Bandiere nella polvere




Recensione di Denise Antonietti


Autore: William Faulkner

Traduzione: Carlo Prosperi

Editore: La Nave di Teseo

Genere: Narrativa

Pagine: 512

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. La famiglia Sartoris è un’istituzione della contea di Yoknapatawpha, Mississippi: il colonnello John, il patriarca, dopo aver combattuto i nordisti ha costruito la ferrovia che collega questo sperduto angolo di sud al resto degli Stati Uniti, ed è considerato un eroe locale. Ma ora che il vecchio John non c’è più e la prima guerra mondiale è finita, gli eredi della casata devono affrontare molti cambiamenti insieme alla loro servitù, una famiglia nella famiglia che abita la grande tenuta alle porte di Jackson. La guerra lascia un segno indelebile sulla generazione più giovane dei Sartoris, contro il quale nulla possono il capofamiglia Bayard Sr. e la vispa zia Jenny. Bayard Jr. torna dall’Europa senza il gemello John, abbattuto in azione ai comandi del suo caccia. Il senso di colpa per la perdita del fratello, benvoluto da tutta la comunità, trova quiete solo nell’alcol e nella ricerca della velocità su qualunque mezzo, da uno stallone selvaggio fino alla macchina e all’aereo, in una sfrenata attrazione per il rischio che è l’eredità fatale dei Sartoris, e che neppure l’arrivo di un amore, Narcissa Benbow, sembra in grado di frenare. Con Bandiere nella polvere, il premio Nobel William Faulkner compie un romanzo corale ed epico che attraversa la storia del Novecento: dà voce alla segregazione razziale, mostra le cicatrici della guerra, racconta la giovane America che sta nascendo sotto le ceneri del passato. Questa nuova traduzione di Carlo Prosperi, finalmente condotta sull’edizione integrata curata da Noel Polk, restituisce la lingua variegata dei personaggi di Faulkner, una ballata del sud dolente e sincopata che ci immerge come mai prima nel suono luminoso del Mississippi.

Recensione

Bandiere nella polvere è una storia di dannazione: del protagonista, della sua famiglia, di un Sud aggrappato a ricordi di gloria perduta e per buona parte solo immaginata, di un’umanità che rincorre il mito di se stessa senza raggiungerlo mai.

La prima dannazione è quella dei Sartoris: un destino beffardo marchiato a fuoco su ciascuno di loro, fin dall’alba dei tempi, di andare incontro alla morte in modo eroico, ridicolo e insensato. Di cercarla, forse, come in una sorta di profezia che si autoavvera.

L’ultimo dei Sartoris, Bayard Jr., è protagonista di una vita che non cerca e che non vuole. A ventisei anni si domanda quanto ancora dovrà portarsi sulle spalle il fardello dell’esistenza; bello, dannato, tormentato dal senso di colpa di avere lo stesso sangue di John, il fratello gemello, ma di non essere morto su quell’aereo al posto suo. Il suo destino, come nelle tragedie greche, è già stato deciso dal nome che porta, e dal Fato.

Bayard nell’esistenza cerca la sua fine, cammina in bilico al confine con la morte, soprattutto quando sa di rischiare di cadere; affoga i suoi fantasmi nel liquore di contrabbando, e cerca di lasciarseli alle spalle correndo in automobile più veloce del vento. L’amore, per lui, è una gruccia su cui appendere i dolori quando è stanco di indossarli, e Narcissa, quando lo sposa, lo sa.

Faulkner racconta la storia dei Sartoris e della vita che scorre loro intorno in maniera discontinua, saltando di casa in casa, di personaggio in personaggio.

Usa una tecnica insolita nel narrare: gli eventi eclatanti vengono lasciati a margine, a fare da cornice: il lettore intuisce matrimoni, gravidanze, funerali, senza che gli vengano raccontati. È come se l’autore ci svelasse una verità tutto sommato incontestabile, che questi aspetti della vita sono uguali per tutti, e quel che rende ognuno diverso, speciale, unico, è la maniera di vivere negli attimi intimi appena prima o appena dopo.

Quando nasce l’ultimo membro della famiglia, Narcissa cerca di garantirgli una possibilità di redenzione, spezzando la catena di nomi uguali che i Sartoris avevano tramandato nei secoli assieme alla loro condanna.

Ma la voce disincantata di zia Jenny ci rammenta che cambiare il nome alle cose spesso non basta per piegarne la natura.

A cura di Denise Antoniett

https://deniseantonietti.wordpress.com

 

William Faulkner


nasce a New Albany, nel Mississippi. Tra i suoi romanzi più famosi, ricordiamo L’urlo e il furore (1929), Mentre morivo (1930), Luce d’agosto (1932), Gli invitti (1938) e Assalonne, Assalonne! (1936). Faulkner fu anche uno scrittore prolifico di romanzi brevi: la sua prima raccolta, Queste 13 (1931), comprende alcune delle sue storie più conosciute. Durante gli anni ’30, nel tentativo di guadagnare qualche soldo, Faulkner ebbe l’idea di Santuario, un romanzo che oggi verrebbe definito “pulp” (pubblicato per la prima volta nel 1931). Faulkner ricevette il Premio Pulitzer per Una favola, e vinse il National Book Award (postumo) per la sua The collected stories. Faulkner è stato anche un apprezzato autore di romanzi polizieschi. Nei suoi ultimi anni Faulkner si trasferì a Hollywood per lavorare come scenografo (suoi sono i copioni del Grande sonno di Raymond Chandler e di Avere e non avere di Ernest Hemingway, entrambi diretti da Howard Hawks). L’ultima parte della sua vita fu purtroppo segnata da un grave problema di alcolismo. Questo non gli impedì tuttavia di presenziare all’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura e di pronunciare uno dei discorsi più significativi mai ascoltati in tale occasione. Faulkner decise di devolvere il proprio premio per la costituzione di un fondo che avesse come scopo quello di aiutare ed incoraggiare nuovi talenti letterari. Morì a sessantaquattro anni, il 16 luglio 1962, ad Oxford, Mississippi

 

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