Recensione di Davide Piras
Autore: Andrea De Spirt
Editore: Il Saggiatore
Genere: Romanzo
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi.
“Non tutto quello che dici sull’isola rimane sull’isola. Dipende dal vento”.
Come si può colmare il vuoto della solitudine quando ti avvolge da ogni lato come il mare avvolge uno scoglio? Se lo chiede il protagonista di questa storia, che si è trasferito su un’isola remota sperando di trovare risposte sulla scomparsa, proprio su quelle sponde, del fratello F, forse suicida. La verità però sembra lontana, nascosta dai silenzi degli abitanti del posto; oscura come le pagine del libro che il fratello ha lasciato incompiuto e di cui lui sta cercando di scrivere un finale; ineffabile come le paure che lo paralizzano e lo spingono a chiudersi sempre più in se stesso; irraggiungibile, come l’isola a forma di balena che osserva dalla riva. Almeno fino a quando non incontra J, una ragazza in sella a una bicicletta rossa, che sembra nascondere la chiave per capire cosa sia successo a F e per sciogliere la patina di incomunicabilità di cui è prigioniero. In questo romanzo d’esordio Andrea De Spirt dona una nuova lingua alla solitudine: una scrittura sottile e trasparente come il ghiaccio che copre le onde, dentro la quale ognuno di noi può trovare il proprio riflesso.
Recensione
Incasellare in un genere “Ogni creatura è un’isola” sarebbe difficile e poco sensato. Questo perché si tratta di un’opera epistolare, di un diario, di un memoir, di un’indagine, di tanto altro.
La definizione più brillante (o forse no) potrebbe essere che siamo dinanzi a un “I dolori del giovane Werther 2.0”. Il titolo è l’alter ego della famosa poesia “Nessun uomo è un’isola” di John Donne, ene contraddice il significato. Donne sosteneva che nessun uomo può sentirsi solo all’interno dell’umanità, De Spirt ci propone invece la tesi opposta, quella che si rifà a al pensiero di Baudelaire:
“Siamo sempre, tragicamente soli, come spuma delle onde che si illude di essere sposa del mare e invece non ne è che concubina.”
Ed è ciò che accade al protagonista senza nome di questo romanzo, perso nella solitudine derivata dalla morte del fratello F., confuso nella condizione interiore che ti divora dall’interno e ti rende esule perché hai perso la tua terra, l’unica di cui ti importava veramente.
E si chiede se F. si sentisse un’isola quando ha deciso di suicidarsi. Una morte improvvisa che ha lasciato tanto in sospeso, parole mai dette, vuoti emotivi.
E un libro. Già, un romanzo che F. non ha mai concluso, ma che ha cominciato parlando di come topi e scarafaggi si lasciassero morire per propria volontà: forse una eco di ciò che egli pensava di fare in futuro. Il protagonista decide che si recherà nell’isola in cui è morto suo fratello e cercherà notizie di lui per tentare di scrivere la fine del libro, un modo per dare compiutezza alla vita di entrambi.
“Non è sempre facile riconoscere, nel momento in cui succede, l’esatto momento in cui è successo.”
I dolori del protagonista si alternano a estratti del libro di F., a ricordi d’infanzia e al diario delle ricerche svolte su quell’isola a caccia dei luoghi del fratello. L’isola è nebulosa, a tratti appare e scompare come fosse la Macondo di “Cent’anni di solitudine”. Così come gli abitanti, i quali paiono aver contratto la stessa malattia della memoria raccontata da Marquez: nessuno ha visto, né si ricorda di F. finché una giovane che pedala sulla sua bicicletta rossa apre la strada dei ricordi che fanno più male.
“Sono cinque anni che non ti parlo e oggi piove. La pioggia nelle isole è sempre strana: sembra una cosa (fuori posto). Credi che se avessimo passato più tempo insieme adesso mi ricorderei meglio di te? Eppure non sono venuto qui per ricordarti. Sono venuto qui per rimettere le cose in ordine, qualsiasi cosa significhi. Per non sentirmi più (fuori posto).”
De Spirt è uno scrittore molto giovane, fa parte di quella ristretta cerchia di autori che con coraggio stanno facendo letteratura sperimentale senza per questo rifuggire i dogmi sacri tanto cari a una parte di critica e lettori.
Ciò che ha fatto Remo Rapino con il linguaggio, De Spirt lo fa con lo stile, ed è così che combinando a modo suo parole, segni, simboli e simbolismi dà vita a una grammatica dei sentimenti che non può lasciare indifferenti. È un libro che va affrontato con predisposizione verso un impianto atipico, scaldato dal vento della novità.
I capitoli non esistono, il romanzo viene scandito da paragrafi molto brevi, 498 per l’esattezza, quasi che il protagonista avesse paura di percorrere senza il fratello F. dei tratti più lunghi. 498, una cifra che contiene 3 numeri esoterici: il 4, che è il numero perfetto per antonomasia, il 9 che è il numero della reincarnazione, e l’8 che è il simbolo dell’infinito. Perfezione, reincarnazione e infinito, aspetti che potrebbero legarsi ai desideri del protagonista verso il destino di suo fratello F. Egli dovrà scegliere se finire il libro per ottenere la perfezione delle cose compiute o lasciarlo incompleto, così com’è, per mantenere la bellezza dell’infinito, dei sogni, delle cose che non si sono fatte ma che un giorno potranno farsi.
“Ogni creatura è un’isola” è soprattutto un viaggio interiore del protagonista, un postulato di fisica quantistica: se c’è qualcosa là fuori, quella cosa è anche qua dentro. La ricerca di F. in quell’isola è la ricerca di F. dentro suo fratello che nella solitudine del luogo cerca anche quei frammenti di sestesso andati perduti dopo il lutto. Come diceva Sant’Agostino, quelli che amiamo, ma che abbiamo perduto, non sono più dove erano, ma sono sempre dovunque noi siamo.
Andrea De Spirt
Andrea De Spirt, veneziano, classe ‘89, dopo gli studi universitari in filosofia e un viaggio a New York alla scoperta di nuove visioni imprenditoriali, dal 2013 è CEO e Fondatore di Jobyourlife, il più grande sito Italiano per l’online recruiting, tanto da essere stato citato dalla rivista Forbes come una delle più innovative startup a livello internazionale per la ricerca di lavoro. “Ogni creatura è un’anima” è la sua prima opera letteraria.
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