Come cerchi nell’acqua




LE INDAGINI DI LAIDLAW


Autore: WILLIAM McILVANNEY

Editore: Feltrinelli

Traduzione: Alfredo Colitto

Genere: Narrativa poliziesca

Pagine:  pagg. 266

Anno di pubblicazione: 2013

Sinossi. Eccentrico, taciturno, pensatore di paradossi, amante del whisky e delle belle donne, ma anche di T.S. Eliot e di Camus: è Jack Laidlaw, ispettore della polizia di Glasgow. Animato da un rigoroso ideale di giustizia che lo porta ad agire secondo un codice morale tutto suo, Laidlaw è un battitore libero: si muove nelle squallide periferie di Glasgow, intrattiene rapporti fin troppo stretti con i gangster locali e si sente a casa là dove nessun poliziotto osa mettere piede. Quando la diciottenne Jennifer Lawson viene assassinata, Laidlaw è senz’altro il più adatto a intervenire. Aiutato dal volonteroso ma acerbo Harkness, dovrà indagare tra pub fumosi e squallidi club, fare domande scomode, scavare negli angoli più bui della città, alla caccia di un uomo che sono in molti – anzi, decisamente in troppi – a cercare. Sulle sue tracce, infatti, ci sono anche il padre di Jennifer, deciso a farsi giustizia da sé, bande di vigilantes del quartiere e criminali disposti a tutto pur di proteggere i loro traffici. Uomini duri, persino più pericolosi e colpevoli del vero assassino. Primo di una trilogia pubblicata originariamente nel 1977, il giallo scozzese che ha ispirato un’intera generazione di scrittori, da Ian Rankin a Irvine Welsh.

Recensione


Storia di un’indagine dinamica, perché questotartan noir”, mai come in questa prima avventura dell’ispettore Jack Laidlaw mette in campo una “cerca” che si sviluppa nella Glasgow povera e malfamata degli anni Settanta del secolo scorso, che serve a risolvere il caso dello stupro e omicidio di una diciottenne, ma anche a costruire un palcoscenico per i violenti e a volte patetici protagonisti di questa storia, non escludendo da questa ancor tribale umanità anche i poliziotti e soprattutto proprio lui, l’ispettore Laidlaw, che si dibatte in questa prima vicenda tra vita da poliziotto di razza, ma ritenuto un outsider da capi e colleghi, e tristi problemi personali.

Inizia come un classico questo noir, dando subito conto della fuga dell’omicida, a stupro ed assassinio appena compiuto. Ma il padre del genere tartan noir è fin troppo cosciente che rivelare troppo e fin da subito dell’assassino potrebbe far perdere mordente alla storia. Ed allora ci parla sì con la voce del killer, ma senza svelare di fatto esattamente chi è, senza darci la possibilità iniziale di collegarlo a qualche altra comparsa della vicenda. E soprattutto senza permetterci di metterlo in relazione alla vittima.

E possiamo sicuramente far confluire questo hard-boiled scozzese anche nella così detta “inverted detective story”: sin da subito, come detto, sappiamo chi è l’omicida, anzi, è proprio lui che nel primo capitolo ci parla e ci fa capire chi è, con un soliloquio così malinconico, criptico e disperatamente nero da farci quasi dimenticare che lui è un mostro e non un essere umano bisognoso di essere – anche – compreso.

A differenza però del classico giallo di matrice inglese, qui l’omicidio è faccenda sporca, violenta, con sangue e materia corporale che si presenta ai poliziotti, e prima ancora agli sfortunati civili che ritrovano i poveri resti di Jennifer.

Di violenza, rabbia, paura, normalità che si fa mostruosa, rapporti omosessuali e rassegnazione femminile è disseminato il romanzo intero di William McIlvanney, che si serve di frasi spietate, con parole e descrizioni scelte con precisione certosina e con una prosa scarna e poetica finanche quando parla dei quartieri malfamati di Glasgow, ma soprattutto quando fa parlare i suoi personaggi, con pensieri a tutto tondo che evolvono di pari passo alle situazioni e che tengono al corrente il lettore di tutto quanto sta accadendo.

Sono diversi i valori che mette in campo l’autore e, giusto per una delimitazione preliminare, la più importante è sicuramente il lavoro svolto tra mille dubbi da Laidlaw, atto a mantenere uno status quo nella Glasgow che ci descrive amorevolmente e in cui vive, cercando di arrestare i colpevoli senza però trasformarli in mostri – e cercando di arrivare all’assassino prima di tutta l’onda che si sta muovendo ed alzando sempre più, via via che il passa parola interessa prima il padre e poi malavitosi che vedono nell’uccisione del barbaro violentatore e assassino una via migliore per risolvere il problema rispetto all’arresto.

William McIlvanney, padre del “tartan noir”, termine coniato da James Ellroy per definire quella strana fusione di generi, dall’hard boiled al noir fino al poliziesco sviluppatosi in Scozia e diventato poi da sotto-genere a genere con un proprio distinto pedigree di tutto rispetto, è lo scrittore che è stato in grado di influenzare generazioni di scrittori, che rispetto a questo capostipite non hanno, come accennato poco fa, lo stile poetico con costruzioni letterarie inconsuete, ritmi che da forsennati si fanno elucubrativi e quieti, per tornare poi nuovamente rabbiosi e infine descrittivi di un’umanità che riconosciamo, eppure che vorremmo non vedere.

Ricordiamo a tal proposito che per una quindicina di anni l’autore insegnò inglese, e quindi è basilare prestare attenzione alle citazioni e agli aforismi con cui l’autore si diverte, probabilmente, a puntellare la sua opera. Non che tenti di nasconderli, considerato che ci fornisce le citazioni su un piatto d’argento, ad esempio quando facciamo la conoscenza dell’ispettore quarantenne Laidlaw, cita subito una frase di T.S. Eliot, e subito dopo si chiede se aprire il cassetto della scrivania in ufficio, dove tiene Kierkegaard, Camus e Unamuno, come se fossero bottiglie di liquore da tenere nascoste.

Oppure i nomi stessi di Laidlaw (law, legge e laid, passato del verbo giacere) e del novellino che viene affiancato a Laidlaw, Harkness (Darkness).                                

In questo romanzo di McIlvanney cè un’umanità che si fregia di tanti tipi di amore, alcuni puri, altri che del sentimento che dovrebbe essere salvifico non hanno nulla a che vedere. Perché in questa città depredata dalla povertà più nera restano sul campo le vere vittime, in vita come in morte. Vittime che hanno cercato di costruire una vita “normale” e che la vita come ricompensa ha trasformato in meri sacrifici umani e il cui destino sacrificale purtroppo non insegnerà mai niente ai propri simili.

E cui l’autore, lungo tutto il percorso del romanzo, dedica una compassionevole analisi.

L’epilogo seguirà tutta la narrazione del romanzo e sarà senza una risoluzione del caso che porti a quelle stesse vittime una qualche sorta di pace. Non per Jennifer, non per l’assassino, e nemmeno per le persone che erano vicine a questi due giovani, cui la famiglia, la società e la città stessa hanno tarpato le ali, prima ancora che iniziassero a volare.

Ogni speranza resterà appunto tale, solo una mera speranza, senza nessun divenire.

Nessuna gloriosa risoluzione del caso da festeggiare. Solo la coscienza pulita per aver fatto al meglio questo sporco lavoro, evitando una faida a cascata, sempre più violenta, aggiungendo un tassello di tristezza in più nella società e nella propria vita personale.

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William McIlvanney


1936, Kilmarnock (Scozia). Figlio di un minatore, si è laureato all’Università di Glasgow e per quindici anni ha insegnato inglese prima di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Tra i suoi romanzi, The Big Man (Tranchida, 2003), Feriti vaganti (Tranchida, 2004). Come cerchi nell’acqua. Le indagini di Laidlaw (Feltrinelli, 2013) e Il caso Tony Veitch. Le indagini di Laidlaw (Feltrinelli, 2014) fanno parte della serie con protagonista l’ispettore Jack Laidlaw. William McIlvanney è inoltre autore di poesie, saggi e articoli giornalistici.

A cura di Marina Morassut

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