Dove non mi hai portata




 DOVE NON MI HAI PORTATA

di Maria Grazia Calandrone

Einaudi 2022

Narrativa, pag.256

Sinossi. Un uomo e una donna, dopo aver abbandonato nel parco di Villa Borghese la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre ha vissuto, sofferto, lavorato e amato. E indagando sul passato illumina di una luce nuova la sua vita. Dove non mi hai portata è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo. Attraversando lo specchio del tempo, racconta una scheggia di storia d’Italia e le vite interrotte delle donne. Ma è anche un’indagine sentimentale che non lascia scampo a nessuno, neppure a chi legge. Quando Lucia e Giuseppe arrivano a Roma è l’estate del 1965. Hanno con sé la figlia di otto mesi, sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall’inquietudine che prova chi è braccato. Perché Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell’epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei. Piú di cinquant’anni dopo quella bambina, a sua volta diventata madre, si mette in viaggio per ricostruire quello che è davvero successo ai suoi genitori. Come una detective, Maria Grazia Calandrone ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, enumera gli oggetti abbandonati dietro di loro, s’informa sul tempo che impiega un corpo per morire in acqua e sul funzionamento delle poste nel 1965, per capire quando e dove i suoi genitori abbiano spedito la lettera a «l’Unità» in cui spiegavano con poche parole il loro gesto. Dopo Splendi come vita, in cui l’autrice affrontava il difficile rapporto con la madre adottiva, Dove non mi hai portata esplora un nodo se possibile ancora piú intimo e complesso. Indagando la storia dei genitori grazie agli articoli di cronaca dell’epoca, Calandrone fa emergere il ritratto di un’Italia stanca di guerra ma non di regole coercitive. Un Paese che ha spinto una donna forte e vitale a sentirsi smarrita e senza vie di fuga. Fino a pagare con la vita la sua scelta d’amore.

Recensione di Sara Zanferrari

1965. Lucia e Giuseppe abbandonano Maria Grazia di otto mesi nel parco di villa Borghese a Roma e si uccidono. Scivolano nelle acque del Tevere, non senza prima aver assicurato, in una lettera spedita all’Unità, un futuro alla figlia. Quel futuro che loro non possono offrire. Da qui parte il viaggio a ritroso di una figlia alla ricerca della madre e del proprio sé. 

Un libro che narra una vicenda che è estremamente personale e intima, ma che assume sembianze assolute di universalità, così universale come sa essere la poesia, così universale come l’amore e la “lingua parlata” da Maria Grazia Calandrone. Una lingua sua, personale, che non è solo prosa e non è solo poesia, che colpisce tutti i sensi, ma prima di tutto il cuore, intrisa di un amore di cui oggi non sembriamo più essere capaci, totale, pulito, assoluto. 

Colpisce la “pulizia”, l’assenza di giudizio, o peggio recriminazioni, colpisce la serena accettazione, e il molto oltre, molto più in là del semplice fatto descritto, raccontato, indagato, pezzo per pezzo, anno per anno, momento per momento: la vita di Lucia, mamma di Maria Grazia, scandagliata e ricostruita, pezzo per pezzo, con tutto l’amore possibile. A riunirsi, idealmente, a un amore talmente grande, quello di una madre per la figlia, che ha trovato nella morte l’unico dono di vita migliore possibile per lei. Un dono così pesante da essere fardello di 

“eccesso di sacrificio, che peraltro mi colloca in una centralità sproporzionata dentro la vita di Lucia, che certo aveva altri sentimenti, altri legami, altri impegni, oltre al suo incommensurato amore per me, sua figlia”

scrive Maria Grazia Calandrone. Che prosegue: 

“L’amore di Lucia , a me in persona sicuramente e semplicemente destinato, sta nel non avermi portata con sé nella morte, sta nel dove non mi ha portata e nel suo avermi riconsegnata alla vita. Alla vita di tutti. Facendo della mia vita, fin dalle sue origini, vita che torna a tutti”.

Ed è in questo “vita di tutti” che l’autrice rievoca con rara potenza l’altra sua madre, Consolazione, di “Splendi come vita”, bionda Madre elettiva, unita e contrapposta a Lucia, bruna Mamma biologica.

Dolore, gioia e amore struggenti permeano le pagine dei due libri dedicati alle sue due madri, a cui sono parimenti dedicate le ultime tre righe del romanzo, nel dire “grazie, infine e per sempre, alle mie due mamme”.

Se nel seguire pagina dopo pagina il viaggio meta-fisico di Maria Grazia sulle tracce di Lucia, la sua vita durissima, infelice, eppure nonostante tutto straordinariamente “ricca”, che tutta sta, forse, in quel gesto straordinario, ovvero fuori dall’ordinario, di abbandonare una figlia e uccidersi, lo seguiamo, dicevo, quasi come un giallo, cercare, capire, ca-r-pire, amare e poi ancora amare, ci accorgiamo un po’ alla volta come insieme al giallo quel che ci viene narrato è ben altro.

È un messaggio, uno su tutti, che arriva, colpisce (e ferisce), oltre a un amore così grande: in fondo, quello che vediamo da fuori delle vite degli altri non è altro che il nostro personalissimo punto di vista. Di fatto, se leggeremo attentamente queste pagine, capiremo quanto peso possa portare il pregiudizio, in grado persino di uccidere. E quanta necessità ci sia di un amore spoglio di tutto. Per ognuno di noi. A restituirci sembianze umane.

Maria Grazia Calandrone

A cura di Sara Zanferrari

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INTERVISTA

I tuoi ultimi due libri sono dei veri e propri atti d’amore: prima “Splendi come vita”, dedicato a Consolazione, che tu chiami bionda Madre elettiva, ora dedichi “Dove non mi hai portata” a Lucia, bruna Mamma biologica. Ad un certo punto tu dici che “L’amore di Lucia, a me in persona sicuramente e semplicemente destinato, sta nel non avermi portata con sé nella morte, sta nel dove non mi ha portata e nel suo avermi riconsegnata alla vita. Alla vita di tutti. Facendo della mia vita, fin dalle sue origini, vita che torna a tutti”. Vorresti spiegare cosa intendi per vita che torna a tutti?

Intanto grazie per avere inteso l’intenzione che ha mosso entrambi i libri: l’amore. I due versi “vita che torna, / a tutti” chiudono il libro dedicato a mamma Consolazione e sono le parole con le quali descrivo la sua morte. Ho voluto descrivere con la stessa espressione l’abbandono che ho subìto all’età di otto mesi, nel momento in cui il bambino è ancora figlio di tutti, non ha ancora individuato con certezza le proprie figure di riferimento. Nessuno può naturalmente avere notizia di quel che accade dopo la morte, ma possiamo sapere in quale stadio dell’età evolutiva ancora apparteniamo al mondo. Trovo molto rasserenante questa coincidenza tra la prima età e la fine, l’idea di questo dissolversi dell’io individuale nell’io di tutti.

Come è nata l’idea, o la decisione, di scrivere questo libro?

Non ne avevo nessuna intenzione. Come scrivo nel libro, dopo una presentazione televisiva di Splendi come vita, nel programma di Serena Bortone, sono stata raggiunta dai messaggi di molte persone anziane che avevano conosciuto la mia mamma biologica Lucia e avevano finalmente desiderio di parlarmi di lei. Ho cominciato a raccogliere le loro voci in compagnia di mia figlia, in un viaggio assolutamente privato. Ma quasi subito mi è balzata agli occhi l’evidenza di un’ingiustizia che andava denunciata pubblicamente, nella speranza che la storia minima, ma emblematica, di Lucia possa servire a smantellare tanti pregiudizi ancora oggi esistenti.

Hai fatto una scelta che io credo molto difficile: hai esposto allo sguardo di tutti (ecco questo tutti che torna) la tua storia. Attraverso quale percorso e quali motivazioni sei arrivata fino a qui?

Credo che si possa esporre la propria storia quando si comprende che la propria storia equivale alla storia di chiunque altro, che il proprio io equivale all’io di chiunque altro. È sempre lì che torniamo, al non darsi eccessiva importanza. Anche, un po’, all’ironia.

Per scrivere di Lucia hai fatto un intenso lavoro di ricerca. Intenso sia da un punto di vista di tempo ed energie, ma anche intenso da un punto di vista emotivo. Vuoi raccontare come si è svolto e cosa hai provato?

Come dicevo, ho cominciato con il raccogliere delle voci di persone vive, ma la compassione grande che provavo nell’ascoltare i resoconti dell’ingiustizia sociale subita da Lucia si è presto trasformata in un sentimento analitico, una propulsione logica che mi ha spinta a frugare negli archivi di orfanatrofi ed ospedali, in cerca di tracce pur minime di questa donna costretta a nascondersi come una criminale per il reato di essersi presa la libertà di amare Giuseppe, che non era il marito, in tempi nei quali non esisteva la legge sul divorzio. Il momento più dolce è stato leggere la cartella del suo parto. Il più feroce, leggere la lettera del marito Luigi, ancora conservata negli archivi del brefotrofio a causa della sua inaudita violenza.

Ci sono delle persone, che sono state protagoniste nella vita di Lucia, che hai incontrato che ti hanno lasciato qualcosa di particolare, o speciale?

Mi sono abbeverata alle parole di tutti quelli che l’hanno conosciuta, soddisfacendo una sete che nemmeno sapevo di avere. Si vive, si fanno le cose. E dentro accadono rivoluzioni.

Domanda forse un po’ banale…ma di rito: cosa ti aspetti dal Premio Strega?

Di giocare con onestà, alla luce del sole. Come mi ha insegnato Lucia, che mai avrebbe voluto nascondersi.

Maria Grazia Calandrone


Maria Grazia Calandrone (classe 1964) è poetessa, scrittrice, drammaturga, artista visiva, autrice e conduttrice radiofonica. Vive a Roma e dal 2010 tiene a battesimo poeti esordienti, ritenuti meritevoli di pubblicazione, per la rivista internazionale Poesia, nella rubrica di inediti Cantiere Poesia. Scrive sul quotidiano il manifesto e su la 27ora del Corriere della Sera. Dal 2010 scrive e conduce programmi culturali per Rai Radio 3. Ha collaborato con Unomattina Poesia (Rai 1), con Rai Cultura e Cult Book (Rai 3). Esordisce nel 1994 con la silloge Illustrazioni, premio Eugenio Montale per l’inedito. Nel 2004 con La scimmia randagia, dedicato alla nascita del figlio Arturo, vince il Premio Pasolini Opera Prima. Nel 2011 pubblica Sulla bocca di tutti, opera vincitrice del Premio Napoli. Il primo romanzo di Calandrone viene pubblicato nel 2011, L’infinito mélo. Il progresso interiore, e dunque poetico, verso l’inno di gioia, continua con Serie fossile, 2015 (rosa del Premio Viareggio e premi Tassoni e Marazza). Nel 2019 pubblica Giardino della gioia (Mondadori), Premio Metauro 2021. Infine, una sorta di “dittico” dedicato alla figura della madre: nel 2021 pubblica il romanzo bestseller Splendi come vita (Ponte alle Grazie) dedicato alla madre adottiva Consolazione, semifinalista al Premio Strega 2021 e finalista al Premio Comisso; Dove non mi hai portata (Einaudi) è un ideale seguito, dove ricostruisce tra realtà e romanzo la vita della madre naturale Lucia, morta suicida col compagno dopo averla abbandonata sul Tevere.

A cura di Sara Zanferrari

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