da insegnare ai pappagallini
Recensione di Laura Salvadori
Autore: Gaudenzio Schillaci
Editore: Alter Erebus Press & Label srls
Genere: noir
Pagine: 381
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Vinicio è un professore di liceo e un perdigiorno professionista. Un uomo pieno di difetti che nella vita ha sempre avuto un punto fermo: piace alle donne. Una di queste si chiama Sveva, ha diciassette anni e studia nella sua classe. Mentre Bologna, fuori dalla finestra di casa sua, si affanna per ritornare alla normalità di un Settembre diverso da tutti gli altri, delle foto compromettenti finiscono sulla scrivania del Preside della sua scuola. Il giorno dopo, Sveva risulta scomparsa. Ad occuparsi di questo caso è Andrea Fago, ispettore di Polizia: cicatrice sotto al mento e bicchierino facile, mentre l’Italia va incontro all’ennesimo crollo del Governo e le strade diventano sempre più roventi tocca a lui capire che fine ha fatto la ragazza. Tra l’ammirazione e la sfida, tra l’amicizia e il sospetto, i due uomini si ritrovano a dover far collimare tutti i frammenti di quello specchio rotto che riflette la vita stessa di Vinicio. Braccato dalle televisioni, dalle donne del suo passato e da quelle che deve ancora amare, braccato persino da un uomo messo sulle sue tracce dai Servizi, Vinicio è in fuga dalle sue cattive abitudini, dalla sua vita di prima, dai portici di una Bologna assolata e rumorosa: alla ricerca di una verità che si rivelerà brutale.
Recensione
Nonostante le avvertenze che l’autore propina prima che il suo romanzo inizi, non nego che questo libro mi ha scandalizzato. Mi ha fatto sentire inadeguata, bacchettona, impreparata a leggere uno spaccato di vita di un uomo gaudente, malinconico e egoista, che vive per godere e per trovare i propri limiti. Menefreghista quanto basta, dotato del minimo sindacabile quanto a fascino eppure amato dalle donne. Che non si fa sconti e vive la vita come viene. Con un’idea di moralità che va a braccetto con qualsiasi forma di godimento. Scanzonato, lievemente misogino, tremendamente sessista, per quanto si sforzi di non sembrarlo.
Diciamolo pure: “Frasi sporche da insegnare ai pappagallini” si risolve interamente nel tratteggio del suo protagonista. Un uomo a tinte forti, che si ama o si odia, con una maggiore propensione, a mio avviso, verso l’antipatia. Vinicio di base ha un’idea delle donne piuttosto utilitaristica. Le donne gli servono, non può stare senza. Gli servono per tacitare le sue pulsioni. Gli servono per farlo sentire vivo.
Vinicio è un professore intrappolato nell’età di mezzo, quando si è troppo giovani per essere vecchi e troppo vecchi per essere giovani. In vita sua ha collezionato tante relazioni, con altrettante donne che non ha potuto evitare di trascinare nella sua vita. Ha vissuto, vive, in bilico tra le necessità morali derivanti dalla sua professione e le tentazioni della carne. A braccetto con il disordine, con la scarsa volontà di non cedere alle passioni di ogni genere. Blandito da un senso dell’umorismo che lo porta ad essere incorreggibile e solleticato dalla voglia di cogliere qualsiasi frutto che la vita gli pone davanti, senza curarsi troppo delle conseguenze.
La relazione con una sua studentessa minorenne sarà la goccia che fa traboccare il vaso che contiene i suoi eccessi; la sua scomparsa, una maledizione, che lo porterà alla ribalta della cronaca, infangato dall’amoralità di quel rapporto che pare deviato agli occhi di tutti. Quando Sveva scompare Vinicio si improvviserà detective, senza smettere mai di coltivare il suo orticello da sciupafemmine.
La narrazione è un’altalena di emozioni diverse, che scende a patti con la malinconia, la consapevolezza del tempo che passa e che non torna più, finanche a una qualche forma di poesia a cui, ogni tanto, si lascia andare il protagonista. Ed è anche una corsa contro il tempo, per scoprire la verità su Sveva e sulla sua sparizione.
Il dono dell’intreccio, del dialogo, del tratteggio dei personaggi non manca a Schillaci, che sa come manovrare una trama insidiosa e un fraseggio coraggioso e sfrontato. Certo è che il personaggio di Vinicio non teme mai di risultare intollerabile, seppure non esiti di mostrare i suoi lati oscuri.
Vinicio se ne frega di essere accettato, se ne frega di conformarsi alle aspettative degli altri. Segue il suo istinto, i suoi desideri senza temere di essere considerato egoista. Vinicio si prende gioco di noi lettori provocandoci e scandalizzandoci con un fraseggio spinto e irriverente, che non ha paura di mettere a nudo pensieri e desideri, anche i più inaccettabili. Vinicio millanta la sua innocenza e noi siamo pronti a spalleggiarlo, a credergli, a difenderlo.
Notevoli anche gli altri personaggi, uno su tutti Fago, il poliziotto incaricato delle indagini, un uomo che combatte ogni giorno con i propri scheletri e che non è poi così diverso da Vinicio. In verità, l’incontro scontro tra i due antagonisti è uno degli aspetti più belli del romanzo, che disegna un destino comune ai due, segnati dalla vita, disincantati e consapevoli che sopravvivere è di per sé la partita più difficile da giocare.
La Vita, del resto, sta in agguato ad attendere che sia consacrata la sua tirannia sull’uomo, che crede di manovrare i fili della propria esistenza ma che in realtà ne è solamente un pallido attore, imbeccato dal più crudele e cinico dei registri. Dietro l’angolo la follia gli fa l’occhiolino, unico spiraglio di libertà e autodeterminazione.
Ultimo cenno all’ironia di Schillaci, che colora l’intera sua opera di comparse brillanti e indimenticabili, in una Bologna attanagliata dall’acuirsi di una pandemia che pian piano si riappropria dei propri spazi e dall’annunciarsi di una crisi di Governo che rischia di intorbidire tutto. Una di questo comparse è l’autore stesso, che fa capolino tra le pagine. L’altra è un certo Davide Bovio, che i più attenti ricorderanno protagonista border line del primo romanzo di Schillaci. Non mancano infine i tributi alla terra sicula, che mai smette di intrappolare l’autore nelle spire dei ricordi.
Insomma, al netto delle scene piccanti, delle frasi spinte e dell’incessante sgretolamento della morale e dei buoni principi, “Frasi sporche da insegnare ai pappagallini” è un romanzo godibile, curioso, coraggioso. Un mezzo per scuotere le spalle del lettore, ormai assuefatto da storie preconfezionate ad hoc per piacere a tutti.
Una lettura che spacca, che taglia con la retorica del noir politicamente corretto, che vive per produrre sdegno e per ridestarci tutti dai nostri sogni telecomandati.
Un plauso a Schillaci per non essere caduto nelle lusinghe di quel conformismo letterario che annoia e che avanza indisturbato, senza ostacoli evidenti da superare. In fondo si può essere letti e apprezzati anche senza essere ruffiani. Provare per credere.
Gaudenzio Schillaci
Gaudenzio Schillaci è nato nel 1990 a Catania. Vive e lavora a Bologna. Appassionato di letteratura, di musica e di cinema, ha collaborato per anni con lo scrittore Alberto Minnella. La felicità si racconta sempre male è il suo romanzo di esordio. Uscito nel 2020, precede “Frasi sporche da insegnare ai pappagallini” uscito a luglio di quest’anno.