Recensione di M. Morassut e S. Argiolas
Autore: Osvaldo Soriano
Editore: Einaudi
Traduzione: Glauco Felici
Genere: Narrativa gialla
Pagine: 165
Pubblicazione: Prima edizione 1978
Sinossi. È raro che una parodia superi l’originale ma “Triste, solitario y final” (1973), del grande scrittore argentino Osvaldo Soriano, è anche un’elegia, per il romanzo giallo e per il cinema. Soriano, infatti, resuscita Philip Marlowe, l’investigatore privato di Raymond Chandler diventato oggetto di culto tra i fans del sottogenere, e lo mette sulle piste di Stan Laurel e Oliver Hardy, John Wayne e Charlie Chaplin. Un eroe dell'”hard-boiled school” si ritrova faccia a faccia con il vecchio cinema: un commosso, irriverente ricordo di due miti nordamericani diventati universali.
di Marina Morassut
Ho in mente l’immagine di un Soriano non più giovanissimo che, in un momento sicuramente non sportivo, sta facendo palleggi. In solitudine, quasi costantemente riflessivo sugli aspetti della propria vita. Felice eppure triste allo stesso tempo. Concentrato in quello che sta facendo. Ed è così che me lo immagino sempre, ora che l’ho conosciuto. Esule.
Con una sempiterna tristezza di fondo, ma non per questo incapace di godersi la vita, di riderne addirittura. Nonostante non possa viverla in patria. Nonostante abbia dovuto abbandonare la terra natia, che per un argentino del suo periodo immagino abbia significato molto. Tutto.
Promessa stella del calcio argentino agli albori, giornalista prima, scrittore poi e quasi per caso. Esperto della fuga e della vita raminga per necessità familiare, esperto di personaggi legati al fallimento che frequentano i suoi romanzi tutto sommato on the road anche quando avvengono in un’unica, violenta città.
Sono tante le cose da dire, forse troppe – anche per un romanzo come questo, dove un universo di grandi personaggi e di storie che vorremmo non finissero mai arrivano invece al capolinea, facendoci diventare di colpo adulti e facendoci perdere quell’innocenza che nonostante tutto, ancora ci inonda quando ridiamo alle buffe comiche di Stanlio e Ollio, oppure quando guardiamo rapiti un western con John Wayne, oppure ancora quando leggiamo di Marlowe con la “e” finale, mai sazi della sua rettitudine innata e della sua maledetta città, o di giovani del calibro di Jerry Lewis o di Dick van Dyke.
Ed è proprio così che inizia il grande romanzo di Soriano, con un Stan Laurel come non lo avremmo mai voluto vedere o leggere: vecchio e scordato da tutti, soprattutto dalla sua Hollywood. Non si capacita di questa indifferenza il buon vecchio, timido e impacciato Laurel, oramai orfano di Ollio – e così pensa di ingaggiare un oramai stanco e disilluso Marlowe, perché scopra il motivo di questo oblio.
E’ un continuo salto nel tempo questo romanzo, che ripercorre un’epopea gloriosa: si parte con l’arrivo di un diciasettenne Stanley Jefferson / Stan Laurel e di Charlie Chaplin negli Stati Uniti, per accompagnare subito dopo uno Stan Laurel oramai anziano nel polveroso ufficio di Philip Marlowe, sull’Hollywood Boulevard a Los Angeles. Non si fanno sconti nelle battute fra i due: il declino è oramai incipiente, entrambi soli, ciascuno con i propri fantasmi. Ci sarà un “abbocco”, una bevuta del famoso cocktail gimlet caro all’investigatore, ma il tutto è talmente fumoso e talmente lontano da un confessionale, che le vite dei due uomini si separeranno velocemente. Perché, con uomini di siffatta natura non vogliamo la realtà: “se vorremo ricordarci di loro, andremo al cinema. E saranno sempre più divertenti”.
Eppure subito dopo, come in un rutilante cabaret, assisteremo all’incontro casuale e fortunato tra il ciccione Hardy e lo smilzo Laurel, in un passato neanche tanto lontano che li vede tentare di sfondare in questo mondo finto, nonostante nel frattempo Chaplin si sia già accaparrato pubblico e stampa. E ancora assisteremo ad un tristissimo quanto pazzo incontro tra il ciccione Ollio ed il mitico John Wayne, prima di arrivare al momento di cui Marlowe incontra Osvaldo Soriano davanti alla tomba di Stan Laurel, sette anni dopo la morte del comico.
Da qui in poi, complice l’argentino Soriano, protagonista egli stesso all’interno del romanzo, che sta scrivendo un romanzo su Laurel & Hardy e che parla uno stentato americano che sarà fonte di diversi divertenti fraintendimenti, ci saranno onnipresenti sigarette, incontri con i figli dei fiori, bevute, pazze scazzottate e scontri con la polizia da cui uscire malconci, tutto nelle stile degli sketch senza senso di Stanlio e Ollio, quella “slapstick comedy” (una sorta di comicità incentrata sul linguaggio del corpo), che oltre a loro e a Chaplin, vedrà protagonisti attori del calibro di Buster Keaton e i fratelli Marx, tra gli altri.
E in mezzo alle inconcludenti scazzottate sulla falsariga degli sketch del duo re di quelle stesse gag, ai dialoghi fulminanti e paradossali, molti dei quali dei divertentissimi non sense istrionici, si parla della quotidianità, dei temi importanti per le giovani generazioni di metà del secolo scorso. La società argentina, il maccartismo statunitense, i figli dei fiori, il marciume della polizia, e la lotta delle giovani generazioni che si trovavano a vivere le dittature più spietate e le guerre più insulse e tragiche.
Andando ancora più a fondo nella vita di Soriano e della sua amicizia con Julio Cortazar, si parla anche di “perdenti vestiti di sogno”: e lo è anche tutto questo romanzo, che affronta anche il tema della vecchiaia, quando una larga fetta della tua anima se ne va insieme a questi personaggi, non escluso un Philip Marlowe che avremmo voluto piuttosto domato da una donna, che dalla disillusione e dalla vita stessa.
Un hard boiled fatto e finito, una perfetta seppur originale prosecuzione dei romanzi di Chandler, con un’indagine che non può indagare su un vero e proprio delitto, anche se di delitti sui generis il romanzo abbonda.
Un protagonista… ma chi, Marlowe o Soriano?, che senza pietà ci svela un uomo capace di compiere azioni bieche ma anche auliche e autenticamente umane, e che ci introduce a personaggi cult dello scorso secolo, non avendo paura di infilarci dentro anche icone dello star system come ad esempio una giovane Jane Fonda, Lyz Taylor, Jerry Lewes e anche James Stewart, oltre ai già citati eroi di tante pellicole hollywoodiane.
Ma alla fine chi in realtà, tra Stan Laurel e Philip Marlowe (tralasciando lo scrittore argentino), è il vero protagonista, l’amato soggetto di Osvaldo Soriano?
Non vogliamo e non possiamo dirimere la questione, perché ciascun lettore deciderà da sé chi è il protagonista vero di questo gioiello, di questo romanzo dedica.
A noi non resta che salutare, che si tratti di Stanlio, Marlowe o Soriano.
Un’ultima battuta al caro vecchio Marlowe, al quale diciamo che lo leggeremo ancora, oppure lo rivedremo di nuovo su una delle pellicole che l’hanno reso immortale. Non è ancora il momento di dirsi addio quindi. Perché quando ce lo diremo, saremo tristi, soli e alla fine. Ma non è questo il momento…
A cura di Marina Morassut
di Salvatore Argiolas
“Triste, solitario y final” è un delicato, commosso e emozionante omaggio che Osvaldo Soriano tributa a dei miti del ventesimo secolo come Stan Laurel, Oliver Hardy e Philip Marlowe.
Il titolo cita infatti una frase del noir di Raymond Chandler “Il lungo addio” del 1953, “Arrivederci amigo, non le dico addio. Gliel’ho detto quando aveva un senso. Gliel’ho detto quando ero triste, solo e alla fine.”
Non l’unica citazione del romanzo, uno dei migliori di Chandler ma quello di Soriano è un capolavoro di tecnica metaletteraria in cui ci sono tante suggestioni, richiami e riferimenti che diventa un vero e proprio paradiso per gli appassionati del genere.
Stan Laurel, stanco e malato cerca un detective per capire come mai non trova più un ingaggio e sull’elenco telefonico trova un investigatore privato a caso, proprio il nostro Marlowe, che all’epoca della storia è divorziato. Si tratta perciò di un periodo successivo alla sua ultima avventura pubblicata “Poodle Spring Story”, romanzo rimasto incompiuto e in seguito completato da Robert B. Parker, dove il detective si è appena sposato.
Di solito i romanzi classici dell’hard boiled, la scuola dei duri americana, cominciano sempre con il cliente che bussa alla porta dell’investigatore, svogliato, disilluso e annoiato e anche “Triste, solitario y final” rispetta la convenzione: “Fece alcuni passi e si fermò davanti a una porta di legno che aveva un vetro smerigliato. Su questo si leggeva .
”Philip Marlowe, detective privato” e più in basso “Entrate senza bussare”. Entrò senza far rumore. Era diventato prudente e non sapeva perché”.
Tra investigatore e cliente non scatta la simpatia e litigano subito con battute feroci e straordinarie anche perché Stan Laurel ricorda a Marlowe un inglese “Come lei, si chiama Terry Lennox. Lavorava nel cinema come lei.”
Infatti Stan Laurel era inglese e nel primo capitolo si ricorda il viaggio che nel 1910 lo portò negli Stati Uniti e dove fu compagno di viaggio di un certo Charlie Chaplin.
In questo romanzo che racconti di uomini sconfitti e amareggiati Osvaldo Soriano compie un vero e proprio colpo di genio entrando direttamente nella trama diversi anni dopo l’incontro tra Laurel e Marlowe andano alla ricerca del detective per avere notizie dell’attore su cui sta scrivendo un libro.
Soriano ibrida con successo l’hard boiled con la “slapstick comedy” di cui era maestri Stanlio e Ollio con le loro leggendarie risse nate per equivoci o piccoli incidenti.
Qui uno spettacolare tafferuglio coinvolge tante stelle del cinema come John Wayne, lo stesso Charlie Chaplin, Jane Fonda, Clark Gable e tanti altri notissimi attori durante la cerimonia della consegna degli Oscar.
“Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte che oscuramente i cliché stanno parlando e celebrano una festa di ritrovamento”
scrisse Umberto Eco in “Dalla periferia dell’impero” riferendosi al celebre film “Casablanca” e Soriano imbastisce con maestria una trama in cui tutti i “topoi” dell’Hard boiled si coniugano perfettamente con le suggestioni della settima arte, creando un ulteriore stereotipo che accresce e defiisce meglio la personalità di Philip Marlowe
Le folli avventure di Marlowe e Soriano ricordano le esilaranti comiche del ciccione e del magrolino ricreando un mondo incantato in cui Marlowe, che è anche lui un personaggio cinematografico che nel grande schermo è stato interpretato da grandi attori come Humphrey Bogart e Robert Mitchum, rappresenta un solido collante tra letteratura, cinema e grande inventiva.
C’è una grande e strana fascinazione per i miti statunitensi che attrae il giovane giornalista argentino che scrisse il romanzo quasi per caso, pensando prima a poche pagine di ricordo di Stan Laurel poi la vena narrativa prese piede sino ad inglobare una figura carismatica come Philip Marlowe, perfetto nel ruolo di perno e deus ex machina del libro. Sono i continui scontri con il Soriano personaggio che danno brio e spessore alla trama che rispecchia fedelmente certe complessità tipiche del genere hard-boiled, come ammise anche Chandler in alcune lettere che vengono riportate come compendio nell’agile volume edito da Einaudi, “Non mi importava se l’enigma non sussisteva, mi importava della gente, di questo strano mondo corrotto in cui viviamo, e del fatto che ogni uomo cerchi di essere onesto appare in fondo o sentimentale o semplicemente sciocco” scrive per esempio Raymond Chandler a proposito proprio di “Il lungo addio” a Bernice Baungarten nel maggio 1942.
Cosa può aver ispirato un giovane giornalista argentino, ventenne nel 1973, a scrivere un romanzo così strano ma così interessante che da un lato è così legato a schemi letterari e cinematografici passati da risultare obsoleto ma d’altra parte la sua inventiva rilegge in modo nuovo e moderno tali stereotipi da renderli un inno alla libertà e alla ricerca di un punto di identità,
“un uomo d’onore, come scrisse Chandler, “per istinto, per necessità, per impossibilità a tralignare.”
Soriano entra nella trama come un topo nel formaggio e diventa anche lui un “contadino”, come dice John Wayne al vecchio Oliver Hardy, quelle comparse che nei film western sono sempre punite e a volte non pagano neppure la bara.
In breve cercava un modello per quello che in spagnolo viene chiamato “Hombre vertical”, quello che sarebbe diventato in seguito, amato in tutto il mondo per le sue storie e per la sua passione per il calcio che ha saputo narrare come nessun’altro.
Libro di indicibile malinconia ma anche di straripante vitalità “Triste, solitario y final” ha riscritto la leggenda di Philip Marlowe, collocandola in un girone tutto particolare della storia dell’hard boiled, la scuola dei duri dei detective americani.
Osvaldo Soriano
Osvaldo Soriano: (Mar del Plata 1943 – Buenos Aires 1997) scrittore argentino. Giornalista sportivo per giornali quali «Primera plana» e «La Opinión», abbandonò l’Argentina dopo il golpe militare del 1976 per stabilirsi in Francia. In seguito al mutamento della situazione politica rientrò in patria verso la fine degli anni ’80. Si impose all’interesse del pubblico e della critica internazionale con il romanzo Triste, solitario y final (1973), parodia del cinema hollywoodiano e del romanzo poliziesco, cui allude attraverso personaggi famosi e utilizzando la figura dell’investigatore privato Marlowe, tratta dai romanzi di R. Chandler. Nei libri successivi Mai più pene né oblio (No habrá más penas ni olvido, 1979) e Quartieri di inverno (Cuarteles de invierno, 1981) prevale l’elaborazione di elementi della politica che, in una visione metaforizzata, ironica e paradossale, rinviano al contesto violento dell’Argentina di quegli anni. La resa del leone (A sus plantas rendido un león, 1988) ha sullo sfondo la guerra delle Malvinas; Un’ombra ben presto sarai (Una sombra ya pronto serás, 1990) è ambientato in un villaggio sperduto nella pampa; L’ora senz’ombra (La hora sin sombra, 1995) narra il vagabondaggio di uno scrittore alla ricerca di un suo «finale». Nel 1997 ha pubblicato Pirati, fantasmi e dinosauri (Piratas, fantasmas y dinosaurios); postumo è uscito Fútbol (1998).
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