A cura di Elsa Flacco
Autore: Gian Luigi Piccioli
Editore: Galaad Edizioni
Genere: Narrativa/saggio
Pagine: 384
Anno edizione: 2019
Sinossi. In un grande studio televisivo romano, il conduttore Marco Apudruen e lo scrittore Gigi Insolera trasmettono in tempo reale immagini che arrivano da ogni parte del mondo sotto forma di servizi giornalistici. I due non potrebbero essere più diversi: freddo, ambizioso, dispotico il primo, sensibile e introverso il secondo. L’irrompere sulla scena di Marianna Estensi, un’affascinante fotoreporter, mette in crisi il loro sodalizio, innescando un crescendo di situazioni incandescenti e drammatiche in cui si riflettono le contraddizioni e i retroscena del mondo televisivo e il cinismo della “società dello spettacolo”. Fa da sfondo alla vicenda una Roma maestosa e svagata, capace di esaltare chi la vive oppure di schiacciarlo, mentre nei capitoli finali l’azione si trasferisce nel cratere di Ngorongoro, in Tanzania, dove un evento imprevedibile segnerà una svolta nella storia.
Recensione
Quando è uscito il romanzo Tempo grande di Gian Luigi Piccioli, nel 1984, avevo sedici anni ed ero una lettrice accanita e onnivora, eppure non ricordo minimamente di esserne venuta a conoscenza. Se anche avessi letto la notizia, probabilmente non mi avrebbe molto incuriosito: era il tempo dei grandi classici, i russi che adoravo, dei Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, della scoperta del Nome della rosa di Umberto Eco. Il romanzo di Piccioli pubblicato da Rusconi non deve aver fatto notizia eclatante o comunque non per me.
Sono passati trentacinque anni (ahimè) e grazie alla nuova edizione curata dall’encomiabile Simone Gambacorta mi trovo tra le mani questo ponderoso tomo che inizio a leggere con interesse, anche per la curiosità destatami dalle recensioni e interviste al curatore, tutte concordi nell’attribuire un valore “profetico” a una storia degli anni Ottanta del secolo scorso che prefigura, in toni a tratti surreali quando non grotteschi, la pervasività a cui sarebbe giunta la dimensione televisiva nelle vite di centinaia di milioni di telespettatori.
E in effetti questo parrebbe il tema dominante del romanzo, con i tre protagonisti che si muovono dentro e intorno alla Sala Due della Telemonti Data News, dove va in scena lo straniamento esistenziale avviato dalla tv delle dirette e dei reality ed esasperato dai social network degli ultimi anni. Una realtà parallela svuotata di senso e riempita di sensazionalismo, dove il dramma viene nello stesso tempo amplificato e ridotto a mero spettacolo a uso di un pubblico amorale e anempatico, proteso verso l’inconfessabile godimento dato dalla contemplazione della sofferenza altrui.
Un po’ come gli antichi Romani davanti al sangue versato nelle arene, dove gladiatori, belve e condannati si offrivano in pasto alla folla esultante e bramosa di olocausto per nutrire e appagare le proprie miserie, senza che scattasse quell’istintivo moto di compassione quasi per tutti inevitabile se messi di fronte al dolore singolo e irripetibile, così il pubblico della “tv del dolore” o “della realtà”, come quello della rete che tutto omologa e rende commestibile, appare assuefatto a ogni orrore filtrato dalla telecamera o webcam che tutto ingoiano e rigettano.
E così la soglia si alza sempre di più, a scatti impercettibili, e la profezia di Piccioli è tutta qui: gli operatori e i redattori della TDN, anche quelli dall’umanità più sensibile, assistono imperterriti a lapidazioni, sparatorie ed esecuzioni in diretta senza manifestare il benché minimo turbamento, protesi anzi alla ricerca dell’inquadratura più efficace, dell’attimo cruciale da immortalare a beneficio delle turbe spettatrici. Un universo parallelo quello degli inviati e dei collegamenti da ogni parte del globo, come tentacoli che tutto avviluppano nel loro abbraccio mortifero, apparentemente scollegati dalla realtà viva e pulsante di quella Roma maestosa dove si muovono i tre protagonisti di una vicenda amorosa ed esistenziale che toccherà esiti quasi shakespeariani.
Apparentemente, dicevamo: sì, perché a un certo punto del romanzo, che coincide con la Spannung di una vicenda ad alta tensione, i due piani sorprendentemente si sovrappongono arrivando a coincidere, nelle bellissime pagine che proiettano la fotoreporter Marianna Estensi dritta in uno dei monitor che fino a qualche pagina prima racchiudevano mondi inquietanti e tragici ma distanti in una misura decisamente rassicurante per il lettore, turbato da quegli squarci ma subito ricondotto negli studi della Sala Due e nella cornice splendida di Piazza di Spagna e Trinità dei Monti.
Marianna è l’elemento estraneo, l’oggetto del desiderio del triangolo amoroso proiettata nell’ignoto rappresentato dall’Africa esotica e avventurosa, pericolosa e ardente del cratere di Ngorongoro. Nell’acme della tensione il lettore comprende tutto d’un tratto: l’insistenza sulla splendida commovente giovinezza di Marianna, la funzione della maestosa Guzzi rossa, l’irriducibile contrasto tra due figure inconciliabili quanto complementari come Marco e Gigi. Ci fermiamo sulla soglia dello spoiler per lasciare ai lettori il gusto incomparabile della lettura che avvince.
Lo stile, per concludere, last but not least. Per dire che fin dalle prime righe colpisce e conquista. A dirla tutta, per chi ambisce a scribacchiare, nel suo piccolo, suscita una sottile trafittura di invidia. Eh già, perché il linguaggio di Piccioli, così denso e innervato di saporita plasticità, incanta fin dalle prime bellissime pagine, con la passeggiata mattutina di Gigi Insolera attraverso i sontuosi scorci di una Roma assonnata e magnifica: “Sotto il fondale dell’Hilton, Roma galleggiava fastosa e sazia. I corsi delle case si perdevano nella foschia come residui rivoli della notte, tra i tetti, le cupole, i dorsi dirotti, le rotonde, i pinnacoli imbandierati e i cavalli alati delle allegorie, che divoravano immobili lo spazio celeste […] Il ragazzo, tra i due pacchi di libri che segnavano la porta, si tuffò con plastica lentezza, come spesso vedeva fare nelle telecronache sportive, al rallentatore, e così la palla passò, e volò verso di lui. Rinviò di prima, sbandierando i giornali ai ragazzi.” E, molto più avanti: “La piazza, molle di pioggia, appariva come Roma era da sempre, incompiuta, come un bel dolce lasciato a metà e demolito qua e là. Tra le fette lucide delle facciate e le strade di carta oleata, la pasticceria mignon delle cupolette, delle edicole e degli abbaini sfaldava nel caramello di una luce gelatinosa, che metteva addosso la voglia di sfogliare panorami e di leccarsi le dita lustre di belvedere. In una Roma così, sarebbe stato un po’ più complicato rincasare da quella storia.”
Ecco, proprio in queste descrizioni quasi oniriche, che sfumano nell’evidenza dello stato d’animo che le vive e le costruisce, in questa Roma struggente di una nostalgica bellezza che evoca quella accecante ed effimera di Marianna, è concentrato il sapore agro e dolce insieme di una storia che racchiude tante storie. Forse anche, in qualche misura, come tutti i grandi romanzi, la nostra.
Grazie a Simone Gambacorta per avercela restituita.
Gian Luigi Piccioli
Gian Luigi Piccioli (1932-2013) ha lavorato per l’Eni e ha scritto reportage dal mondo per le riviste «Ecos» e «Synchron». Tra i suoi romanzi ricordiamo Inorgaggio (Mondadori, 1966), Arnolfini (Feltrinelli, 1970), Epistolario collettivo (Bompiani, 1973), Sveva (Rusconi, 1979), Viva Babymoon (Bompiani, 1981) e Cuore di legno (Rizzoli, 1990).