Fate il vostro gioco




Recensione di Sabrina De Bastiani


Autore: Antonio Manzini

Editore: Sellerio Editore Palermo

Collana: La memoria

Genere: Noir

Pagine: 406 p.

Anno di pubblicazione: 2018

Fate il vostro gioco è un romanzo duro, inquietante, un noir ad altissima tensione.

«Uno dei personaggi più riusciti del giallo italiano, pieno di difetti, quindi perfetto»

Bruno Ventavoli, TTL La Stampa

«I romanzi sono cose finte. Schiavone, invece, da un romanzo all’altro, diventa sempre più vero»

Antonio D’Orrico, Sette – Corriere della Sera

Sinossi. Rocco è a terra, tradito da Caterina che ha lasciato la questura di Aosta, abbandonato dagli amici, anima in pena si aggira per la città con la sola voglia di rapporti carnali e privi di senso. Si complica anche il suo legame quasi paterno con l’adolescente suo vicino di casa, Gabriele, perché nella storia irrompe finalmente la madre, Cecilia, un personaggio fragile, buio, contraddittorio. Questa volta il vicequestore Schiavone deve vedersela con una storia di ludopatia, di avidità. Andando su e giù da Aosta al casinò di Saint-Vincent distante una manciata di chilometri si scontra con le incongruenze di uno Stato che lucra sul fallimento di famiglie trascinate nel fondo del barile dal demone del gioco d’azzardo. Nonostante la complessità dell’indagine Rocco non dimentica e cerca di ricucire i rapporti coi suoi amici romani: Sebastiano è ai domiciliari, Furio e Brizio a malapena gli rivolgono la parola. Ma l’impresa è resa più difficile perché l’ombra di Enzo Baiocchi, catturato dalla polizia e diventato ormai un pentito, si allunga ancora sulla vita del vicequestore. Le sorprese che il destino ha in serbo per Schiavone non sono finite e le domande cui dare una risposta sono tante: che fine ha fatto Caterina? Per chi lavorava? E perché la procura riprende a indagare sulla morte di Luigi Baiocchi?

Recensione


Chissà se ne vale la pena, si chiese.

Il problema era sempre lo stesso: Rocco Schiavone prendeva i casi troppo sul personale, li faceva diventare delle sfide private, niente a che fare con la giustizia o con la legge. Ancor meno con qualche remora morale. (…) L’omicidio, la rapina, lo stupro diventavano degli affronti che doveva risolvere per difendere il suo ego, affermare in qualche modo di essere ancora vivo. O magari era solo nostalgia, come volesse ricordare la sua adolescenza, quando scatenava risse per uno sguardo o un graffio su un motorino; quando al pericolo si rispondeva con una risata, la paura della morte non c’era e il futuro era un pensiero vago e nebuloso.

Ma sì, si disse, ne vale la pena.

Ne vale la pena. Ne vale davvero la pena. Ne vale assolutamente la pena.

Leggere questo romanzo. Goderne ogni riga, e poi riflettere.

Perché, se di gioco tratta, di gioco non si tratta.

Perché già il titolo, “Fate il vostro gioco”, è emblematico nel potersi leggere come la formula tipica dei casinò, che apre al piegarsi ai demoni di bische e scommesse e foraggiarli dando loro in pasto se stessi prima ancora dei propri risparmi, oppure, antiteticamente, dandogli il senso attivo del prendere in mano le redini del gioco e affrontarli, i propri demoni, per sconfiggerli.

In entrambi i casi si soffre per questa brutta bestia che porta nel nome il suffisso della malattia. Si chiama ludopatia, infatti, e prende le sue mosse dall’inerzia, dal torpore, dall’indifferenza che in certi momenti, in alcune circostanze della vita, invade l’anima. Ludo(a)patia.

Passare da uno stato semicosciente, da una vita trascinata senza senso a un’esistenza piena, attiva, soddisfacente in pochi attimi. Lui non c’era riuscito in sei anni. Di quanto tempo ho ancora bisogno?, pensò.

Continuavano a restargli solo i ricordi che si spappolavano sempre più in mezzo alla nebbia dei giorni che passavano.

Neppure il vicequestore Rocco Schiavone è immune a questo pericoloso stato d’animo, ma la scarica di adrenalina che ricorda di essere vivi, a lui, la dà il lavoro, non la ruota della roulette.

Quello stesso lavoro che dice di detestare è in realtà la sua cura, nel distrarlo dai tradimenti veri e supposti, dalle amicizie forse finite, dal suo cuore che continuava a starsene semicongelato in mezzo al petto.

Ecco come un delitto efferato, una serie di crimini maturati nell’ambiente dell’azzardo, portino Schiavone a non risparmiarsi nell’addentrarsi in un sottobosco fitto di miserie e squallore, che lo coinvolgono più profondamente di quanto in principio voglia ammettere, toccando le persone a lui più vicine, e lo spingono, parallelamente all’indagine poliziesca, a indagare su se stesso, a limare e spostare i propri confini emotivi, a scuotersi.

Il tutto raccontato, descritto, costellato di colpi di scena e rovesciamenti di fronte, per mezzo dello smisurato talento stilistico e narrativo di Antonio Manzini, maestro nell’usare e dosare l’ironia come filtro della comprensione del mondo, alleggerendo tematiche importanti, senza banalizzarle o stereotiparle e, per questo, pur mostrandole nella loro crudezza, rendendole affrontabili.

E non a caso è proprio in questo capitolo che Rocco Schiavone stesso prende consapevolezza di dover affrontare una parte fondamentale del suo passato senza indugiare oltre, perché

(…) se è vero che il tempo cura le ferite, come spesso lui stesso affermava, alla fine il tempo tende ad ammazzarti.

E così, anche se ancora il passato è ben lungi dall’esser chiuso in toto, un importante punto viene segnato.

Ha la forma e il peso di una pianta di limoni depositata su un pianerottolo, davanti a una porta, questo punto, che non è fermo, ma, forse, di partenza.

Non a caso i limoni, simbolo di salvezza e di fedeltà amorosa, per la caratteristica di produrre frutti durante l’intero anno.

Non a caso i limoni a smascherare chi ha tentato il bluff più grosso.

Quando un giorno a un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d’oro della solarità.

(Eugenio Montale)

Nessuno dei personaggi, sebbene ciascuno di loro, in un certo qual modo, bluffi in questa storia, bensì l’Autore stesso, nel definirsi narratore e non poeta. E confermandosi, sì , narratore sopraffino, ma anche, e in queste pagine più che mai, poeta.

Antonio Manzini


Antonio Manzini. Attore e sceneggiatore, romano (allievo di Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica), ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l’antologia Crimini.
Del 2005 il suo primo romanzo, Sangue marcio (Fazi). Con Einaudi Stile libero ha pubblicato La giostra dei criceti (2007).
Un suo racconto è uscito nell’antologia Capodanno in giallo (Sellerio 2012). Del 2013, sempre per Sellerio, ha pubblicato il romanzo giallo Pista Nera. Secondo episodio della serie: La costola di Adamo (Sellerio 2014). Nel 2015 pubblica Non è stagione (Sellerio), Era di maggio (Sellerio) e Sull’orlo del precipizio (Sellerio). Del 2016 è Cinque indagini romane per Rocco Schiavone (Sellerio).

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