Fiore di roccia




Recensione di Sabrina De Bastiani


Autore: Ilaria Tuti

Editore: Longanesi

Collana: La Gaja scienza

Genere: narrativa

Pagine: 320 p.

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Con Fiore di roccia Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma forti nel desiderio di pace e pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale. La Storia si è dimenticata delle Portatrici per molto tempo. Questo romanzo le restituisce per ciò che erano e sono: indimenticabili.

«Ilaria Tuti costruisce un romanzo teso in cui nessuna parola è superflua, nessuna descrizione “decorativa”: le piaghe sulle spalle martoriate delle ragazze, gli occhi “bui” dei soldati, un pasto misero consumato in silenzio, le lacrime trattenute e le poche risate sono le (bellissime) tessere di un mosaico epico e scarno insieme.»Corriere della Sera

«Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche chi è rimasto nei villaggi, mille metri più in basso. Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle. Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame. Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore. Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione. Risaliamo per ore, nella neve che arriva fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. Il nemico, con i suoi cecchini – diavoli bianchi, li chiamano – ci tiene sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre ci arrampichiamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i «fiori di roccia». Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili. Ho conosciuto l’eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire. Ma oggi ho incontrato il nemico. Per la prima volta, ho visto la guerra attraverso gli occhi di un diavolo bianco. E ora so che niente può più essere come prima.»

Recensione. E’ come se la morte ci avesse chiamate alle armi per difendere la vita. Non possiamo attendere, né affidarci alla speranza. A  volte penso che siamo noi la speranza.

Per raccontare la montagna bisogna conoscerla.

Amarla di un amore tenace e privo  di belletto, mai, mai e poi mai blandirla, darla per scontata o tantomeno sfidarla.

Per raccontare la montagna ci vuole il passo giusto, per raccontare la storia di Fiore di roccia, come è raccontato Fiore di roccia ci vuole la penna, il trasporto lucido, la sensibilità limpida e mai accecata di Ilaria Tuti.

Per leggere e anche per commentare Fiore di roccia, occorre indossare gli scarpetz, accarezzando  le pendici come le righe scritte, e salire, un passo alla volta, fermandosi a tirare il fiato e con l’occasione guardarsi attorno, dare il tempo al cuore di assecondare i battiti che animano le pagine, lasciarsi abitare.

Anin. Andiamo. Mi stringo nello scialle.

Anin. Un’altra salita. Un’altra scalata di ore con l’umidità a stremare le ossa, la lana delle calze che punge, il  freddo che apre solchi dolorosi sulla pelle e il peso estenuante della gerla.

Già, perché sul Pal, fin dalle prime battute, ci sarà anche il lettore, ogni logica spazio temporale annullata dalla sconfinata capacità narrativa di Tuti, qui più che mai straordinaria nel plasmare la sua prosa ad adattarsi perfettamente alle asperità e ai dossi, non una parola, interpunzione, sospensione di troppo.

Frasi incisive, nette e nitide ad esprimere sentimenti e sensazioni così grandi e complessi da rientrare nel comparto dell’ineffabile, e al contempo riuscire a trasmettere tutto.

Come si fa a dire  vita nel momento in cui più è minacciata?

Nel momento in cui più è sotto scacco?

Nel momento in cui più che mai si paga la mossa?

Ilaria Tuti dice vita in Fiore di roccia, raccontandoci la paura, tanto forte da sentirne l’odore

Il cappellano militare officia il rito sotto l’arcata del portale; accanto a lui (…) spunta un gigantesco proietto piantato nel terreno. A volte,  è salvifico tenere accanto ciò che più spaventa.

raccontandoci la risata, tanto forte da rimbalzare, cristallina, di eco in eco

La sua risata questa volta esplode limpida ed echeggia nella forra che ci divide dal nemico. Immagino i Kaiserjaeger appostati dall’altra parte sussultare, recuperare freneticamente il controllo del mirino, cercare la sua origine in un’ombra, disorientati dall’eco.

raccontandoci che non combattono torti o ragioni, urlando che non ce ne sono, torti e ragioni.

 Serve una risolutezza sovrumana per non sentire il richiamo del riconoscersi l’uno nell’altro.

Agata Primus, la protagonista assoluta ma non unica, ben lungi dall’essere tagliata con l’accetta con la quale si fa legna, è uno dei personaggi più belli e definiti, anche dai propri dubbi e dalle proprie paure, che mi sia mai capitato di incontrare.

La risolutezza sovrumana le appartiene, ma al pari dell’intelligenza, della libertà del pensiero e del coraggio di esercitarla

(…) finalmente mi porge i polsi. Lo sto legando per tenere me stessa al sicuro, tuttavia la sensazione che provo è un’altra: non sono i nodi a farmi sentire protetta, ma il vigore di questi polsi. Sono forti, e lui li ha messi nelle mie mani.

Esula da ogni retorica, da ogni buonismo, da facili compassioni, Tuti, perché non è da lei e perché sa bene che a queste meravigliose donne, le portatrici avrebbe fatto un dispetto.

Le omaggia riportandole alla vita, oggi, anno 2020.

Le omaggia nel ricordare che tanta di questa vita la si deve a loro.

Mi concentro sul libro. Su questo libro.

 Vuole una parola per chiamarli.

Ce ne sono molte (…) “Storie. Sogni. Speranze.”

La trovo, infine.

Stelle.

Alpine. Eterne.

Ilaria Tuti


Ilaria Tuti vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Ha studiato Economia. Appassionata di pittura, nel tempo libero ha fatto l’illustratrice per una piccola casa editrice. Nel 2014 ha vinto il Premio Gran Giallo Città di Cattolica. Il thriller Fiori sopra l’inferno, edito da Longanesi nel 2018, è il suo libro d’esordio. Ha scritto anche: Ninfa dormiente (Longanesi, 2019) e Fiore di roccia (Longanesi, 2020).

 

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