Dio di illusioni




Recensione di Loredana Cescutti


Autore: Donna Tartt

Editore: Rizzoli

Traduzione: Idolina Landolfi

Genere: Romanzo di formazione

Pagine: 622 p., R

Anno di pubblicazione: 2003

Sinossi. Un piccolo raffinato college nel Vermont. Cinque ragazzi ricchi e viziati e il loro eccentrico e affascinante professore di greco antico, che insegna al di fuori delle regole accademiche imposte dall’università e solamente a una cerchia ristretta di studenti. Un’élite di giovani che vivono di eccessi e illusioni, lontani dalla realtà che li circonda e immersi nella celebrazione di un passato mitico e idealizzato, tra studi classici e riti dionisiaci, alcol, droghe e sottili giochi erotici. Fino a che, in una notte maledetta, esplode la violenza. E il loro mondo inizia a crollare inesorabilmente, pezzo dopo pezzo. Una storia folgorante di amicizia e complicità, amore e ossessione, colpa e follia, un romanzo di formazione che è stato uno dei più grandi casi editoriali degli anni Novanta.

Suppongo che a un certo punto, nella mia vita, avrei potuto narrare un gran numero di storie, ma ora non ve ne sono altre. Questa è l’unica che riuscirò mai a raccontare.”

Recensione

L’attrazione per questo libro è iniziata, nel mio caso, dopo aver letto recentemente, sempre per Thrillernord “Otto perfetti omicidi di Peter Swanson (di cui potete trovare la mia recensione qui nel sito), dove il filo conduttore dell’intero romanzo, era appunto legato ad una lista di otto fra romanzi e pieces teatrali in cui l’omicidio veniva abilmente camuffato con le sembianze di un normale incidente, ragion per cui i colpevoli di volta in volta la passavano liscia, più o meno.

Per l’appunto, “Dio di illusioni” si collocava fra questi e il modo in cui sia l’autore che il suo protagonista ne avevano parlato, mi aveva colpita a tal punto da farmi venire la voglia di approfondire e così eccomi qui.

Ve lo giuro, l’inizio è stato traumatico.

Mi riferisco alle prime dieci pagine circa, poiché ero stanca quando l’ho iniziato, oltre al fatto che io di base non ho una formazione classica e i dialoghi iniziali fra questi “eletti” mi avevano un po’ spaventata anche se credo, che fosse proprio intenzione dell’autrice mantenere una certa distanza fra me e i suoi protagonisti, tanto per farvi capire quanto loro si ritenessero superiori al resto del mondo accademico che li circondava.

Fatto sta che dopo questo inizio, per me assai burrascoso, ho lasciato il libro fermo per circa una settimana, anche se il richiamo continuava a farsi sentire, potente e travolgente, in tutte le sue forme.

E alla fine ho ceduto.

Ho chiuso il libro ieri, ma è difficile lasciarlo andare.

Appare doloroso nei concetti, nell’inutilità di vite segnate per sempre, marchiate dentro da un qualcosa di incancellabile che a più livelli le ha alimentate nel loro bisogno di autoinfliggersi qualcosa di brutto, che rimarrà come una ombra, attaccato a loro per l’eternità.

In questa vita terrena ma, anche in una prossima eventuale vita nell’aldilà.

“… avevo amato quell’idea, che la nostra azione, cioè, fosse servita a unirci: non eravamo amici normali, bensì amici per la vita e per la morte…

Una decisione assurda, presa così, su due piedi e vista come l’unica soluzione possibile, per coprire qualcosa già di per sé discutibile, nel semplice tentativo di dimenticare tutto.

Con l’intento di eclissare i ricordi fastidiosi e spiacevoli.

Eliminando ogni traccia di ciò che era stato.

ora mi dava la nausea il sapere che non c’era via d’uscita. Ero legato a loro, a tutti loro, in modo definitivo…”

L’errore.

Il danno.

La svolta.

La chiave di volta.

La morte.

L’abisso perpetuo.

Forse che una cosa come “il fatale errore”, quell’appariscente, cupa frattura che traglia a metà una vita, può esistere al di fuori della letteratura? Una volta pensavo di no. Ora sono dell’opinione contraria.”

Tartt mi ha conquistata, ma anche tramortita, con la gelida franchezza e l’assoluta freddezza di tante vite distrutte per loro stessa mano, mai sazie, mai soddisfatte, alla perenne ricerca di qualcosa di meglio che potesse renderli ebri e vivi almeno per un fuggevole momento, come se nulla ormai fosse sufficiente per dargli nuovi stimoli, nuove emozioni, per farli sentire semplicemente persone.

“… ripensandoci ora, capisco che in quel particolare istante, lì, nel corridoio deserto, avrei potuto scegliere di fare qualcosa di molto diverso da ciò che invece feci.”

Scegliere non è facile ed è vero, l’attimo ci condiziona, in un verso o nell’altro, ma siamo noi in un’ultima analisi che ci lasciamo guidare da un lato piuttosto che dall’altro, con la nostra volontà, anche se talvolta camuffiamo quest’ultima con la scusa di un condizionamento forzoso dall’esterno,anche se non è la verità.

Siamo onesti, alla fine facciamo sempre quello che vogliamo.

Questo romanzo lascia il segno, nelle sue pagine, sui suoi personaggi ma anche su di noi, presentandoci il degrado di una generazione vuota.

Certo, come si dice, la colpa è anche delle famiglie perché è fuor di ogni dubbio che nemmeno loro avessero le spalle esattamente coperte, sul fronte emotivo ma, ognuno di noi ha la possibilità di ragionare con la sua testa al di fuori del suo contesto di provenienza e, con le sue sole forze può pretendere il meglio per sé.

Uccidere, o coprire una morte, rende tutti colpevoli allo stesso modo e il solo aver pensato ad un gesto del genere come via di fuga, finirà per togliere la libertà a tutto il gruppo.

Un’azione violenta, una decisione deprecabile, un modo certo per togliere tranquillità, serenità, amicizia e individualità.

Uccidere e venire coperti comporta delle conseguenze e l’assunzione delle proprie responsabilità.

Togliere la vita senza che nessuno lo venga mai a sapere, è molto peggio perché sfido chiunque nel riuscire a mettere in atto un’azione del genere, senza poi sentirsi addosso il peso del senso di colpa, la paura pregnante di essere scoperti e il terrore folle di essere venduti per ottenerne dei vantaggi.

Un’azione divisiva che costringe tutto il branco a rimanere unito, solamente per una sorta di controllo reciproco, ma che priva ognuno della sua libera volontà di decidere e pensare.

Insomma, “Dio di illusioni” è sicuramente un grande libro, da annoverare e ricordare quando siaffronta il tema del delitto perfetto ma, è anche un vero e proprio romanzo di formazione che tocca temi importanti legati alle problematiche dei giovani come l’assenza di rapporti sociali e familiari positivi, le dipendenze, il bisogno di violenza, la difficoltà di accontentarsi degli aspetti più semplici e puri della vita, il rispetto reciproco.

Una lettura dura sul fronte emotivo, ma che inaspettatamente si è rivelata di una scorrevolezza incredibile.

“… all’improvviso mi sentii addosso tutta l’amara, irrevocabile realtà della nostra azione, la sua malvagità.”

Buona lettura!

Donna Tartt


è nata a Greenwood, in Mississippi, e si è laureata al Bennington College. Il suo romanzo d’esordio Dio di illusioni (The Secret History 1992) e Il piccolo amico (The Little Friend 2002, vincitore nel 2003 del WH Smith Literary Award) sono diventati bestseller internazionali tradotti in 30 lingue. Anche Il cardellino (The Goldfinch 2013), pubblicato da Rizzoli nel 2014 ha avuto un grande successo di critica.

 

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