalle sue responsabilità, lasciando Angela crescere la bambina da sola insieme alla sua famiglia numerosa e sgangherata. I Pipan sono capitanati da un nonno che rimpiange il dominio austriaco, una nonna che prepara le zuppe e quattro zii: uno serio, un playboy e due gemelli diversi che si alternano a fare da baby sitter a Emma. Lei sarà la figlia di tutti e di nessuno e crescerà così, libera e anticonformista, come la Trieste in cui vive, in quella terra di confine tra cielo e mare, Italia e Jugoslavia. Fino al giorno in cui deciderà di mettersi sulle tracce di suo padre, e per lui questa sarà l’occasione per rivedere Angela, che non ha mai dimenticato. So che un giorno tornerai è un romanzo sulla ricerca delle nostre origini, la scoperta di chi siamo e la magia degli amori che sanno aspettare. Con ironia e un pizzico di nostalgia, Luca Bianchini ci prende per mano e ci porta a conoscere i sentimenti più nascosti in ognuno di noi, per scoprire che non hanno confini, “da Trieste in giù”. Alla fine, ognuno di noi s’innamora di chi ci guarda per un attimo e poi ci sfugge per sempre.
Recensione
Alla fine è sempre una questione di nomi, propri e comuni (ma non per questo meno importanti): come ci chiamiamo e per quale ragione, chi è la mamma e chi il papà, qual è casa nostra.
Una questione di nomi, certo, ma anche di definizioni: appurato chi è chi, affibbiate delle etichette come si fa con i reperti nei musei, che cosa significano parole come “mamma” e “papà”?
Sono queste e tante altre le domande che si pone Emma – che doveva chiamarsi Giorgio – una delle protagoniste di So che un giorno tornerai di Luca Bianchini. Un romanzo che sa di vento e di mare, di persone e relazioni, con voci riconoscibili e umane, musiche e sapori.
Emma la vediamo nascere e capire subito come gira il mondo materno – non intorno a lei, per parafrasare Mia Martini – la ascoltiamo tuffarsi di pancia, tirare calci a un pallone e chiedere al parroco di intercedere con Gesù per farla diventare maschio, la seguiamo nella sua crescita chiassosa e nelle scelte più o meno ponderate.
Emma ha una madre-bambina che viene e più spesso va, un nonno filo-asburgico, una nonna che – come la maggior parte delle nonne – conosce i poteri magici e salvifici del cibo, quattro zii diversi e ugualmente protettivi e un paio di padri, uno vero, con i suoi stessi occhi profondi e scuri, e uno che vorrebbe esserlo o perlomeno tenta. Emma viene su forte, nemmeno la Bora può all’apparenza spostarla, eppure è alla perenne ricerca di qualcosa, in attesa: di una spiegazione, di una conferma, dell’approvazione, di una presenza.
Ma anche Angela, sua madre, aspetta: prima una vita da copertina che resterà solo nei sogni patinati di adolescente interrotta, poi un amore un po’ sbruffone, che nonostante delusioni e amare scoperte continua a sconquassarle il cuore e a farla sgusciare via come un pesce da chi la ama con intelligenza e senza troppe parole.
E lo stesso Pasquale, padre biologico di Emma e grande amore (forse) di Angela, vive sospeso tra testa e istinto, tra giovinezza e maturità, responsabilità e paia di jeans.
Personaggi sempre in movimento eppure bloccati nel limen, così come Trieste è una terra di confine tra mare e vento, Italia e Jugoslavia. Ma anche al confine può esserci vita, cambiamenti fatti di piccoli passi (“I cambiamenti più importanti delle persone avvengono per decisioni piccole, quasi impercettibili, ma significative”), la felicità magari. È sufficiente scavalcarli, quegli ipotetici limiti e muri, andare oltre la terminologia, la burocrazia e il dna.
Se la rosa shakespeariana spande lo stesso profumo pure se la chiamiamo con un altro nome, allora l’amore materno e paterno non è meno intenso se proviene da chi chiamiamo “nonna”, “nonno”, “zio” o “amico” o, al contrario, un genitore resta tale anche quando fugge e rinuncia al titolo. Allora la soluzione potrebbe essere proprio questa: staccare quelle etichette scritte col pennarello a punta grossa, aprire le teche e dare vita a uno sconfinato spettacolo a cielo aperto, bellissimo nella sua varietà. Perché “famiglia” e “casa” sono parole dalle molteplici declinazioni, tutte giuste se c’è amore, se sul cuore soffia un vento caldo e la nostra bussola ci indica che siamo tornati: al punto dove tutto è incominciato, a un nuovo livello di consapevolezza, in noi stessi.
Poi certi misteri – cosa si cela dietro lo sguardo di un “genitore” o di un “figlio”, siano questi naturali, adottivi, legati da un’affinità oltre il sangue, umani, felini o ciò che il destino ci riserva – rimarranno tali, insondabili… ma è anche questa la bellezza del viaggio in compagnia.
Luca Bianchini
Luca Bianchini è nato a Torino nel 1970 e ama scrivere in cucina. Con Mondadori ha pubblicato i romanzi Instant love (2003), Ti seguo ogni notte (2004), la biografia di Eros Ramazzotti, Eros – Lo giuro (2005), Se domani farà bel tempo (2007), Siamo solo amici (2011), Io che amo solo te e La cena di Natale di Io che amo solo te (2013) – da cui sono stati tratti due film di grande successo –, Dimmi che credi al destino (2015) e Nessuno come noi (2017), in uscita sul grande schermo.
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