Recensione di Sara Pisaneschi
Autore: Andrés Neuman
Casa Editrice: Einaudi
Traduzione: Silvia Sichel
Genere: Narrativa
Pagine: 520
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Germania, XIX secolo. Nella sperduta cittadina di Wandernburgo approda una notte Hans, giovane traduttore giramondo. Quella che sembra soltanto una tappa nel suo viaggio si trasforma nella più meravigliosa e seducente delle trappole: l’ingresso in un circolo letterario, l’incontro con un saggio suonatore di organetto, una catena di misteriosi delitti. E soprattutto l’amore irresistibile per Sophie; donna tanto sensuale quanto intelligente. Una passione che farà tremare letti e libri. Tutto lo trattiene in questo luogo bizzarro e senza confini, dove le strade cambiano ogni giorno posizione e da cui nessuno pare essere mai riuscito a ripartire. Guardando a Goethe, Mann, Borges e Calvino, Neuman ha scritto un romanzo ottocentesco con gli occhi di un uomo del ventunesimo secolo. Perché in fondo la storia degli esseri umani è sempre la storia di creature sperdute, straniere a loro stesse, che possono sperare di salvarsi solo se si affidano al cuore degli altri.
Recensione
Non è facilissimo parlare di questo libro.
È complesso, è ardimentoso e innovativo. È bellissimo, secondo me.
Siamo agli inizi dell’800. Il giovane Hans, traduttore e viaggiatore instancabile, si trova in uno strano paese di nome Wandernburgo dalla geografia indefinita, tra la Prussia e la Sassonia. È lì solo per passare la notte, è una tappa verso la prossima città da visitare, verso nuove avventure.
La locanda non è molto accogliente, il paese è piccolo e stravagante, non si riesce mai a percorrere la stessa strada da un punto all’altro perché sembrano cambiare continuamente. Eppure una strana forza lo lega a quel luogo, una specie di sortilegio, che non gli permette di andare via.
La sua innata curiosità lo fa avvicinare ad alcuni abitanti, dai quali non riesce più a staccarsi. Così ci fa conoscere il saggio suonatore di organetto, che tutti i giorni si trova nella piazza del mercato a raccattare i pochi spiccioli che gli servono per tirare avanti una vita per lui felicissima e appagante. Vive in una grotta con il suo cane Franz e dialoga con il vento, con le nuvole, con le stagioni, sempre pronto a dare consigli e ad accogliere gli amici dividendo il poco che ha. Ci fa conoscere Alvaro, capitato anche lui a Wandernburgo per caso dalla Spagna e non più andato via, chissà perché.
Potrebbe vivere ovunque, è abbastanza ricco, è rimasto vedovo benché ancora giovane, si reca in viaggio per lavoro, ma torna, torna sempre. E ci fa conoscere Sophie, la sua amata Sophie. La incontra per caso e ne rimane folgorato. Fa parte di una famiglia importante ed è promessa sposa ad un tipo molto facoltoso, però. Inizia a frequentare i salotti del venerdì sera a casa sua, dove Hans ha modo di confrontare le sue conoscenze e i suoi pensieri politici, religiosi e letterari con altre persone. Sophie non sembra interessata a lui, non si capisce mai come la pensa, seminascosta dietro al grande ventaglio o nei modi affabili che ha verso lui e verso tutti i presenti. Eppure qualcosa sta nascendo e sarà una passione sconvolgente e pura.
Perché loro si conoscono, nel modo più intenso che ci sia. Con incontri fugaci all’inizio, poi sempre più lunghi e appaganti. Carnali e mentali. Li lega l’attrazione anche per le lettere, per la poesia, vivono in simbiosi l’uno nell’altra senza vergogne e senza paure. Vivono di quell’amore e di quella passione che era impossibile anche solo pensare in quel periodo. Ecco l’innovazione di cui parlavo prima. È un perfetto romanzo ottocentesco per ambientazioni, modi di fare e sensazioni, ma che osa, che da sfogo alle passioni come agli inizi dell’800 non era possibile fare.
Riesce in modo perfetto a portare l’uomo del nostro tempo a vivere in quell’epoca ormai remota.
E se ne resta rapiti. Riusciranno a tenere ancora nascosto questo amore mentre la data del matrimonio di Sophie si avvicina?
In fondo siamo tutti un po’ stranieri. A cose, a persone e situazioni, e bisogna trovare la forza di andare avanti, anche se è doloroso, anche se le scelte da fare sono difficili. Dobbiamo avere sempre la forza di intraprendere il nostro viaggio. L’ultimo capitolo è di una bellezza sconcertante, molto poetico e da leggere tutto in un fiato. La scrittura di Neuman è ricca, a tratti aulica, non lascia niente al caso. Ogni parola è indispensabile.
“Non lo so, disse Hans, penso mi spaventi continuare a vedere Sophie e poi essere costretto ad andarmene, che sarebbe il peggio del peggio, forse dovrei partire adesso, ora che sono ancora in tempo (ma un amore non è forse questo? chiese il vecchio, un amore è essere felici e fermarsi), non ne sono certo, amico mio, io ho sempre creduto che l’amore fosse puro movimento, una specie di viaggio (e se l’amore è un viaggio, ragionò il vecchio, perché partire allora?) bella domanda, be’, ad esempio, per tornare, per essere convinti di dove ci si vuole fermare, come si fa a sapere che si è nel posto giusto se non lo si è mai lasciato?”
Andrés Neuman
Andrés Neuman è nato a Buenos Aires, dove ha trascorso l’infanzia. Si è poi trasferito a Granada, dove ha insegnato letteratura latinoamericana. In Italia sono stati pubblicati i romanzi Frammenti della notte, Una volta l’Argentina, Il viaggiatore del secolo, Parlare da soli e le raccolte di racconti Le cose che non facciamo e Vite istantanee. È stato selezionato dalla rivista “Granta” tra i maggiori giovani scrittori di lingua spagnola. Ha vinto, tra gli altri, il premio Hiperión de Poesía nel 2002, il premio Alfaguara de Novela nel 2009 e il premio della Crítica nel 2010. È stato finalista al Premio Herralde, al Premio Rómulo Gallegos e nel. 2014 è entrato nella shortlist dell’International IMPAC Dublin Literary Award
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