E l’amore




E l’amore anche ha bisogno di riposo


Recensione di Stefania Ceteroni



Autore: Drago Jančar

Traduzione: Daria Betocchi

Editore: La nave di Teseo

Genere: narrativa contemporanea

Pagine: 400 pagine

Anno di pubblicazione: 2022

Sinossi. 1944. Dopo l’occupazione militare della Jugoslavia da parte della Germania, la città slovena di Maribor viene annessa al Terzo Reich e il tedesco imposto come lingua ufficiale. Mentre in montagna avanza la resistenza armata, sulle vie del capoluogo, ribattezzato Marburg an der Drau, piovono bombe: le sorti della guerra sono segnate e questo rende i tedeschi ancora più feroci. Sonja, una giovane studentessa di medicina, è incerta quando riconosce sotto l’uniforme da ufficiale delle SS Ludek, un compagno d’infanzia con cui sciava da bambina. Ma ora ha troppo bisogno dell’aiuto di quell’amico influente per esitare: il suo ragazzo, Valentin, è in arresto da mesi, accusato di cospirazione, e nelle carceri del Reich finire in un lager o alla fucilazione è questione di un colpo di penna. Ludek, che ha cambiato il suo nome in Ludwig ed è un fervente nazista, accetta di aiutarla, tuttavia una richiesta così delicata esige un compenso adeguato. Valentin viene liberato e, portando nel cuore il dubbio atroce che Sonja possa aver sacrificato se stessa per lui, prende la via dei monti per unirsi ai partigiani. Valentin, Sonja e Ludwig si ritroveranno lungo i sentieri tortuosi di una guerra fratricida nel centro dell’Europa, raccontata in una prospettiva inedita e a noi molto, troppo, vicina. Drago Jančar torna con un impetuoso romanzo di passioni attraversato da una rivalità fortissima e da un amore che non è disposto ad arrendersi.

Recensione

Dolorosa. La lettura del libro E l’amore anche ha bisogno di riposo è stata dolorosa. Di quel dolore che arriva da lontano ma che è più vicino che mai, che graffia l’anima e si deposita in ogni angolo della mente e del corpo (perché a tratti, per me, è stato anche un dolore fisico) di un lettore che non riesca a restare indifferente a fatti realmente accaduti (perché le storie di guerra, seppur inventate, sono tutte molto simili a vicende reali) che richiamano con prepotenza un presente che batte con forza all’uscio di casa di ognuno di noi.

È dolorosa la storia di Sonja che, per salvare la vita al suo amore, tenta il tutto per tutto senza sapere  le conseguenze del suo gesto si rifletteranno, in un modo o nell’altro, anche nella sua esistenza.

È dolorosa la storia di Valentin che, liberato dalla prigionia, si trova ad affrontare un presente che non gli  fa sconti e che lo sottopone a prove sempre più dure tanto da cambiarlo nel profondo.

È dolorosa anche la storia di Ludwig che sotto l’uniforme da ufficiale delle SS è pur sempre un giovane con le sue insicurezze e i suoi dubbi nei confronti di un futuro incerto per tutti.

Non c’è da aspettarsi una storia d’amore. O meglio, è l’amore che muove le intenzioni di Sonja, è il ricordo del suo amore quello che aiuta Valentin a resistere.

Ma non è un amore dolce, spensierato, dalle tinte rosa. Non c’è da aspettarsi un romance, per intendersi. No. Tutt’altro. Quella narrata – a dispetto del titolo che fa pensare ad altro – è una storia di morte, di sofferenza, di sacrificio, di paura, di vite spezzate, famiglie separate, giovani dispersi chissà dove, finiti forse sotto un telo dentro ad un camion.

L’amore vince sempre su tutto? Sarebbe curioso poterlo chiedere ai protagonisti di questa storia ed ascoltare con attenzione una loro risposta…Sarei curiosa di ascoltare, soprattutto, quella di Sonja…

Certo è che la guerra cambia le persone, vincitori o vinti che siano. Cambia gli animi, cambia i sogni, cambia le priorità, cambia il modo di pensare. Cambia la vita. Di chi muore, è ovvio. Ma anche di chi resta a fare i conti con i rottami di un’esistenza profondamente segnata da qualunque parte della barricata si sia stati. Perché la guerra è questo che fa: uccide anche quando si respira ancora, ci si muove ancora, si mangia e si parla. Uccide e basta. Perché anche chi sopravvive all’orrore della guerra muore dentro.

Lo stile dell’autore è molto efficace. Soprattutto quando offre ai lettori ricordi di tempi passati propone flussi di pensieri in cui non servono virgolettati per dare l’idea dei dialoghi, in cui le ripetizioni sono necessarie per sottolineare alcuni concetti e determinate espressioni. Accanto ad una narrazione più descrittiva, ai dialoghi diretti c’è tutta una parte più di pancia, così mi viene da dire, che arriva al lettore come un missile!

Ci ho messo più del previsto ad arrivare alla fine – ho fatto tanta fatica a trattenere le lacrime davanti a racconti di uccisioni a bruciapelo, torture indescrivibili, privazioni inumane – e strada facendo mi sono resa conto che l’autore ha strutturato una storia che ha preso direzioni diverse da quelle che la presentazione potrebbe far pensare. Ho fatto un po’ di fatica con i nomi, sia di persone che di località, ma ho rimediato prendendo appunti.

Alla fine tutti i conti tornano. Ma a che prezzo?

A cura di Stefania Ceteroni

https://libri-stefania.blogspot.com

 

Drago Jančar


è nato a Maribor, nel 1948. Nel 1974 viene accusato di “diffusione di propaganda ostile” dal regime jugoslavo e condannato a un anno di reclusione. Cominciò a lavorare per il quotidiano di Maribor “Večer”, senza poter scrivere articoli perché assegnato a compiti amministrativi. Alla fine degli anni settanta si trasferì a Lubiana dove ha partecipato ad alcune produzioni cinematografiche come sceneggiatore e aiuto regista. Dopo la morte di Tito e la graduale liberalizzazione in campo culturale, Jančar ha collaborato come drammaturgo con numerose compagnie teatrali e pubblicato i suoi primi romanzi. Dal 1987 al 1991 si è impegnato per la democratizzazione del suo paese come presidente del PEN Club sloveno. Le sue opere sono oggi tradotte in 33 lingue e pubblicate in Europa, Asia e America. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, ha vinto quattro volte il premio Kresnik per il miglior romanzo sloveno dell’anno, il premio Kresnik per il miglior romanzo del decennio (2020), il premio Herder (2003), il premio europeo di letteratura (2012), il prix du meilleur livre étranger (2014) e il premio di stato austriaco per la letteratura europea (2020).

 

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