Delitto di mezza estate




Recensione di Elisa Puntelli

Autore: Henning Mankell

Traduttore: Giorgio Puleo
Editore: Marsilio
Pagine: 608
Genere: Giallo
Anno Pubblicazione: 2010

 

 

 

 

Cosa fa di un giallo un BUON GIALLO?
Chiedetelo a Mankell perché in questo settimo volume della serie che vede come protagonista l’ispettore Kurt Wallander ci è proprio riuscito!
Ma constatatelo voi stessi.

“Notte di solstizio: tre giovani in una macchia isolata del bosco nei pressi di Osterlen. Qualcuno li spia. La loro festa si tinge di sangue. Intanto, la quiete della centrale di polizia di Ystad è spezzata dal ritrovamento del corpo di Svedberg, da anni collega di Wallander, ucciso da tre colpi di pistola sparati in pieno volto. Due foto tra le carte di Svedberg convincono Wallander dell’inesorabile intreccio tra i due casi di omicidio, ma l’assassino è sempre un passo in anticipo sulle mosse degli investigatori, che sono alle prese con gli inquietanti segreti di “uno di loro”, un uomo che credevano di conoscere. È impossibile intuirne i movimenti, prevedere chi sarà la sua prossima vittima: in una calma apparente cova la follia criminale.”

Come si evince direttamente dalla trama niente è lasciato al caso. Ci sono tutte le caratteristiche necessarie per far sì che il lettore risulti totalmente assorbito dalla storia.

La narrazione è suddivisa in tre parti: prologo, prima parte, seconda parte.

Nel prologo, è il killer la voce narrante che ci rende spettatori silenziosi degli attimi che precedono il misfatto principale, ossia l’assassinio di tre giovani innocenti. Questa scelta, affatto casuale, è una delle caratteristiche tipiche di un giallo e “costringe” il lettore a porsi tutta una serie di domande (“Chi è questa persona?” “Cosa lo spinge ad agire?” “Perché proprio loro?” “Perché adesso?”) necessarie affinché venga suscitata in lui (o in lei, nel mio caso) la curiosità di voler condurre parallelamente una propria indagine (al di fuori delle pagine di un libro.)

“Sarà una notte magnifica, pensò. Una notte che varrà la pena di ricordare.”
Nella prima parte il lettore viene praticamente catapultato a fianco di Wallander. E tramite lui vede, parla, pensa, respira e si muove, come un vero poliziotto. Questa parte, che a qualcuno potrebbe risultare un tantino monotona, è in realtà necessaria affinché la narrazione presenti quel tocco di autenticità e genuinità fondamentale per la strutturazione della storia. I pensieri del lettore vengono pilotati esattamente dove vuole lo scrittore e si arriva a vivere un rapporto (quasi) simbiotico con il protagonista stesso.

Un protagonista che, sappiatelo, non ha niente a che vedere con i poliziotti-eroi di molti altri racconti. Kurt Wallander sta per compiere cinquant’anni e ha alle spalle una lunga carriera, una serie di indagini complicate, un matrimonio finito, una successiva relazione deludente e una figlia lontana.

E’ un uomo spinto dall’angoscia, sempre più crescente, derivante dal fatto che “La polizia deve fare” e il timore di non riuscire, di non fare in tempo, di arrivare troppo tardi, di non essere più all’altezza, di aver trascurato qualche passaggio importante, contraddistingue l’intera storia.

La narrazione è quindi pervasa da una sensazione di incompletezza, di inquietudine. Dal sospetto che qualcosa di importante sia stato detto, senza tuttavia averne più memoria. Una sensazione che, alla fine, genera una sorta di malessere e di insofferenza di fondo. Come se non ci fosse una via di fuga. Come se NON ESISTESSE una via di fuga, un modo per mettere fine a quei delitti (apparentemente) senza senso.

E’ probabile perciò che arriverete addirittura a provare fastidio nei confronti di questo poliziotto che sembra essere sempre sul punto di afferrare “qualcosa” senza riuscirci mai al momento giusto. “Continuava ad avere la sensazione di essersi lasciato sfuggire qualcosa. Qualcosa che di colpo avrebbe potuto indicargli come andare avanti, qualcosa che lo avrebbe portato a una conclusione delle indagini ben fondata.” Dunque un uomo comune a tutti gli effetti, ed è proprio questo aspetto, a mio avviso, a fare della sua figura un personaggio riuscito.

Poi ha inizio la seconda parte, quella finale. La polizia ha fatto qualche passo avanti, ma sono ancora molti i misteri da svelare. E mentre l’indagine procede, il mistero di queste morti, ancora inspiegabili, si infittisce.
“Il numero di domande che possiamo fare sembra infinito.
Ma alla fine rimangono solo due.
Chi e perché? Solo queste. Chi e perché?”

Non aspettatevi colpi di scena colossali. È necessario infatti arrivare proprio alle ultime pagine per riuscire a scoprire (e capire soprattutto) cosa si cela dietro a tutti quei segreti, a quelle mancanze e a quel cosiddetto “mostro”.

Ad un lettore attento Mankell riesce, con la stesura di questo giallo, a fornire molti spunti di riflessione.

Il primo arriva, senza ombra di dubbio, attraverso la figura di Svedberg. Da anni un collega stimato, presente, irreprensibile – se non si considerano i suoi sporadici scatti d’ira e alcune vecchie questioni poco chiare. Una persona come un’altra, normale, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ed è proprio a partire da questo punto che si insinua nel lettore un’amara consapevolezza… Possiamo veramente sostenere di conoscere perfettamente le persone che ci circondano, con le quali condividiamo le vicissitudini quotidiane? E se la risposta è sì… quanto? E fino a che punto saremmo disposti a spingerci per sostenere le nostre convinzioni?

“Sappiamo proprio poco l’uno dell’altro, pensò. Loro di me e io di loro. Si lavora insieme, a volte per tutta una vita. Ma cosa sappiamo veramente l’uno dell’altro? Niente.”

Un altro punto di rilievo, affrontato più e più volte, è la situazione svedese riguardante le forze dell’ordine e la criminalità. Come viene spiegato nel corso della storia, negli anni la fiducia dei cittadini nei confronti della polizia è andata (e sta andando) diminuendo dando così adito alla nascita di numerose società private di vigilanza. È anche per questo che Wallander e i suoi colleghi non si arrendono mai, anche quando hanno la sensazione di essere arrivati in un vicolo cieco. Nel loro piccolo, fanno in modo che le cose possano cambiare e migliorare.

Dulcis in fundo … il Killer.
Un mostro o una vittima del sistema?
Ma questa riflessione la lascio a voi.

 

Henning Mankell


Henning Mankell – Viveva tra la Svezia e il Mozambico, dove a Maputo dirigeva il teatro Avenida. È l’autore della fortunatissima serie del commissario Wallander, pubblicata in molti paesi. Tra i riconoscimenti internazionali al suo lavoro, ricordiamo The Academy of Swedish Crime Writers’ prize per Faceless Killers (1991); Scandinavian Crime Society prize, The Glass key, per Faceless Killers (1991); The Academy of Swedish Crime Writers’ prize per Sidetracked (1995); the British Crime Writers’ Association prize, the Golden Dagger, per Sidetracked (2001).

 

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