Recensione di Fiorella Carta
Autrice: Alessandra Carati
Genere: Narrativa
Pagine: 276
Editore: Mondadori
Anno: 2021
Sinossi. Aida ha appena sei anni quando, con la madre, deve fuggire dal piccolo paese in cui è nata e cresciuta. In una notte infinita di buio, di ignoto e di terrore raggiunge il confine con l’Italia, dove incontra il padre. Insieme arrivano a Milano. Mentre i giorni scivolano uno sull’altro, Aida cerca di prendere le misure del nuovo universo. Crescere è ovunque difficile, e lei deve farlo all’improvviso, da sola, perché il trasloco coatto ha rovesciato anche la realtà dei suoi genitori. Nemmeno l’arrivo del fratellino Ibro sa rimettere in ordine le cose: la loro vita è sempre “altrove” – un altrove che la guerra ha ormai cancellato. Sotto la piena della nostalgia, la sua famiglia si consuma, chi sgretolato dalla rabbia, chi schiacciato dal peso di segreti insopportabili, chi ostaggio di un male inafferrabile. Aida capisce presto che per sopravvivere deve disegnarsi un nuovo orizzonte, anche a costo di un taglio delle radici. “E poi saremo salvi” è insieme un romanzo di formazione, una saga familiare, l’epopea di un popolo; ma è soprattutto il racconto di come una piccola, densa vicenda privata può allargarsi fino a riflettere la tensione umana alla “casa”, il posto del cuore in cui ci riconosciamo.
Recensione
Chiudere un libro del genere non significa lasciarlo da parte a prendere polvere. Lascia aperte emozioni così grandi da sopraffarti.
La consapevolezza che la guerra e gli sterminii non sono così lontani come ci illudiamo di credere.
La sensibilità che esonda, l’immedesimarsi in un genitore che scappa stringendo a sé i propri figli, consapevole che forse non basta un abbraccio che fa da scudo.
Aida arriva in Italia per fuggire alla guerra in Bosnia, si ritroverà a Milano con i genitori e gli zii e suo fratello Ibro nascerà in quella casa fuori da quel concetto, fuori da ricordi che con il crescere appariranno estranei, scomodi così come la sua famiglia.
“ Ci siamo abbracciati in fretta, senza guardarci, avevamo paura e la paura si mangia ogni altro sentimento“
Nella mia terra, parafrasando, si dice sempre che quando non si ha più nulla si torna a casa e quel giro immenso che porta Aida a sentirsi fuori tempo e fuori luogo con le sue origini, la ricondurrà a sé, a ciò che non ha subìto ma è comunque accaduto.
Aldilà dell’evolversi pratico della storia l’autrice sa come arrivare al cuore, come non farsi dimenticare, regala al lettore una parte di Storia che troppo spesso lasciamo in disparte, come un dettaglio inconsistente che andrebbe invece rimarcato.
“Mi chiamo Elvisa, sono nel campo da… non so, ho perso il conto. Per torturarci i soldati usano asce, cavi elettrici, taniche di benzina, motoseghe. Ogni giorno fanno cumuli di corpi, mutilati, decapitati, carbonizzati. Prima di buttarli nelle fosse gli tagliano anulare e mignolo, noi musulmani dobbiamo andare sottoterra con il saluto serbo sulle dita. Non so più se tutto questo sta succedendo davvero, se sono viva o morta”
Un macrocosmo come la guerra che riversa in Aida, nel suo microcosmo, tutte le avversità. I rapporti si incrinano, il destino li ricompone, in una danza di avvenimenti lenta, straziante, meravigliosamente profonda e incisiva.
Non soffermatevi, non esitate, storie come queste andrebbero lette per sentirsi ancora vivi in questo mondo che rinchiude, soffoca, digitalizza i sentimenti.
Leggiamo… E poi saremo salvi
“ Il suo cuore conteneva tutti i fiumi, le montagne, le foglie, le nuvole, l’argento della nostra terra. E la nostra terra era così profonda che nessuno avrebbe potuto decifrarla”
INTERVISTA
Ho letto il tuo romanzo lo scorso anno, ho attraversato altre pagine nel frattempo, ma Aida è rimasta lì, indimenticabile. Com’è nata la sua storia dentro di te? Qual è stato “l’incidente scatenante” che ti ha portata a “E poi saremo salvi”?
Era il 2008, un incontro ha acceso la mia curiosità per un gruppo di Bosniaci che vive alle porte di Milano. Erano scappati dal loro paese durante la guerra nella ex Jugoslavia, per mettersi in salvo da una feroce operazione di pulizia etnica. La forza delle loro storie mi ha colpito da subito e da subito avrei voluto farne un romanzo. Allora non ero pronta, mi sentivo sopraffatta dal materiale. Ho aspettato, ho lavorato su altri progetti, mentre custodivo quell’intuizione di libro. Nel 2016 l’ho preso in mano. Gli anni a seguire sono stati ricerca sul campo, documentazione, viaggi in Bosnia, messa a fuoco di una voce e di una lingua. C’era da comprendere e sentire l’energia della grande Storia, e c’era da sprofondare nella vita concreta degli esuli, persone destinate a un trasloco coatto, a cui non è concesso tornare indietro.
Nella motivazione di Andrea Vitali c’è tutta l’anima del libro: “… il neofita potrebbe usare E poi saremo salvi come viatico per entrare con stupore nel mondo in cui una penna riesce a raccontare il bello e il brutto della vita, i ricatti dei sentimenti, la necessità dell’egoismo quando si sta per affogare. Anche la pace di chi riesce a salvarsi pagando il debito di scelte inevitabili destinate a diventare cicatrice dell’anima”
Come ci si sente davanti a un Premio così ambito, oltretutto al tuo esordio?
Sorpresa, quasi strabiliata. Felice. Quando il libro è uscito non avrei mai pensato che potesse fare tanta strada e di sicuro lo Strega non era all’orizzonte. Poi, con i mesi, mi sono accorta che la storia Aida si stava facendo strada tra i lettori, in modo lento e capillare, solido. In questa crescita ha avuto un ruolo fondamentale l’editore, che ha sempre sostenuto ‘E poi saremo salvi’ con calore e con presenza.
Non possiamo chiudere gli occhi davanti al fatto che, il romanzo affronta un tema caldo in questo momento, come la guerra, anche se, a ben vedere, è un tema che scotta ogni giorno da diversi anni e in diverse parti del mondo.
Credo che la storia di Aida sia un esempio lampante di come la lettura possa, se espressa in maniera così forte, creare empatia fra chi la guerra la vive e chi, come noi, la guarda da lontano, forse troppo. Come vivi le news che arrivano dall’Ucraina in relazione alla storia che hai deciso di raccontare, che arriva da altre vicissitudini, molto prima che tutto ciò accadesse?
Quando la guerra in Ucraina è scoppiata, ho provato un forte effetto di straniamento. I due conflitti sono dissimili sotto diversi aspetti, per primo la grande bugia della questione etnica, che è stata preparata e impalcata intorno alla guerra nei Balcani per mascherare la rapina di un territorio e la spartizione delle sue risorse. Quello che accomuna le due situazioni è che si fronteggiano popoli che sono letteralmente imparentati tra di loro, legati da un tessuto concreto e secolare di convivenza pacifica. Questo rende ogni cosa, se è possibile, ancora più dolorosa.
Un autore nasce e cresce insieme ai romanzi che lo hanno formato. Quali sono le storie che hanno suscitato in te la voglia di scrivere e raccontare?
Tantissima letteratura americana e anglosassone: Jane Austen, Virginia Woolf, Truman Capote, e tra i contemporanei Cormac McCarthy, Elizabeth Strout, Alice Munro, James Ellroy. Sono stati i loro universi – formali e narrativi – a indicarmi una strada.
Ci piace sempre stuzzicare gli autori sui prossimi progetti. Ne hai qualcuno in cantiere di cui puoi parlarci?
Ce n’è uno, molto ambizioso – forse troppo – su cui sto lavorando dal 2019. In questo momento occupa tutte le mie energie. Preferisco non entrare nei dettagli perché non è ancora abbastanza a fuoco da poter essere raccontato.
Alessandra Carati
Alessandra Carati
Alessandra Carati vive a Milano. Questo è il suo primo romanzo.
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