Recensione di Sara Ammenti
Autore: Andrès Neuman
Traduzione: Silvia Sichel
Editore: Einaudi
Genere: Narrativa
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Il mondo è un posto meraviglioso e orribile. Meraviglioso perché, malgrado tutto, siamo creature sempre capaci di stupirci, di desiderare e di amare. Orribile perché i legami si corrodono e certe vite a volte svaniscono prima del tempo. È quello che sta succedendo a Mario: i suoi ricordi e il suo corpo si stanno lentamente spegnendo. Cosí decide di mettersi in viaggio con il figlio Lito, a cui sente di dover lasciare qualcosa che non si può dire. A casa resta Elena, moglie e madre, che sulle spalle porta il peso del dolore e cerca riscatto nella carne di un altro uomo e nei libri che sono intrecciati a doppio filo con la sua esistenza. Parlare da soli racconta di come l’esperienza della perdita trasforma la nostra percezione della memoria, del desiderio e del corpo; e di come il sesso e la lettura possono rivelarsi straordinarie forme di resistenza.
Recensione
“Mi domando se, forse senza rendercene conto, andiamo in cerca di libri che abbiamo bisogno di leggere. O se i libri stessi, che sono esseri intelligenti, riconoscono i propri lettori e si fanno notare”
Semmai ci fosse ancora bisogno di cercare nei libri il vero senso della letteratura, Parlare da soli dello scrittore argentino Andrés Neuman può darci davvero molte risposte.
Il libro racconta una storia molto dolorosa, una storia di morte, ma anche di vita, la storia di una famiglia che si ritrova a dover affrontare una malattia che non lascia speranze.
La narrazione si sviluppa a tre voci: quella di una madre, che sta vedendo il marito morire e si addolora per tutto quello che perderà, per il figlio, per l’uomo che ha accanto da una vita e che ora non riconosce quasi più, e nel frattempo vive dilaniata dai sensi di colpa per il conforto trovato nel sesso con un altro uomo, l’uomo che sta curando il suo stesso marito; la voce del bambino di dieci anni che non capisce cosa sta succedendo e cerca di godersi il viaggio insieme al papà sul suo grande camion Pedro, non sapendo che sarà l’ultimo; e, infine, la voce di Mario, lui che sta morendo e ne ha tutta la consapevolezza e cerca disperatamente gli ultimi sprazzi di vita, facendo tutto il possibile (e anche l’impossibile) affinché il suo dolore non si veda e non faccia soffrire ancora di più i suoi cari.
Le voci si alternano e questo dà al libro un ritmo veloce, incalzante, proprio come questi ultimi giorni insieme che tutti vorrebbero trattenere, ma che sfuggono via inesorabili. Ciò che davvero Neuman riesce a fare è portarci nella mente e nei pensieri dei tre personaggi, nel modo profondo che solo la letteratura, quella con la L maiuscola, riesce a fare.
Perché i libri sono incontri e, quando lo scrittore ne ha la capacità, sono quasi irruzioni violente dentro i pensieri più intimi dei protagonisti. Così Mario ci svela pian piano tutto quello che pensa e ci fa sentire, sulla nostra stessa pelle, la rabbia e il dolore lacerante di dover abbandonare così presto il proprio corpo:
“Da quando sono malato il mattino mi piace meno, è, non so, troppo pieno di aspettative, e il silenzio della notte mi spaventa, adesso preferisco il pomeriggio, è meno esigente, sto guardando il tramonto e, pensa, mi viene da chiedermi: da dove? Da dove cazzo verrà la bellezza?”
Così Elena si lascia andare alla confessione di un tradimento, proprio nel momento più angoscioso della sua vita, e cerca conforto nelle parole degli altri, nelle vite degli altri, nei loro pensieri e riflessioni più profondi e, dunque, nei libri:
“Quando un libro mi dice quel che volevo dire io, mi sento in diritto di fare mie le sue parole, come se un tempo lo fossero state e ora le recuperassi.”
La letteratura diventa, quindi, il quarto personaggio di questo bellissimo romanzo, quasi a ricordarci che, per quanto grande possa essere la nostra gioia, per quanto acuto e triste il nostro dolore, noi non siamo mai soli; già qualcuno lo ha vissuto e condiviso attraverso le pagine di un libro e queste pagine giungono a noi nel momento più opportuno, sempre. Basta saper leggere sè stessi tra le righe.
Marìas, tra gli altri, è uno degli autori di cui si sente di più l’influenza, il suo voler dare un senso ad ogni cosa, incastrare le vite di tutti in un disegno universale, raccontare la vita, ma anche il dolore, senza restrizioni.
Neuman, però, fa un passo avanti e supera la vergogna di solito legata al racconto del lutto e della morte, abbatte il muro del tabù emotivo legato a questo momento così intimo e ci mette davanti allo specchio, con tutte le nostre imperfezioni, senza filtri, nudi e crudi, e ci insegna ad amarci e ad accettare che siamo fatti di bene e di male, di vita e di morte, di gioia e di dolore.
E fino alla fine saranno le pagine scritte a salvare Elena, che, rimasta da sola, sente che ha ancora molto da dire e, se la morte ha interrotto il dialogo, le lettere postume a Mario riusciranno a restituirle una parte di lui. Perché in fondo scrivere è anche questo: mandare un messaggio a qualcuno che non c’è, per fare in modo che sia di nuovo con noi.
E Lito, il bambino?
Beh lui è la vita che va avanti, nonostante tutto, il figlio che impara a immaginare la parte mancante del suo papà, l’allegria che sfacciata irrompe involontaria in una stanza buia, come il sole su un viso stanco di pianto.
A cura di Sara Ammenti
Andrés Neuman
Andrés Neuman è nato a Buenos Aires, dove ha trascorso l’infanzia. Si è poi trasferito a Granada, dove ha insegnato letteratura latino-americana. È stato selezionato dalla rivista «Granta» tra i migliori giovani scrittori di lingua spagnola. Ha vinto, fra gli altri, il Premio Hiperión de Poesía nel 2002, il Premio Alfaguara de Novela nel 2009 e il Premio de la Crítica nel 2010. È stato finalista al Premio Herralde, al Premio Rómulo Gallegos e nel 2014 è entrato nella shortlist dell’International IMPAC Dublin Literary Award. Per Einaudi ha pubblicato Frattura (2019), Il viaggiatore del secolo (2019), La vita alla finestra (2020) e Parlare da soli (2021).
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