Recensione di Salvatore Argiolas
Autore: Friedrich Dürrenmatt
Traduzione: Margherita Belardetti
Editore: Adelphi
Genere: Giallo
Pagine: 120
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Il vecchio commissario Bärlach è a fine corsa. A pochi giorni dalla pensione, giace in un letto d’ospedale. Il complesso intervento a cui è stato sottoposto è andato bene, sì, ma gli è stata diagnosticata una malattia senza scampo. È messo male, Bärlach, e le riviste che ha a disposizione per distrarsi non lo distraggono affatto: «Erano bestie, Samuel … Tu sei un medico e puoi renderti conto. Guarda un po’ questa fotografia» dice all’amico Hungertobel porgendogli un numero di «Life» del ’45. Una scena di inaudita efferatezza: nel campo di concentramento di Stutthof il dottor Nehle, medico del lager, con «l’imperturbabilità di un idolo» sta operando un prigioniero senza narcosi. Di colpo Hungertobel impallidisce. In quella foto gli è parso di riconoscere il suo antico compagno di studi Emmenberger, ora stimato proprietario della più esclusiva clinica di Zurigo, un luminare amato dai suoi pazienti, che «credono in lui come in un dio». L’atroce sospetto, però, non tarda a rivelarsi infondato, anzi «una follia»: dalle informazioni che Bärlach riesce a ottenere risulta infatti che Nehle si è tolto la vita alla fine della guerra. Eppure qualcosa non gli torna. Ci sono strane discrepanze – e ancor più strane somiglianze: le figure di Nehle ed Emmenberger sembrano confondersi. Negli occhi di Bärlach, stretti a fessura, torna a brillare l’antica vitalità quando convince Hungertobel a farlo trasferire sotto falso nome, come paziente, nella clinica di Emmenberger. Lì potrà condurre la sua ultima, solitaria battaglia contro il Male.
Recensione
Il commissario Bärlach è malato e nell’ospedale di Salem, vicino Berna, dov’è ricoverato gli capita di vedere, in una rivista, la foto che ritrae Nehle, il chirurgo di un campo di concentramento nazista mentre opera un prigioniero senza anestesia.
Siamo alla fine del 1948, le ferite della guerra non si sono ancora cicatrizzate e Bärlach sta per andare in pensione ma questo fatto lo attrae e quando il suo amico medico Hungertobel impallidisce guardando la foto, capisce che forse i due medici si conoscevano.
“Sono un vecchio medico” gli dice l’amico “e non vorrei fare del male a nessuno. Il tuo sospetto è una follia. Non si può sospettare di una persona alla leggera, solo sulla base di una fotografia, tanto che non mostra un granché della faccia. E poi lui era in Cile, è un dato di fatto”.
Però “Niente è più difficile di annegare di un sospetto perché niente torna di continuo a galla più facilmente” e il vecchio e stanco commissario inizia ad indagare sulla strana rassomiglianza tra Nehle e Emmenberger, vecchia conoscenza di Hungertobel e proprietario della clinica Sonnenstein, nel Zurighese.
Bärlach affronta il caso come un’indagine personale perché “un poliziotto ha il dovere di mettere in dubbio la realtà. E’ così che va. A questo riguardo dobbiamo procedere come i filosofi, dei quali si dice che innanzitutto dubitano di ogni cosa.” e gradatamente, anche grazie all’aiuto di Gulliver, un ebreo scampato all’olocausto che conosceva bene Nehle, riesce a farsi un’idea nitida di quanto sia successo.
Dürrenmatt utilizza gli schemi del romanzo giallo per stravolgerli, criticando la pretesa che si possano spiegare in modo razionale le azioni degli uomini.
“Il sospetto” continua la riflessione intorno al concetto di giustizia, cominciato con “Il giudice e il suo boia” e che verrà completato con il romanzo “La promessa”, che ha il significativo sottotitolo di “Requiem per il romanzo giallo”, dove Dürrenmatt scrive l’epitaffio funebre sulla pretesa di dominare con la logica i comportamenti umani mentre sostiene che è il caso a giocare un ruolo decisivo nelle nostre vite e quella che sovente viene chiamata abilità è soltanto fortuna, anche se non viene percepita come tale perché nel suo universo letterario il mistero non si lascia più penetrare dalla fredda razionalità.
“Le nostre leggi si fondano soltanto sulla probabilità, sulla statistica, non sulla causalità, si realizzano soltanto in generale, non in particolare. Il caso singolo resta fuori dal conto […] Ma voi scrittori di questo non vi preoccupate. Non cercate di penetrare in una realtà che torna ogni volta a sfuggirci di mano, ma costruire un universo da dominare. Questo universo può essere perfetto, possibile, ma è una menzogna” – scrive infatti il romanziere – perché “un fatto non può ‘tornare’ come torna un conto, perché noi non conosciamo mai tutti i fattori necessari, ma soltanto pochi elementi per lo più secondari”.
“Il sospetto” è un romanzo breve ma denso dove lo scrittore e drammaturgo svizzero mette il suo Paese natale sul banco degli accusati “La Svizzera ha fatto di me un folle, uno svitato, un Don Chisciotte che combatte contro mulini a vento e greggi di pecore. E poi ci si dovrebbe schierare dalla parte della libertà e della giustizia e di articoli similari offerti sul mercato del merito patriottico, e magnificare una società che ti costringe a condurre l’esistenza di un pelandrone, di un mendicante se vuoi votarti allo spirito invece che agli affari. Tutti vogliono godersi la vita, ma non vogliono mollare neanche un millesimo di questo godimento.”
Spirito critico di una nazione irrigidita in un ordinamento borghese dove non esiste giustizia e dove “i peggiori farabutti vengono lasciati in circolazione e i pesci piccoli finiscono in galera”, Dürrenmatt ne “Il sospetto” pone tanti interrogativi sull’effettiva possibilità di ottenere giustizia: “In generale ci sono un sacco di crimini a cui nessuno bada solo perché sono un po’ più estetici di un omicidio, che salta all’occhio, e per giunta finisce sui giornali, eppure tutti sortiscono lo stesso risultato, se vi si pone mente con attenzione e fantasia.”
E’ emblematico che sul criminale Emmenberger indaghi soltanto un commissario malato, arrivato alla fine della sua carriera e della sua vita mentre il sistema gli ha consentito di vivere alla grande e perpetuare i suoi crimini in uno scenario cupo e illividito,
“Dal cielo nero, smorto, cominciò a cadere la pioggia, poi la neve, e alla fine di nuovo la pioggia, fili d’argento davanti ai fari. Gente! Gente! Sempre nuove masse dilagavano su entrambi i lati della strada, oltre la cortina di neve e di pioggia.”
La lettura de “Il sospetto” sostanzia l’affermazione di Durrenmatt che disse:
“Io non scrivo gialli, scrivo filosofia” e condensa in poco più di cento pagine tutti i temi principali della narrativa del grande scrittore svizzero mettendoci di fronte al fatto che “appartiene alle menzogne ormai consacrate la circostanza che tutti i criminali trovino la punizione che si meritano, come pure il pio detto che il delitto non paga, mentre basta semplicemente considerare la società umana per capire dove stia la verità a questo proposito.”
Friedrich Dürrenmatt
Dopo un’infanzia travagliata durante la quale ebbe già problemi di alcol, si diplomò e studiò filosofia e lingue germaniche a Zurigo e a Berna. Iniziò a scrivere dopo la Seconda guerra mondiale, ispirato dalla lettura di Lessing, Kafka e Brecht, cimentandosi nella scrittura di racconti brevi e pezzi teatrali. Le sue prime opere abbondano di elementi macabri; e spesso trattano di omicidi, torture e morte. Si affermò nell’ambito teatrale, facendosi una fama di autore polemico, paradossale e iconoclasta. La sua cifra stilistica si attestò in seguito sul registro di un anticonformismo sarcastico, capace di avvalersi anche degli strumenti del grottesco. Col connazionale Max Frisch, Dürrenmatt è stato protagonista del rinnovamento del teatro di lingua tedesca. Virando al grottesco, e sempre mantenendo un punto di vista eticamente saldo, i problemi della società sua contemporanea, ha smascherato le meschinità nascoste dalla facciata perbenista e piccolo borghese della società svizzera.
Il tema della giustizia è onnipresente nell’opera di questo scrittore, che fu anche pittore ritrattista e caricaturista.
Fra i suoi romanzi più celebri, ricordiamo “Il giudice e il suo boia” (1950), “Il sospetto” (1951), “La promessa” (1957).
Un’intensa attività di autore di racconti brevi è documentata da diverse raccolte, edite anche in lingua italiana.
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