How many roads?




di Valentina Cavo


Autore: Leonardo Provana

Editore: Pensiero Randagio

Genere: Thriller

Pagine: 192

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Una sparatoria rompe il silenzio della periferia di Baku, in Azerbaijan. Sono le 10:28 del 21 giugno 2016. Theodore McCarthy, noto imprenditore dell’industria bellica americana, si trova catapultatoin un mondo che non gli appartiene, nelle mani dei suoi rapitori. Uno di loro si chiama Jurij. È un pastore ceceno che ha consacrato la propria vita alla jihad. Combatte per sua moglie e per suo figlio, per donare loro quelle ricchezze di cui sono stati privati dai potenti dell’Occidente. Dopo un pericoloso viaggio a nord, i terroristi si nascondono nelle montagne del Caucaso e rinchiudono McCarthy in un antico monastero medievale, scavato nella roccia. Ignorano di essere stati seguiti da Frank, un reporter di guerra ridotto alla follia dopo la morte della compagna in circostanze tragiche.Tra McCarthy, Jurij e Frank si instaurerà un pericoloso triangolo spionistico che li trascinerà in una spirale sempre più profonda e violenta, finché solo alcuni di loro rimarranno in vita.Tuttavia, al di là dei caduti e dei sopravvissuti, l’esperienza cambierà nel profondo i protagonisti, mettendo in crisi la strada che ognuno ha scelto per sé e ponendo il fatidico interrogativo su chi sia nel torto e chi nella ragione

Recensione

How many roads è un libro che fa vedere due lati di una stessa medaglia: da una parte l’America, plutocratico paese produttore di armi e ricchezza; dall’altra, la dura situazione dei villaggi che si trovano sulle montagne caucasiche, poveri ma con la voglia di impugnare quelle armi in nome della jihad. La descrizione di questi due mondi risulta molto incisiva grazie al profondo realismo di cui l’autore è capace: ciò offre una notevole marcia in più alla storia, in quanto la rende più comprensibile – reale e tangibile – da parte del lettore.

I personaggi che si susseguono in questa storia sono molti e tutti assai differenti tra loro. I principali protagonisti, coloro che rappresentano il perno portante delle vicende narrate, sono solo in tre: Jurij, il pastore dagli occhi di ghiaccio, così duro e determinato che fa letteralmente di tutto per difendere e  migliorare le condizioni di vita alla sua famiglia; Theodore, il quale dalla propria posizione privilegiata di ricco imprenditore, non capisce quanto sia prezioso tutto ciò che ha, fino al momento in cui viene rapito e portato in un paese a lui ostile; infine, Frank, un uomo dal cuore in frantumi che sembra non avere più nulla da perdere e vagabonda per il mondo forse alla ricerca di un nuovo se stesso.

Leonardo Provana con questo romanzo ci fa riscoprire la bellezza del thriller di spionaggio con una scrittura molto più profonda di quanto ci si possa aspettare da libri di questo genere.

Sebbene gli argomenti trattati siano davvero molti e non si limitino soltanto a quelli di natura storica e culturale, occorre precisare che sono soprattutto i momenti che toccano intimamente la vita dei personaggi ad appassionare: è in questo che si mostra la bravura dell’autore, nel far in modo che si crei una connessione profonda tra lettore e personaggio.

 

INTERVISTA

La trama di “How many roads” si svolge un po’ in America un po’ nelle montagne del Caucaso. Dato che le tue descrizioni sono accurate, sono posti che hai visitato oppure hai fatto delle ricerche su questi luoghi? 

 Nonostante io prenda spunto dai diversi luoghi in cui sono stato, non ho mai visitato di persona gli scenari di “How Many Roads?”, a parte le Cinque Terre in cui ho passato una settimana per un’attività di volontariato con la Legambiente nel 2014. Ho compiuto ricerche, soprattutto ho cercato di guardare diversi documentari sulla vita nel Caucaso e sul recente passato (in particolare sulla Seconda guerra cecena). Alcuni fatti che ho avuto modo di descrivere arrivano da articoli di giornale che ho avuto modo di leggere durante la fase di ricerca. Per quanto riguarda la parte nel New England, ho letto diversi libri ambientati in quelle zone e ho preso spunto da alcune lezioni di inglese in cui avevamo approfondito la cultura del luogo. Tuttavia, ho cercato di inserire in questi posti degli scenari e delle esperienze personali, ovviamente adattandoli al nuovo contesto. Per esempio, nella descrizione del paesaggio montano, ho preso ampio spunto da varie escursioni sulle Alpi Orobie bergamasche. Inoltre, la strada che Theodore McCarthy e il suo autista percorrono nella campagna attorno a Boston, è ispirata a una strada sono stato costretto a percorrere diverse volte tra casa mia e la clinica in cui mio nonno era ricoverato (motivo anche del flashback di McCarthy nelle prime pagine del libro). Quindi, riassumendo, si può dire che ho cercato di informarmi sui luoghi che ho descritto, inserendo comunque dei dettagli della mia esperienza personale.

Come ti è venuta in mente la storia del tuo romanzo? Era una cosa alla quale pensavi da tanto? 

Solitamente partorisco delle nuove idee quando faccio qualcosa da solo. Che sia andare in macchina, correre, cucinare, fare la doccia, ascoltare la musica, sono tutti momenti in cui lascio che la fantasia corra liberamente. In particolare, l’idea originale era di raccontare qualcosa di simile all’omicidio di JFK, in seguito a una lezione di storia tenuta dal mio professore del liceo, Luigi Maglio. Stiamo parlando di quattro anni fa. Dopodiché ho iniziato a sviluppare i personaggi. E’ un processo che ha richiesto tempo, almeno sei mesi. Una volta che mi sentivo pronto con i personaggi e sapendo più o meno come cominciava la storia, ho iniziato a scrivere. Tuttavia, piuttosto che forzare la storia in una certa direzione, ho preferito rimanere coerente con il modo di comportarsi dei personaggi. Ho seguito le loro storie e mi sono trovato a rincorrere quello che facevano, senza sapere a cosa avrebbe portato. E’ stata la prima volta in cui ho fatto più l’osservatore (o cronista) che il direttore d’orchestra. Difatti la storia finale è risultata molto diversa rispetto a quella che avevo pensato originariamente. Ho sentito, in un’intervista a Quentin Tarantino, che anche lui più o meno segue lo stesso percorso creativo. Credo sia anche questo il significato di “How Many Roads?”.

Ci sono degli autori che hanno influenzato il tuo modo di scrivere o che prendi come esempio? 

Sicuramente sono stato influenzato da tre autori principali, di cui apprezzo la chiarezza, la poesia e la spontaneità.  Potremmo dire che, non essendo Manzoni, ho subito rinunciato a strani e complessi costrutti, in favore di uno stile più spoglio, diretto e minimalista. Non ho l’esperienza e la competenza per scrivere in modo più complesso. Il primo autore da cui ho preso spunto è Tom Clancy. Di lui apprezzo il modo di creare suspense e di alternare diversi scenari della storia, in apparenza scollegati, ma che poi risultano confluire nello stesso fiume narrativo. Inoltre ammiro il suo usare le scene d’azione col contagoccie, senza scadere in quelle che potremmo definire americanate. Il secondo e il terzo autore sono Alessandro Baricco e Francesco Guccini. Di entrambi mi piace moltissimo come riescono a risultare spontanei, anche talvolta legati ad espressioni quasi dialettali. Mi piace molto passare da questo stile più “rude” a uno più poetico e credo che entrambi sappiano passare con facilità disarmante tra questi due panorami dell’essere umano. 

Leonardo Provana

 

Leonardo Provana


Leonardo Provana è nato a Crema nel 1997. Laureato in ingegneria meccanica, per alcuni mesi è stato una penna de Il Superuovo. Oggi scrive articoli per il blog #PensieroRandagio. Ha scritto “How Many Roads?” nel corso di tre anni, tra l’estate dell’esame di maturità e quella della laurea. Definisce il manoscritto come un “esperimento letterario” nel quale ha cercato di reinterpretare il genere thriller spionistico combinandolo con alcuni elementi del romanzo di formazione. Dello stesso autore sono i due romanzi per ragazzi “Mezzanotte a New York” e “Il Mistero delle Frecce Yaqui”.RIGUARDO #PENSIERORANDAGIO:Il blog di #PensieroRandagio è un luogo nel quale si coltivano idee e in cui si parla di aneddoti, cultura e culture diverse. Tutto ad una condizione: persi nel bosco, ma fuori dal branco.

 

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