Canta, spirito, canta




Recensione di Marina Morassut


Autore: Jesmyn Ward

Traduzione: Monica Pareschi

Editore: NN Editore

Genere: Narrativa

Pagine: 268

Pubblicazione: 05/2019

Sinossi. Jojo ha tredici anni, e cerca di capire cosa vuol dire diventare un uomo. Vive con la madre Leonie, la sorellina Kayla e il nonno Pop, che si prende cura di loro e della nonna Mam, in fin di vita. Leonie è una presenza incostante nella vita della sua famiglia. È una donna in perenne conflitto con gli altri e con se stessa, vorrebbe essere una madre migliore ma non riesce a mettere i figli al di sopra dei suoi bisogni. Quando Michael, il padre di Jojo e Kayla, esce di prigione, Leonie parte con i figli per andarlo a prendere. E così Jojo deve staccarsi dai nonni, dalla loro presenza sicura e dai loro racconti, che parlano di una natura animata di spiriti e di un passato di sangue. E mentre Mam si spegne, gli spiriti attendono, aggrappati alla promessa di una pace che solo la famiglia riunita può dare. Dopo «Salvare le ossa», Jesmyn Ward torna nel suo Mississippi, una terra in cui il legame con le origini, i vincoli di sangue e la natura sono fatti di amore e violenza, colpa e speranza, umanità e riscatto. Scritto in una lingua aspra e poetica, «Canta, spirito, canta» guarda nelle profondità dell’animo umano come dal ciglio di uno strapiombo si guarda l’infinita distesa del mare, che lascia sgomenti, inebriati e commossi.

Recensione

“… la memoria è un oggetto vivente, è anch’essa in transito. Ma finchè dura, tutto ciò che viene ricordato si congiunge e vive – i vecchi e i giovani, il passato e il presente, i vivi e i morti”.

(Eudora Welty, come sono diventata scrittrice).

Inizio con le parole scelte dall’autrice Jesmyn Ward per prolungare l’omaggio ed il silenzioso applauso a questa grande autrice, vincitrice fra gli altri e per ben due volta del National Book Award per la narrativa, unica donna dopo scrittori come Faulkner, Cheever, Malamud, Roth, Updike.

Ci racconta di un’America del profondo Sud, nera e bianca, ricca e profondamente povera, dove mistero, magia, esoterismo e culto cattolico, oltre ai racconti orali, sono la base sulla quale l’autrice sviluppa una storia forte, piena di ingiustizie e di rapporti difficili, aspra come il racconto della verità deve essere, ai margini della povertà più nera, dove il ritmo narrativo è caldo ed appiccicoso come un’estate nei Bayou, in questa favola che a tratti si trasforma in una road-story, sia fisica che spirituale.

Stupendo il cambio di registro che l’autrice imprime tra il primo ed il secondo volume di questa trilogia. Dopo aver conosciuto nel primo romanzo la famiglia di Esch e Skeetah Batiste che si preparano, anche se inconsapevolmente, a vivere l’evento più tragico della storia del loro Stato, l’uragano Katrina, in questo secondo romanzo, invece che proseguire la storia della famiglia Batiste da dove si era interrotta, ci trasferiamo – nella stessa cittadina di Bois Sauvage – a casa della famiglia di Mam Philomena, che si sta lentamente spegnendo per un cancro – e di suo marito Pop.

Con loro vivono la figlia trentenne Leonie ed il marito (bianco) Michael – a tratti, quando non ritorna a casa dei suoi o non è in prigione – e i figli: il tredicenne cresciuto troppo in fretta – Joseph, detto Jojo e la piccola Michaela, chiamata Kayla.

I capitoli si alternano con le voci dei due veri protagonisti: Jojo, e la madre Leonie, incapace di un vero e prolungato istinto materno nei confronti di entrambi i figli, più tenacemente intenta a cercare di vivere la propria vita, tra sniffate di droga e l’adorazione per il marito Michael, che tra l’altro è il cugino del ragazzo che ha ucciso a sangue freddo suo fratello Given.

Come detto e come tradizione in queste terre, ciascuno di loro ha particolari sensibilità o doni: Mam è conosciuta in paese come esperta di erbe e di pozioni. Il marito Pop “sente” la voce degli animali. Leonie, quando è sotto l’effetto delle droghe, riesce a rivedere il fratello Given. Scopriremo lungo il romanzo quali particolari doni hanno ricevuto in eredità Jojo e la sorellina Kayla.

Dicevamo che questo romanzo può essere letto anche come una road-story, perché, dopo aver vissuto per qualche giorno a casa di Mam e Pop, seguiremo Leonie che insieme ai figli e all’amica Misty parte per andare a prendere il marito Michael, che esce dalla Mississippi State Penitentiary (MSP), anche conosciuta come “Parchman Farm”, prigione/fattoria, la più vecchia e la sola prigione di massima sicurezza per uomini nello Stato del Mississippi.

Un’odissea di una manciata di giorni, sia a livello di rapporti all’interno della vettura che macina kilometro dopo kilometro la distanza che li separa dal penitenziario, sia per quanto riguarda le differenze tra bianchi e neri in questi Stati del Sud, differenze ancora oggi molto pesanti.

Al penitenziario però, oltre a Michael, ad aspettarli c’è anche Richie, un ragazzino nero che sta aspettando Jojo, perché per suo tramite riuscirà a ricongiungersi con suo nonno Pop, e gli permetterà di varcare finalmente le porte della prigione…

Gli ultimi capitoli sono di un tale impatto poetico e al contempo di una ineluttabilità così straziante, che tutto in quel frangente si unirà a formare un unico girotondo senza tempo: la terra come legame con le proprie origini, i vincoli di sangue, la violenza e l’innocenza estreme, le disparità inique che si trasformano in tragedia ed in fondo a tutto questo, nonostante tutto, nonostante la morte stessa: la speranza…

Imprescindibile leggere la biografia di quest’autrice, prima ancora di leggere i suo i romanzi, perché, così come Esch e Skeetah (salvare le ossa) passano il testimone ai protagonisti di “Canta, spirito, canta”, così Jesmyn Ward ci rende parte del mito e della storia per un frammento immortale del suo e del nostro tempo.

A cura di Marina Morassut

libroperamico.blogspot.it

Jesmyn Ward 


Nata a DeLisle, Mississippi, nel 1977. Dopo essere stata vittima di bullismo alla scuola pubblica, prosegue i propri studi all’Università di Stanford. Jesmyn Ward decide di diventare scrittrice per onorare la memoria del fratello minore, ucciso da un autista ubriaco nell’ottobre del 2000. Poco dopo, lei e la sua famiglia furono vittime dell’Uragano Katrina. Con la loro casa che si allagava velocemente, decisero di usare la macchina per raggiungere la vicina chiesa della comunità, ma finirono incagliati in un campo pieno di trattori di proprietà di una famiglia bianca che si rifiutò di farli entrare in casa. Stanchi e traumatizzati, riuscirono a trovare riparo nella casa di una famiglia bianca vicina. La Ward inizia poi a lavorare presso l’Università di New Orleans e mentre si reca al lavoro ogni giorno si confronta con i resti dell’uragano e con le diverse storie di sofferenza e ritorno alla vita normale delle famiglie locali. Per tre anni dopo l’uragano la Ward non riuscirà più a scrivere, periodo che le darà il tempo per trovare un editore per il suo primo romanzo, Where the Line Bleeds. Nel 2008 quando la Ward aveva deciso di abbandonare la scrittura per un corso da infermiera, “Where the Line Bleeds”, viene accettato da una casa editrice. Nel suo secondo romanzo, Salvare le ossa (Salvage the Bones), la Ward scrive nuovamente del rapporto viscerale tra due fratelli di colore che crescono nella Costa del Golfo. Per il libro la Ward vince, tra gli altri, il National Book Award per la narrativa il 16 novembre 2011 ed il Premio Alex nel 2012.  Il libro viene pubblicato in Italia dalla Enne Enne Editore nel 2018. Nel luglio 2011 la Ward finì di scrivere la prima bozza del suo terzo libro, il secondo della serie ambientata a Bois Savage, che viene pubblicato nel 2017 con il titolo “Sing, Unburied, Sing”, ed che vince il National Book Award per la narrativa. In Italia, nuovamente con la traduzione di Monica Pareschi e per la NN Editore, viene pubblicato i primi di Maggio del 2019. Nel frattempo nel 2013 viene pubblicato “Men We Reaped”, memoir che racconta la vita del fratello e di altri quattro giovani ragazzi di colore che hanno perso la vita nella sua città natale.

 

Acquista su Amazon.it: