I divoratori




Recensione di Sara Pisaneschi


Autore: Stefano Sgambati

Editore: Mondadori

Genere: Narrativa

Pagine: 204

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Non è una serata come le altre nel prestigioso Palazzo Senso, ristorante gourmet dell’Hotel Principe di Savoia di Milano. I piatti concepiti dallo chef Franco Ceravolo, monumento della gastronomia italiana, atterrano con grazia sui tavoli finemente apparecchiati, trasportando i clienti in un universo sensoriale stroboscopico impossibile da dimenticare. Ma nell’aria serpeggia una strana eccitazione e tutti gli occhi sono puntati verso il centro della sala, lì dove siede “una creatura di perfezione impossibile, ancestrale, l’uomo più bello che si sia mai visto”. È Daniel William King, stella assoluta di Hollywood, accompagnato dalla sua bellissima moglie: la coppia di attori più ammirata, invidiata e fotografata del momento, ville da copertina, premi internazionali, figli naturali e figli adottati, ricchezza, successo e due volti assicurati per cifre che basterebbero a pagare un Pollock da Sotheby’s: una grandiosa famiglia tradizionale. Condividere con loro il tempo e lo spazio di una cena non è un’opportunità o un colpo di fortuna, ma una responsabilità, un peso capace di cambiare le carte in tavola. A scoprirlo, loro malgrado, saranno Elena e Saverio – che stanno trascorrendo un avventato weekend insieme dopo essersi incontrati al funerale di una comune amica -, Giordano e Frida – uno stimato professore universitario e una sua lettrice di trent’anni più giovane – e un gruppo oscenamente rumoroso, seduto più in fondo, in disparte – la grottesca famiglia del maître, che grazie a una soffiata del figlio non si è fatta sfuggire l’occasione di osservare da vicino Mr e Mrs King. Durante il pasto, mentre in cucina e agli altri tavoli si consumano cattiverie, epifanie e piccoli traumi, al tavolo dei due divi si svolge la scena madre, perché nel cervello dell’attore più bello del mondo, all’oscuro dello sguardo altrui e lontano dalla liturgia dello spettacolo, si annida da tempo un minuscolo seme di follia, “una specie di fungo, una macchia che comincia ad allargarsi” e che devierà senza scampo le traiettorie delle vite di ciascuno dei protagonisti.

Recensione

Ero curiosissima di leggere l’ultima fatica di Stefano Sgambati. Dico così  proprio perché lui stesso ha detto di aver impiegato molto molto tempo alla sua realizzazione.

È un libro originale e sorprendente, a tratti sfacciato e commovente, che mette a nudo le grandi debolezze di questa nostra società moderna.

Tutto si svolge in una serata, durante una cena nel prestigioso ristorante dell’Hotel Principe di Savoia di Milano, regno del grande chef Ceravolo. Una serata importante per tutti i personaggi. Ognuno a modo suo è alla resa dei conti, ognuno si ritrova a tirare le somme della propria esistenza così, quasi a bruciapelo, quasi non se l’aspettassero nemmeno loro.

La vita non è un film o uno spot pubblicitario, non si spegne la luce dopo l’ultimo ciak, e le decisioni che prendiamo nel corso di qualche evento poi possono non coincidere con le aspettative. Lo sanno bene Severio e Elena durante la fuga forse troppo avventata che si concedono dopo una conoscenza superficiale. Lo sanno Giordano e Frida, insieme ma immersi in due mondi così distanti.

Lo sa il maître Carlo che ha ottenuto il lavoro in modo non proprio convenzionale e messo chilometri e chilometri di distanza tra lui e la sua ingombrante famiglia, per poi ritrovarseli tutti lì a metterlo in imbarazzo.

Lo sa il grande Chef, come fa a sostenere lo stress di certe serate.

Ma soprattutto lo sa il grande Daniel William King, il più grande di tutti, il divo hollywoodiano più famoso e importante, il più acclamato, il più fotografato e invidiato, l’uomo più bello che si sia mai visto. Sono lui e la moglie al centro di ogni dibattito. Mr e Mrs King e la famiglia perfetta in cui è quasi doveroso specchiarsi.

Ogni personaggio indossa la sua maschera, sceglie il vestito migliore e affronta la serata carico di aspettative. C’è chi spera finisca il prima possibile o di scappare via.

Chi di riuscire a conquistare la ragazza di trent’anni più giovane. Chi cerca, vociando animatamente, di scattare la foto del secolo ai divi per poi venderla al giornale.

Chi non ha più niente da dire e si ritrova a fissare il vuoto e chi si chiede cosa ci stia facendo realmente lì. Come si può avere tutto ed essere a tal punto infelici?

L’autore gira tavolo per tavolo quasi fosse lui stesso il maître della serata  e ci svela verità e debolezze, i punti di forza e, soprattutto, dove può portare la grande fragilità umana.

Una pianta di limoni finta può emanare una delicata essenza a chi la sa annusare, ma può essere vista anche solo per quello che è davvero: plastica.

E se la plastica sei tu allora tutto può accedere, anche l’impensabile. Sgambati, in modo a tratti ironico e irriverente, ma anche molto profondo e acuto, costringe all’esame di coscienza.

Non è forse questo il suo intento, ma lo fa, eccome se lo fa. Mi affido solo per un momento ad una frase che mi ha colpito molto di un altro autore letto da poco.

La trovo molto calzante e la rivolgo a questo libro sorprendente.

È una ferita, e mi piace che ferisca.”

 

Stefano Sgambati


è nato a Napoli nel 1980, ma ha sempre vissuto a Roma. Attualmente abita a Milano dove si occupa di letteratura, tv e giornalismo. Ha esordito in libreria nel 2011 con una raccolta di racconti, Il Paese bello (Intermezzi Editore); il suo primo romanzo è Gli eroi imperfetti (minimum fax, 2014) e l’ultimo La bambina ovunque (Mondadori, 2018).

 

 

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