Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Delia Ephron
Traduzione: Enrica Budetta
Editore: Fazi Editore
Pagine: 334
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Dopo Siracusa, arriva nelle librerie italiane il romanzo d’esordio di Delia Ephron, sorella della famosa Nora e insieme a lei autrice di film indimenticabili come C’è posta per te. Eve Mozell è un’organizzatrice di eventi quarantaquattrenne che vive a Los Angeles. Quella da cui proviene è una famiglia di eccentrici artisti. Da tempo la madre ha lasciato il padre per un altro uomo e, ora che lui è divenuto anziano, tocca a lei farsene carico, insieme alle sue sorelle: la maggiore, Georgia, estrosa e brillante, è la direttrice di un’importante rivista e trasforma in moda qualsiasi cosa indossi o dica; la minore, Maddy, è un’attrice stralunata alle prese con una gravidanza imprevista e il conseguente licenziamento dalla soap opera in cui lavora. Il padre, con il suo alcolismo, i suoi episodi maniaco-depressivi, i suoi tentativi di suicidio e le sue assurde storie d’amore e di sesso, è un disastro. Ma Eve ha anche altri problemi: gli impegni lavorativi, le preoccupazioni per il figlio adolescente, l’angoscia per il proprio declino fisico. Per questo esistono le sorelle: nonostante le gelosie e le incomprensioni, basta alzare la cornetta del telefono per trovare un po’ di sollievo…Le carriere, gli amori e le rivalità di tre sorelle fra New York e Los Angeles: in Avviso di chiamata, romanzo che ha molto di autobiografico, l’autrice svela una serie di squisiti retroscena sulla famiglia Ephron, a partire dall’indimenticabile Nora. Da questo romanzo è stato tratto il film omonimo con Meg Ryan e Diane Keaton (anche regista).
Recensione
Drin.
Uno squillo che interrompe una conversazione scomoda o fin troppo piacevole, un suono che porta buone notizie, tristi annunci o semplici chiacchiere, che spezza il sonno e non lo aggiusta più.
E poi il bip della segreteria telefonica, che a scoppio ritardato ti restituisce quelle stesse parole e il carico d’insonnia non appena rimetti piede in casa.
Oggi questi due trilli sono sostituiti, per non dire moltiplicati, da musichette più complesse (e irritanti) e vibrazioni, messaggi vocali, gif ed emoji, ma la sostanza non è cambiata: il rapporto con il telefono è croce e delizia.
Sempre reperibili, a portata di cornetta – oppure di smartphone o di auricolare – sempre vicini (anche troppo) e senza orari, né domeniche e festività, perché il telefono non va mai in vacanza, e nemmeno chi c’è dall’altra parte del filo, a quanto pare.
Eve – Evie la comprensiva, quella affettuosa – secondogenita e “sorella di mezzo”, trova nel telefono un amico e un carceriere: lui è complice delle confidenze con le sorelle Georgia e Maddy, testimone di chiamate surreali che innescano fantasie, zelante assistente nella creazione dell’evento perfetto (e per Eve perfetto è sinonimo di “senza sorprese”), messaggero delle manie, delle paure e dei deliri paterni.
Tra passato e presente, mentre il futuro è uno specchio in cui guardarsi è difficile, Eve ripercorre la propria vita e quella della sua famiglia, mentre noi assistiamo alla crescita, tra successi e impantanamenti, delle sorelle Mozell e al declino, fisiologico, inevitabile, ma anche vertiginoso, del padre Lou.
Ogni evento, ogni passaggio, è stato accompagnato dal telefono: si chiama – e si richiama, più e più volte – per annunciare un traguardo, magari ingigantendolo un po’, di Georgia (“Georgia è quella di successo”), un matrimonio affrettato, un’opinione chiassosa, una rabbia alcolica.
Anno dopo anno, il telefono servirà per contattare strutture psichiatriche e accordarsi su turni e compiti filiali, per parlare con un’infermiera e partecipare, di persona o attraverso il filo arrotolato, a un’esistenza che si avvia al tramonto alternando scoppi d’ira a barlumi di lucidità, ma lasciando soprattutto una scia di amarezza e di domande.
Eve sa che prima o poi l’apparecchio appeso al muro della cucina – oppure l’esemplare vintage nello studio o, peggio ancora, quello sul comodino – porterà le due parole attese e temute: “È morto”. Lo pensa a ogni squillo, lo sente nei millesimi di secondo prima che la voce all’altro capo si decide a parlare, eppure non è mai preparata, perché a una cattiva notizia, per quanto prevista, non lo si è mai.
Ma il telefono, soprattutto, fa parlare (o almeno dovrebbe), forse perché non permette di vedersi in faccia – lo so, lo so, adesso si può, ma qui si sta parlando di altre decadi – e lontana dagli occhi la lingua si scioglie e corre più veloce; quando poi una voce già sentita avrà anche un viso e un corpo, continuare la conversazione sarà più facile, senza ghiaccio da rompere.
Insomma, un romanzo sempre valido (come lo sono i buoni libri) sulle parole e sui legami, che affronta con realismo e ironia – binomio tipico delle sorelle Ephron – i temi della perdita, del tempo e dei suoi segni; un’opera che insegna a prendere fiato, a mettersi in ascolto e a prendere la parola e sfogarsi quando è il caso… E se non ci sentiamo ancora pronti, possiamo sempre approfittare dell’avviso di chiamata e lasciare tutto il resto in attesa. O staccare il telefono, anche solo per una notte.
A cura di Francesca Mogavero
Delia Ephron
Delia Ephron, romanziera, sceneggiatrice, drammaturga e giornalista americana, è nata a New York nel 1944. È la sorella della più nota Nora Ephron, con la quale ha collaborato a diversi progetti, fra cui il film C’è posta per te. Fazi Editore ha pubblicato Siracusa nel 2018.
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