TRIO (Trio, 2020)
Autore: WILLIAM BOYD
Editore: Neri Pozza
Traduzione: Massimo Ortelio
Genere: Narrativa
Pagine: pagg. 320
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Elfrida Wing si è svegliata con un titolo in mente, un titolo perfetto per il suo nuovo romanzo. Un titolo che va ad aggiungersi a tanti altri titoli perfetti di libri che non hanno mai visto la luce. È da qualche tempo, infatti, che Elfrida non riesce a mettere giù delle storie degne di questo nome. Per questo non appena suo marito, il regista Reggie Tipton, esce per andare sul set, allunga il succo d’arancia con la vodka. Talbot Kydd, produttore figlio di produttore, si desta di soprassalto con un sogno che ancora indugia dietro le sue palpebre: un giovane sconosciuto esce dal mare rivolgendogli un cenno di saluto, il corpo snello, nudo. Felicemente sposato, in buona salute, figli ormai grandi, ragionevoli soddisfazioni professionali, Talbot avrebbe di che sorridere alla vita, ma deve fare i conti con uno strano malumore o, meglio, un senso di angoscia strisciante di cui non riconosce le ragioni. Anny Wiklund, stella che brilla nel firmamento cinematografico, riprende gradualmente coscienza di sé dopo l’ennesima notte brava e, come ogni mattina, si chiede se oggi morirà. Poi si rende conto del ragazzo addormentato di fianco, nel letto, e pensa che da tanto tempo non faceva l’amore con uno più giovane di lei, uno che crede ancora che la vita sia un gioco. È l’estate del 1968 e, mentre nel mondo divampano proteste e rivolte, Elfrida, Talbot e Anny si trovano nella soleggiata Brighton, coinvolti nelle riprese di un film funestate da un’infinita serie di calamità, in un momento cruciale della loro vita. Attraverso il racconto indiscreto e irresistibile dei sotterfugi, delle improvvisazioni e delle situazioni grottesche che caratterizzano le riprese di un film dal titolo assurdo e pomposo, William Boyd compone con “Trio” un romanzo sulle ombre e le inquietudini di un’epoca – il ’68, l’anno delle utopie di liberazione e dell’assassinio di Robert Kennedy e di Martin Luther King – che penetrano nell’animo non soltanto dei suoi grandi protagonisti, ma anche di alcuni suoi figli minori.
Recensione di Marina Morassut
Brighton, Inghilterra, 1968.
Duplicità. La resa. La fuga.
Il Trio di William Boyd è principalmente un condensato di queste tre persone: Elfrida Wing, scrittrice alcolizzata e interessata al suicidio di Virginia Woolf, sia dal punto di vista letterario che del vissuto; Talbot Kydd, produttore cinematografico e definito un soldato nel mondo dello spettacolo, figlio d’arte, e uomo in cerca di una sua nuova identità, soprattutto umana; Anny Viklund, giovane attrice americana scoperta per caso e che al momento dell’entrata in scena nel romanzo, ha una relazione segreta con il suo co-protagonista, l’ancora più giovane cantante Troy Blaze.
Intrecciate a queste tre figure portanti del romanzo, legate peraltro da fortuite circostanze lavorative, la produzione appunto di un film tratto da un romanzo, tutta una serie di comprimari, tra cui vale la pena citare sicuramente il regista Reggie/Rodrigo, che è anche il marito della scrittrice Elfrida Wing. Riportiamo nuovamente Talbot Kydd il produttore cui abbiamo appena accennato, che legherà a sé ed incatenerà l’uno all’altro diversi personaggi, oltre agli altri due protagonisti principali e nuovamente l’attrice Anny Viklund, di origine svedese, che porterà in scena anche l’ex marito, attentatore radicale fuggito di prigione ed inseguito dall’FBI, e l’attuale compagno, uno scrittore/filosofo francese, parimenti radicale.Intriganti i primi tre capitoli, dove Boyd ci presenta i tre protagonisti di mattina, mentre si stanno svegliando in una nuova giornata, a metà circa delle riprese del film che si sta girando.
La scrittrice Elfrida si risveglia nello stesso modo in cui descriverà l’ultima giornata di vita di Virginia Woolf, nel romanzo che sta disperatamente cercando di creare, a distanza di dieci anni dall’ultimo libro di successo che ha pubblicato.
Il produttore Talbot si risveglia, solo, nell’ennesima camera d’albergo, dopo aver sognato “una spiaggia bianca ed un giovane nudo che usciva dalle onde”… Forse il fratello che, meno fortunato di lui, non è tornato dalla Seconda Guerra Mondiale? Ricordi e consigli del padre, famoso produttore, si accavallano nella sua mente mentre si prepara per raggiungere il set ed iniziare la giornata lavorativa.
L’attrice Anny più prosaicamente si sveglia accanto al suo nuovo amante, ritardando la sua giornata lavorativa, e di conseguenza quella di tutte le persone che lavorano con lei, tra cui truccatori, regista e produttore.
“La vita più vera e interessante della maggior parte delle persone trascorre al riparo della segretezza”. Anton Checov
“Vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo”. Albert Camus
E in queste due frasi c’è l’intero mondo del romanzo di William Boyd, che nel 1983 era stato selezionato dalla rivista letterario Granta, tra i venti migliori giovani scrittori britannici insieme a Martin Amis e Ian McEwan.
Del resto anche la scelta di Brighton, la Las Vegas inglese, e l’anno 1968, sono propedeutici ai temi che sviluppa Boyd nel romanzo.
Il 1968 è stato senza dubbio un anno “pilota” e di sconvolgimenti: la guerra in Vietnam, l’assassinio di Marter Luther King e Robert Kennedy, gli Apollo e i Soyuz alla conquista dello spazio, la “Rivoluzione culturale” di Mao Zedong, e il Movimento del Sessantotto e la Rivoluzione sessuale…
Un romanzo che grazie ai tre protagonisti principali genera una serie di sotto-trame tutte interconnesse e parimenti interessanti, dove ciascuno è al contempo attore, regista e pubblico della sua – e della vita degli altri, mentre senza farsi sentire, quasi in punta di piedi, William Boyd porta alla luce la disperazione di quello che diventa il business dello scrivere, quando il successo non basta mai e ad ogni nuovo best-seller ne deve necessariamente e urgentemente seguire un altro. E il ridicolo della recitazione, quando deriva da una sceneggiatura che viene manipolata a seconda delle necessità di creare una parte “posticcia” per un attore che si deve forzatamente far recitare, oppure della modifica della trama perché l’attrice principale è fuggita.
E quindi Boyd, lungo tutto il romanzo, mette in scena la simbiosi tra caso e destino, improvvisazione e sceneggiatura, arte e tensione che da questa deriva, vita e morte, casualità e determinazione radicale.
Alcuni passaggi poi sono rivelatori e al contempo di incredibile attualità, come ad esempio la scena del compagno francese di Anny, il filosofo Jacques, che trasforma l’inseguimento dell’FBI in una crociata politico-radicale, alla quale fortunatamente, in un empito di risveglio intellettivo, la docile Anny si sottrae.
Oppure la scena nella quale la scrittrice Elfrida tenta il medesimo suicidio portato a compimento da Virginia Woolf: ma disturbata da uno scrittorucolo e da turiste mentre tenta di ricreare per sè stessa l’atmosfera, si allontana seccata dal fiume Ouse. Non sarà comunque un epilogo felice per tutti, ma così è la vita.
E nonostante ciò, alcune testate come il Guardian, il New York Times e il Washington Post, rimproverano a William Boyd di non aver calcato maggiormente l’acceleratore su situazioni più incandescenti e disperate. Ed effettivamente, a lettura conclusa, forse proprio a causa del protagonista che lega a sé molte delle situazioni e dei personaggi, il produttore Talbot, si intuisce la mancanza di una rabbia più esplosiva, che nel romanzo sembra proprio essere assente.
Nonostante ciò, per la fluidità del racconto, i dialoghi perfettamente calibrati, le scene facilmente visualizzabili, il contesto sociale accennato ma ben descritto e i rimandi letterari, il romanzo tocca parecchi nervi scoperti della società – e soprattutto, nonostante la convivenza più o meno forzata con noi stessi e con gli altri, resta di fondo la consapevolezza, che lo scrittore mette in evidenza senza veli, che noi vediamo di noi stessi solo ciò che vogliamo vedere – e lasciamo vedere agli altri un noi stesso imperfetto e soprattutto non reale, ritornando così alla frase riportata in apertura da Boyd.
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William Boyd
Scrittore e sceneggiatore di origini scozzesi. Nasce in Ghana e trascorre parte dell’infanzia e della giovinezza in Nigeria. Conclude gli studi in Francia e poi a Glasgow, laureandosi in filosofia. Si trasferisce poi a Oxford e infine a Londra dove collabora come opinionista al settimanale «New Statesment». Nel 1981 esce il suo primo romanzo, Un buon uomo in Africa e nel frattempo appare in alcune trasmissioni televisive. Nel 1983 è selezionato tra i venti migliori giovani scrittori britannici (insieme a Ian McEwan e Martin Amis) dalla rivista letteraria «Granta»; nello stesso anno, inoltre, diventa membro della Royal Society of Literature. Attualmente vive con la moglie Susan, editrice, tra il quartiere Chelsea di Londra e il castello Bergerac in Francia, dove produce apprezzati vini. Per Neri Pozza pubblica nel 2015 Ogni cuore umano, nel 2016 Una dolce carezza e nel 2019 Le nuove confessioni.
A cura di Marina Morassut