Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Giorgia Tribuiani
Editore: Fazi Editore
Genere: narrativa
Pagine: 196
Pubblicazione: 24 febbraio 2022
Sinossi. È un pomeriggio di primavera quando, con lo stesso corpo e la stessa età del giorno della propria morte, Diego Valli risorge. Si risveglia sul pianerottolo di quello che era stato il suo appartamento, tira fuori le chiavi, prova a infilarle nella serratura ma si trova faccia a faccia con il figlio Oscar, lasciato bambino e invecchiato ormai di oltre quarant’anni. Da qui, ha inizio una vicenda di riconciliazioni e distacchi, una storia intensa e sincera sul rapporto tra padri e figli e sulla necessità del perdono. Una volta riconosciuto il padre, Oscar affronta il comprensibile straniamento aggrappandosi alle incombenze della quotidianità, mentre Clara, sua moglie, non crede al miracolo e si oppone all’idea di ospitare in casa uno sconosciuto. A complicare le cose, si aggiunge l’arrivo di Gaia, la figlia della coppia, che torna nella città natale per trascorrere le vacanze. Di nascosto dalla madre, che è spesso via per lavoro, Gaia finalmente ha l’occasione di conoscere suo nonno: un uomo profondo, amante della musica, più simile a lei di quanto sia mai stato suo padre. Oscar, al contrario, scoprirà aspetti di Diego che non pensava gli appartenessero.
Recensione
“Che una figlia, in un momento di sconforto, possa chiedere un padre capace di ascoltare e che allora gliene venga dato un altro; che le venga resuscitato un padre – più sensibile, più dolce, che ami la poesia e suonare la chitarra – poco prima del suo arrivo, giusto in tempo per l’arrivo, ma Gaia, per favore, c’è qualcosa in cui non ti senti causa? e chi vuoi mai che ti creda?”
Gaia è la figlia di Oscar e Clara, e nipote di Diego. Nulla di che, se non fosse che nonno Diego in realtà è morto ben prima della sua nascita, quando il padre Oscar aveva solo otto anni. Ma per uno strano scherzo del destino, il nonno è comparso lì sul pianerottolo, come se non fossero trascorsi 42 anni, ma solo una manciata di ore.
Comprensibile e, almeno inizialmente, quasi divertente lo sconcerto di tutti i personaggi in questo strano gioco delle parti, dove, dopo l’iniziale sbigottimento e incredulità, le tre generazioni, come dire, “direttamente” legate (solo Clara vorrà e ne resterà esclusa) si guardano e si riconoscono: il richiamo del sangue dice loro che è possibile, che sì, Diego è davvero quel Diego morto così giovane lasciando moglie e figlio a vivere e crescere nell’assenza del suo riferimento.
È della difficoltà di questo riferimento, sia dell’averlo sia del non averlo, che parla “Padri”, l’ultimo lavoro di Giorgia Tribuiani. Perché essere figli è tremendamente difficile, così come lo è essere padri, e tuttavia lo è da posizioni diverse con responsabilità, doveri, aspettative diverse. Anzino, in realtà le aspettative, quelle, non mancano da ambo le parti: i padri vogliono figli perfetti, tanto quanto i figli desiderano e credono nella perfezione dei propri genitori.
Una cosa sembra accomunarli tutti quanti, Clara compresa, ed è il desiderio di ascolto, di essere visti, riconosciuti. Come psicomotricista relazionale conosco l’importanza di questo atto tanto semplice, quanto troppo spesso assente: so che per un figlio è necessario “esser visto” dal genitore per essere così riconosciuto e in questo modo riconoscersi, sapere di esistere, sentire che i propri pezzi vanno tutti al loro posto.
In questo senso “Padri” mi ha molto parlato (forse troppo…): così ben raccontata è la sofferenza dell’Oscar cinquantenne con le stesse identiche mancanze e aspettative di quel bimbo orfano di otto, lasciato a bocca asciutta in una continua richiesta di attenzione e un continuo diniego da parte di un padre che è completamente spaesato in una situazione assurda, vivo non più morto, giovane quando dovrebbe essere vecchio, padre di un figlio più vecchio di lui, nonno di una nipote in cerca di padre.
E veniamo a Gaia, lei, la principale protagonista. Gaia con la G, come la Giada del primo romanzo di Tribuiani, la Ginevra del secondo, G come la Giorgia autrice stessa. Un gioco, quasi un vezzo, che mi piace, mi intenerisce. Gaia viene continuamente disorientata dalle “intemperanze” di nonno e genitori, tutti presi dalle proprie personali battaglie ed emozioni affatto mediate (come invece un sano rapporto coi figli vorrebbe), che travolgono a più ondate questa ventenne, che ancora presa dalla costruzione di sé, deve invece occuparsi ora del nonno, ora del padre, ora della madre. Continuamente “tirata per la giacchetta”, soprattutto fra i due genitori, come troppo spesso accade nei matrimoni che non funzionano, Gaia dovrà combattere per sentire, e non soccombere, alle proprie, stesse, emozioni, dovendo fare a meno della mediazione e del conforto di un qualche adulto autorevole della propria famiglia.
Quante volte succede? Sembra insinuarci questo interrogativo Tribuiani: e a voi, è successo? Perché interrogarsi sulle relazioni familiari alla fin fine è un viaggio incessante per tutti noi, originati da altri essere umani, eternamente figli di qualcuno, spesso genitori di qualcun altro, a nostra volta.
La scrittura è scarna, spesso manca la punteggiatura, si passa dal discorso diretto all’indiretto e viceversa, dal punto di vista di Gaia a quello di Oscar, di Diego, di Clara. Una sorta di vortice, da tanto è veloce, che risucchia, quasi claustrofobicamente, in una storia senza grandi sconti, qualche immagine tenera sicuramente appartenente alla memoria dell’autrice (mi sento di dirlo), mentre a questa alta velocità ci dice semplicemente che… questa è la vita.
Anche le insoddisfazioni, le debolezze, le attese, le delusioni. L’unica è perdonarsi e perdonare; l’amore è tutto quello di cui abbiamo bisogno, per quanto imperfetto possa essere.
A cura di Sara Zanferrari
Giorgia Tribuiani
è nata nel 1985 ad Alba Adriatica e vive a Pescara. Laureata in Editoria e giornalismo, ha collaborato con agenzie di stampa locali e nazionali e diverse testate giornalistiche e ha curato la comunicazione online di due multinazionali. Attualmente lavora nel campo della comunicazione digitale ed è docente della Bottega di narrazione di Giulio Mozzi. Ha pubblicato la raccolta di racconti Cronache degli artisti e dei commedianti (Tespi 2008) e nel 2018 è uscito il suo primo romanzo, Guasti (Voland). Con Fazi Editore, nel 2021 ha pubblicato Blu.
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