I Cani di Riga




Recensione di Marina Morassut


Autore: Henning Mankell

Traduttore: Giorgio Puleo

Editore: Marsilio Editori Spa

Pagine: 320

Genere: narrativa gialla

Anno pubblicazione: 2010

Leggere Mankell è un po’ scostarsi dai classici “scandinoir” o thriller nordici che a cascata, a partire da un certo momento, sono spuntati un po’ copiosi. Nel bene e nel male, un po’ come tutte le cose.

Leggere Mankell è riprendere in mano la tradizione di Sjowall/Wahloo degli anni 1960 – quando scrivere aveva l’esaltante significato di portare alla luce problematiche sociali e critiche allo Stato, rivestendole al contempo con un interessante caso poliziesco, escamotage ben costruito per portare alla ribalta una problematica reale.

Un po’ quello che oggi viene definito letteratura d’inchiesta, che avvicina il lettore alla realtà della vita sociale e politica del Paese.

Leggere “I Cani di Riga” – secondo romanzo che vede protagonista l’oramai famoso Ispettore Kurt Wallander – è come fare un tuffo negli anni del declino dell’Unione Sovietica, dopo la caduta dell’infame Muro di Berlino, in quel periodo di assoluto disordine e di assoluta aria e speranza di libertà.

I Cani di Riga sono gli uomini corrotti, qui nella fattispecie politici e poliziotti, che nel 1990 all’alba della dichiarazione di indipendenza della Lettonia dalla Russia, barattano la propria coscienza per il potere e la ricchezza, facendo sì che un sistema che sta ufficialmente morendo in realtà sia ancora manovrato nel buio dagli stessi “padroni” che fino a quel momento avevano governato. Usando anche l’omicidio, se necessario.

E proprio in questo sta la grandezza di uno scrittore come Mankell: una denuncia sociale scritta nel 1992 – neppure tanto velata – ed ammantata di un’aria di giallo che ben si sposa con questa situazione.
Tutto inizia in una nebbiosa notte quando due pescatori sul loro peschereccio – che non viene usato per la pesca – vedono nel mare un canotto contenente i cadaveri di due uomini.

Da qui in poi si dispiega un giallo che, come consuetudine per Mankell, vive di ritmo lento nella ricerca degli indizi e nella ricostruzione dei fatti, senza grandi colpi di scena – se non verso la fine, quando Wallander si trasferisce a Riga in Lettonia, invitato dalla polizia locale, per aiutare a trovare l’assassino di un loro poliziotto.

La lettura di tutta la serie di Wallander non andrebbe persa, soprattutto per gli estimatori del giallo nordico. E questo romanzo in particolare, per chi apprezza anche l’aspetto storico di vicende accadute realmente in un recente passato.

Ci sono diverse critiche negative che sono state mosse da alcuni lettori nei confronti di Mankell, per aver creato un commissario così inquieto, che, soprattutto nei primi romanzi, sembra innamorarsi di ogni donna che incontra. Ma è proprio questa la zampata di genio di uno scrittore che fa del giallo l’occasione di un approccio realistico, con tutto ciò che consegue: sia la scelta dell’impianto della storia e dell’ambientazione, sia la scelta della figura del suo protagonista. Un uomo come lo potremmo incontrare nella realtà non una figura fittizia ed alcune volte da supereroe che qualche autore predilige.

Wallander, anche quando è costretto suo malgrado a fare l’eroe, lo fa con un aplomb ed una noncuranza pieni di pensieri, tensioni e paure così reali, che anche gli atti più eroici sembrano le vicissitudini che uno qualsiasi di noi potrebbe essere costretto, suo malgrado, a vivere. In modo normale. Con paura, ma con la convinzione che indietro non si torna, perché chiudere gli occhi significherebbe rinnegare la propria coscienza e ciò in cui per 50 anni di vita si è creduto e ci si è battuti.

A discapito della propria vita privata.
Nonostante la voglia di mollare in alcuni momenti.
Ma che ci consente di guardarci allo specchio senza provare disgusto per se stessi.

Henning Mankell


Viveva tra la Svezia e il Mozambico, dove a Maputo dirigeva il teatro Avenida. È l’autore della fortunatissima serie del commissario Wallander, pubblicata in molti paesi. Tra i riconoscimenti internazionali al suo lavoro, ricordiamo The Academy of Swedish Crime Writers’ prize per Faceless Killers (1991); Scandinavian Crime Society prize, The Glass key, per Faceless Killers (1991); The Academy of Swedish Crime Writers’ prize per Sidetracked (1995); the British Crime Writers’ Association prize, the Golden Dagger, per Sidetracked (2001).

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