Eredità colpevole




 EREDITÀ COLPEVOLE

di Diego Zandel

Voland 2023

Noir pag.246

Sinossi. Guido Lednaz, giornalista e scrittore figlio di profughi fiumani, si interessa all’omicidio del giudice La Spina, rivendicato da un gruppo di estrema destra per il contributo dell’uomo all’assoluzione del criminale di guerra titino Josip Strčić (personaggio liberamente ispirato a Oskar Piškulić, capo della polizia politica di Tito autore degli eccidi nelle foibe). Seguendo varie piste investigative e rimettendosi in contatto con figure del suo passato, Lednaz ripercorre una delle pagine più sanguinose della storia presentando il resoconto delle atrocità della Seconda guerra mondiale e il conseguente esodo di un intero popolo. Un’indagine dalle tinte noir, condotta tra Roma e Trieste, che porterà il protagonista a una drammatica verità.


Recensione di Daniele Cambiaso

Gli spararono davanti al portone di casa, in via Meropia, nel quartiere Ardeatino a Roma, una mattina mentre usciva per andare in tribunale. A sparargli fu un uomo solo: cinque colpi a distanza ravvicinata, determinante l’ultimo, alla nuca. Luigi La Spina, “Gigi” per gli amici, non era un giudice che avesse bisogno di una scorta. Finiti i tempi duri degli anni del terrorismo, in realtà, non ne aveva bisogno più nessuno. O quasi. Morì pochi minuti dopo che l’omicida si era allontanato in sella a una moto da cross con il volto coperto da un casco integrale.

Inizia così, col tono quasi asettico di un articolo di cronaca nera, il romanzo di Diego Zandel che, attraverso i meccanismi stringenti di un’ottima storia noir, scandaglia una delle pagine più drammatiche e controverse della nostra Storia più recente: l’esodo forzato di migliaia di profughi istriani e dalmati in Italia e la tragedia delle Foibe.

Non è certo un caso che Lednaz, il cognome del protagonista, sia l’anagramma di quello dell’autore, perché Zandel regala” al proprio alter ego narrativo l’intero bagaglio autobiografico personale, a partire dalla professione legata alla scrittura fino alle origini istriane, portando fin da subito in emersione un motivo conduttore del romanzo: l’intrecciarsi del piano pubblico con la dimensione più privata, l’individuale che spicca in primo piano per tornare a confluire nel collettivo, in un mutuo influenzarsi e condizionarsi.

Dall’omicidio del giudice La Spina, dunque, si diparte un’inchiesta puntigliosa, difficile, un itinerario di conoscenza che ha in Roma e Trieste i suoi cardini topografici, intrisi di passioni e sofferenze mai sopite, di atrocità perpetrate e vendette da coltivare:

Tornai quindi alla macchina e mi avviai verso la Risiera raggiungendola in pochi minuti. Quando mi capita di tornarci, già all’entrata provo quel senso di oppressione ben rappresentato dall’architetto Romano Boico, con lo stretto corridoio in cemento armato che porta al cortile del forno e alle celle. Il breve camminamento ti restituisce, seppur solo in minima parte, la terribile sensazione del destino di morte che dovevano aver provato le vittime. Impossibile trattenere il brivido di orrore evocato da quelle mura in mattoni, in particolare dai suoi interni, dalla sala delle croci, dalle celle strette che contenevano ammassati i prigionieri destinati a essere bruciati vivi.

Se i luoghi sono cornice viva e vivida, le persone che compaiono tra le pagine di Zandel non rappresentano soltanto le piste investigative da esplorare, ma appaiono simboli, paradigmi delle varie categorie umane e sociali coinvolte in una vicenda che dal Novecento giunge irrisolta e dolorosa fino a oggi: vecchi carnefici mai pentiti, estremisti neri più o meno ravveduti, antifascisti internati a Goli Otok come “nemici del popolo”, irriducibili arnesi implicati in Gladio e nelle trame oscure a cavallo del confine durante la Guerra Fredda, uomini politici alle prese con un’eredità pesante e sanguinosa, infermiere caritatevoli che cercano di porre un limite alle sofferenze di uomini e donne angariate dalla Storia. Prende forma, pagina dopo pagina, un coro di voci, un caleidoscopio di punti di vista, che la prosa sicura e agile dell’autore gestisce con abilità, senza sottrarre alla narrazione ritmo e vivacità, regalando anche sprazzi di ironia e di poesia dei sentimenti. Attraverso l’uso sapiente ed efficace del dialogo, Zandel illumina le diverse prospettive, scavando alla ricerca delle radici dell’odio che acceca, illuminando le opposte strumentalizzazioni ideologiche, in un percorso di conoscenza e confronto volto a proporre un approccio differente, che faccia finalmente giustizia della sofferenza e degli errori di tutti.

Abbattere gli steccati ideologici, riconoscere il Male ovunque si annidi, cercare giustizia:

il noir di Zandel contiene un “messaggio in bottiglia” importante, volto a porre al centro la responsabilità individuale, la pietas per le vittime. Perché oggi, come nel passato, riuscire a restare uomini è la vera sfida da vincere, ogni giorno.

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Diego Zandel


figlio di esuli fiumani, è nato nel campo profughi di Servigliano nel 1948. Ha all’attivo una ventina di romanzi, tra i quali Massacro per un presidente (Mondadori 1981), Una storia istriana (Rusconi 1987), I confini dell’odio (Aragno 2002, Gammarò 2022), Il fratello greco (Hacca 2010), I testimoni muti (Mursia 2011). Esperto di Balcani, è anche uno degli autori del docufilm Hotel Sarajevo, prodotto da Clipper Media e Rai Cinema (2022).