Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Francesca Diotallevi
Editore: Neri Pozza
Genere: Giallo / Narrativa
Pagine: 288
Pubblicazione: 14 ottobre 2021
Sinossi. Si possono coltivare le passioni in un tempo ingeneroso? Qualcosa di torbido e inesprimibile affiora alla superficie di questo romanzo. Ed è indefinito, difficilmente afferrabile eppure persistente, come il profumo che porta addosso Lucilla Flores, protagonista di questa storia fosca e al tempo stesso delicata e malinconica. Francesca Diotallevi, con una capacità di raccontare fuori dal comune, ci porta in una piccola provincia del Piemonte della seconda metà dell’Ottocento, dentro la casa di un aristocratico dedito a vigneti e poco d’altro. Dove la servitù inganna il tempo di un lavoro sempre uguale con qualche ingenuo pettegolezzo, e dove arriva a servizio un maggiordomo che prende il posto del vecchio zio appena scomparso. Ma nessun dio oscuro e severo sarebbe stato capace di tanto dolore e di tanta ingiustizia: verso una bimba innocente, e verso la moglie del conte, Lucilla, una donna con il volto «velato di oscurità», smarrita dentro un segreto che non le si addice, che non dovrebbe appartenerle, lei, la creatura più lieve, sospesa e innocente che si possa immaginare. Le stanze buie è una dichiarazione d’amore alle passioni, alla poesia, alla bellezza della natura, a quel femminile che ci meraviglia ogni volta che si rivela a noi. La storia di un amore negato, la prepotenza di un mondo chiuso e meschino, capace soltanto di nascondere, di reprimere, di lasciare che esistenze intere si lascino coprire dalla polvere della storia senza riscatto e senza futuro. Tra queste stanze ferite dal pregiudizio e dall’indifferenza, Francesca Diotallevi trova, però, una luce e una delicatezza quasi preraffaelita e in questo contrasto affila una lama che taglia sempre perfettamente. E mostra che la felicità non è nelle cose del mondo, se il tempo è ostile.
Recensione
Fine ‘800, una villa padronale isolata nelle Langhe, un maggiordomo impeccabile lì catapultato dal destino, Vittorio Fubini, un padrone di casa, il conte Amedeo Flores,
“di umore ombroso come il tempo, non sembrava avere altro interesse che le vigne che si perdevano a vista d’occhio giù per la collina, ed erano più i giorni che trascorreva rintanato nel suo studio che quelli in cui lo si vedeva in giro”, “Anche la padrona restava un mistero”,
Lucilla Flores vive rintanata nelle sue stanze con la figlia Nora affetta da non si sa quale malattia, la servitù indolente capitanata da una signora Novaro spigolosa e misteriosa, una cameriera personale della padrona, Ottavia, ancora più misteriosa e ostile.
A Francesca Diotallevi bastano pochi personaggi ben disegnati, pochi avvenimenti ammantati di dubbio e mistero, e una casa che pare possedere una vita propria, per farci piombare dritti in un’atmosfera gotica e intrigante. La casa, soprattutto, con le sue atmosfere cupe, le stanze buie, quelle chiuse, quelle silenziose, quelle in cui suonano campanelli invisibili o si vedono bagliori e ombre.
Sono presenze soprannaturali? O allucinazioni? Oppure sono reali?
“Il problema è la casa credetemi, talvolta accadono strane cose in questa casa. “
“Quando mi voltai per rientrare, mi sentii quasi sopraffatto dalla casa. Mi sembrò imponente,minacciosa e il suo interno un intricato labirinto di segreti taglienti come rovi, pronti a richiudersi intorno a chiunque avesse tentato di svelarli. Una sola luce brillava al secondo piano gettando sul selciato ai miei piedi un bagliore fievole e confuso. Era la finestra del signor Flores e io ero più che convinto di aver portato il lume con me, quando ero uscito al seguito del padrone.”
Ma non è finita qui. C’è un altro protagonista pronto a prendere il sopravvento in questa cupa storia: l’amore. Anzi, l’amore disperato.
“Ma ciò che provavo da quando vivevo in quella casa, lentamente mi aveva risvegliato e ora sperimentavo sulla mia pelle quanto l’amore, quando è privo di speranza, sia un veleno che si inghiotte un giorno dopo l’altro, senza mai morirne.”
Altre storie sono in serbo per noi, più di una, le cui tessere del puzzle Diotallevi ci svelerà lentamente attraverso lo sguardo di Vittorio, che in questa casa è destinato a subire un cambiamento profondissimo e a dare una sterzata inaspettata, quanto drammatica, alla propria (grigia) vita.
“Le stanze buie” è in realtà l’esordio di Francesca Diotallevi nel 2013, ma profondamente rimaneggiato a detta dell’autrice. Quanto profondamente non saprei, ma scommetto che se leggessi la prima versione non verrei delusa: la scrittura di questa giovanissima autrice è di una potenza e una maturità (e così anche il plot) degne di un autore più “consumato”.
Nutrivo grandi aspettative, dopo il suo successo al Premio Commisso Giovani under 35 nel 2019 con “Dai tuoi occhi solamente”. Non solo non sono state deluse, ma sicuramente sopravanzate.
Se amate il gotico, la narrativa, il giallo, il mistery, o tutti questi generi insieme, Diotallevi è un’autrice che sa destreggiarsi dall’uno all’altro senza perdersi, né annoiare. Anzi, prendetevi del tempo, perché una volta iniziato, non riuscirete a metterlo giù fino a che non abbiate letto l’ultima pagina. Garantito.
A cura di Sara Zanferrari
Francesca Diotallevi
è nata a Milano nel 1985. È laureata in Scienze dei Beni Culturali. Tra le sue opere Amedeo, je t’aime (Mondadori Electa, 2015), Dentro soffia il vento (Neri Pozza, 2016), vincitore della seconda edizione del Premio Neri Pozza sezione giovani e Dai tuoi occhi solamente (Neri Pozza, 2018), candidato al Premio Strega e vincitore del Premio Comisso sezione giovani, del Premio Manzoni e del Premio Mastronardi. Le stanze buie (Neri Pozza, 2021), oggi ripubblicato in una versione profondamente rivista, apparve, come suo romanzo di esordio, per Mursia nel 2013.
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