L’esorcista
Il film è stato definito uno dei più paurosi della storia del cinema, con attacchi di panico e svenimenti tra il pubblico in tutte le sale dove veniva proiettato alla sua prima uscita, nel 1973. La pellicola, diretta da William Friedkind, diventò un vero e proprio “cult”, segnando una svolta nel cinema horror. Il film è tratto dal romanzo omonimo di William Peter Blatty, autore anche della sceneggiatura cinematografica. E nel 2008 fu John Pielmeier ha voler adattare il linro a opera teatrale, con debutto in prima mondiale nel 2012.
Ora “L’Esorcista” è anche sui palcoscenici italiani, fino al 10 novembre al Teatro Nuovo di Milano, per poi toccare il Teatro Olimpico di Roma dal 12 al 17 novembre, il Teatro Nuovo di Verona il 18 e al Teatro Alfieri di Torino il 25. La versione italiana è prodotta da Lorenzo Vitali.
La storia della dodicenne Regan, che nell’immaginario collettivo è ormai diventata archetipo della paura, posseduta dal demonio da quando entra nella nuova casa con la mamma Chris, sul palco ha la regia di Alberto Ferrari, regista e sceneggiatore teatrale e cinematografico, e porta in scena Gianni Garko nel ruolo di padre Merrin, Claudia Campologno in quello di Regan, Viola Graziosi in quello di Chris, Andrea Carli in quello di padre Karras. Con loro, Jerry Mastrodomenico è Burke, Massimiliano Lotti ha il duplice ruolo del dottor Klein e del vescovo, Michele Radici è il dottor Strong e Simone De Rose padre Joe.
Alberto Ferrari – regista
«La proposta di portare in scena “L’Esorcista” mi è arrivata dal patron del Teatro Nuovo di Milano, Lorenzo Vitali – spiega il regista Alberto Ferrari -. E il primo impulso sarebbe stato quello di dire di lasciar stare, il confronto con il film suonava inadeguato. Ma nella mia vita lavorativa ho sempre fatto scelte classiche o estreme e il dramma familiare che diventa dramma di fede è alla fine un confronto che attraversiamo tutti tra materialismo, scienza e fede, amore e sacrificio. Ognuno di noi combatte con queste cose, era un po’ come nella tragedia greca. L’inquietudine è dentro di noi ed è bello andare a scavare». Che è quello che Ferrari ha chiesto agli attori: l’analisi del testo e «che il loro personaggio si ponesse interrogativi sull’inquietudine, offrendo al pubblico la partecipazione totale».
Lo conferma Claudio Campolongo, sulla scena un’eccezionale Regan. «All’inizio ero un po’ preoccupata, il ruolo è sicuramente difficile – ammette -. Il film l’avevo visto tanti anni fa e non ho voluto rivederlo perché la cosa mi avrebbe influenzato moltissimo: volevo un’interpretazione personale del personaggio. Su consiglio del regista ho letto il romanzo: lì c’è un approfondimento del personaggio. È un libro bellissimo e ho capito che interpretare Regan è interpretare due personaggi ben distinti. Per il percorso adolescenziale ho cercato non di emulare qualcosa, ma di ritrovare nei miei ricordi le paure, i timori, le mancanze che sentono gli adolescenti, lasciando spazio al dubbio se il demone arriva dall’esterno o se sono paure della ragazzina. Per il ruolo del demone, invece, ho ricercato un po’ il lato oscuro, di disagio dentro di noi, nell’essere umano. Ho voluto approfondire i drammi umani, cercando anche nel mio disagio, nelle paure del mio passato, nelle esperienze negative».
Il libro, dunque, più ancora che il film, è alla base della trasposizione teatrale.
«In effetti – ammette Ferrari – il riferimento mio non è stato tanto il film, che comunque ho rivisto un anno fa e nel quale mi colpiva quando Regan parlava con la voce del demone, ma piuttosto il libro, che mi ha aperto gli occhi: è uno dei più bei libri che abbia mai letto, un romanzo inquieto, non certo horror, ma un thriller dove si sta in bilico, con questa prima parte che indaga la quotidianità che però prepara tutto quanto accade. La lettura va a completare l’esperienza visiva del film. E lascia sgomenti».
In ogni caso, quello che accade in teatro coinvolge in maniera totale. E regge benissimo il confronto comunque con un film che non si riesce a dimenticare una volta visto.
«Il cinema e il teatro sono due linguaggi differenti – sottolinea ancora Ferrari -, io li frequento entrambi, anche adattando un linguaggio all’altro. Nel caso del nostro Esorcista, è il primo spettacolo in Italia di prosa spettacolare, cioè di un dramma teatrale che pone alle luci, all’audio, al fonico un’attenzione che porta il linguaggio ad abbracciare un genere che è teatro, ma con un’esperienza immersiva che si avvicina al cinema. Lo spettacolo è completamente sonorizzato. Pensiamo che se a un horror togliamo l’audio, non fa più così paura: qui si vive l’esperienza, “gioco”, in qualche modo, con una marea di cose che rendono lo spettatore attivo e non passivo, interagisce. E non può togliere il sonoro».
Non solo: la vicenda è rappresentata scenograficamente su uno spazio, quello del palco, diviso in due parti, incentrandosi spesso solo su una, ma spesso facendole convivere e dando una visione globale di quanto sta accadendo.
E non è tutto: una serie di studi sul suono fa sì che la voce del demone sia quella della stessa attrice in scena, che alterna il suo esprimersi con la voce del male, inquietante, e quella della dodicenne ingenua e spaventata. E sul finire dello spettacolo, quello scambio repentino di battute tra i due è una prova eccezionale.
«Ho quarantaquattro anni e la cosa più difficile per me nell’interpretare Regan era quella di non sembrare una grande che fa una bambina – sottolinea Claudia Campolongo -. Non volevo essere una bambina macchietta, ma una bambina vera. In passato ho interpretato personaggi macchietta, ma qui Alberto Ferrari ci ha chiesto di portare in scena la verità. E la voce di Regan quando attraverso di lei parla il demone, che finora è sempre stata registrata, qui invece è diretta. Lo scambio di battute che io chiamo monologo è stata una sfida: e lo chiamo così perché sono due personaggi, ma sono sempre io che mi divido nelle due personalità. Sono nello stesso momento due cose nello stesso corpo, nella stessa testa, nello stesso cuore».
Sara Magnoli