I figli di Bronstein




Recensione di Ilaria Bagnati


Autore: Jurek Becker

Traduzione: Edda Battigelli

Editore: Neri Pozza

Genere: Romanzo

Pagine: 304

Anno di pubblicazione: 2019

Sinossi. Hans e Martha si amano e spesso lasciano Berlino per raggiungere la casetta di campagna del padre di Hans, isolata da tutto e da tutti. Ma un giorno Hans trova la casa occupata. Ha così inizio una storia che gli cambia la vita. In quella casa, infatti, il padre, insieme a due amici come lui sopravvissuti del lager, tiene prigioniero un ex carceriere. Lo interrogano, lo picchiano e cercano vendetta per ciò che sono stati costretti a subire in passato. Hans vede tutto, disapprova, soffre. Un anno dopo il padre muore e l’amore verso Martha è finito. Per poter dimenticare la vicenda dell’anno passato, il rapimento del carceriere, la morte del padre, Hans decide di raccontare quella storia. Pubblicato per la prima volta nel 1986, I figli di Bronstein è una delle opere più coraggiose di Jurek Becker, imprevedibile conclusione dopo Jakob il bugiardo.

Recensione

La vita di Hans non è facile, orfano di madre cresce con il padre Arno e ha una sorella maggiore, Elle, chiusa in una casa di cura per malattie mentali. Hans non ha un bellissimo rapporto con il padre che è piuttosto taciturno. Tale rapporto si incrina maggiormente quando Hans scopre che il padre, sopravvissuto al campo di concentramento, ha sequestrato nella casetta di campagna un ex guardia del campo insieme ad altri due sopravvissuti come lui.

Hans vede con i suoi occhi l’uomo sequestrato, vede che è stato torturato e viene tenuto legato al letto. Egli non riesce a capacitarsi che il padre possa torturare il prigioniero e non condivide ciò che lui e i suoi amici stanno facendo, l’uomo è si un ex guardia del campo ma non per questo merita di subire ciò che gli stanno facendo, soprattutto non dopo anni dalla fine dell’Olocausto.

Appare così evidente il divario generazionale tra padre e figlio, Arno non riesce a dimenticare ciò che ha vissuto e Hans fatica a comprendere la vera portata di ciò che il padre e chi come lui ha vissuto nei campi di concentramento. Ciò è dovuto anche al fatto che Arno non parla mai al figlio della tragedia vissuta, come non gli ha mai parlato veramente della madre e del perché la sorella Elle sia stata internata. La rabbia di Hans è anche dovuta al fatto che con la casa occupata non può andare lì con la fidanzata Martha.

L’amore per Martha sembra essere ciò che gli dà la forza di andare avanti, la forza per affrontare il padre anche se Martha non saprà mai la verità sul perché la casa sia stata occupata. Il romanzo si divide in due archi temporali: il mese che segue la morte di Arno e le due settimane dell’anno precedente. Hans racconta la relazione con Martha, il rapporto con il padre, il sequestro della guardia e di come ciò ha influito sul loro rapporto.

Hans parla anche del presente, di come sia vivere con la famiglia di Martha dopo la morte del padre, di come l’amore per Martha sia finito, della sua volontà di andare all’università e di cercare una stanza per starsene solo. Per Hans non è facile vivere con Martha che non ama più e con i suoi genitori. Passa le sue giornate con indolenza, aspetta che succeda qualcosa che possa scuotere la sua vita monotona.

Il ricordo del padre è sempre presente, non lo abbandona mai così come il ricordo dell’amore provato per Martha. E’ stato interessante per me leggere di come un figlio possa vivere il dolore di un padre che ha vissuto l’Olocausto.

E’ un punto di vista nuovo ed è ancora più interessante perché Hans è un personaggio autobiografico. Anche a Becker come ad Hans non sono stati raccontati dal padre i propri ricordi sull’Olocausto, da quel padre che è l’unico “ponte” con l’ebraismo. Ciò viene spiegato e approfondito alla fine del libro nella bellissima ed interessante postfazione di Roberta Malagoli in cui si parla di Becker e dei suoi lavori.

I figli di Bronstein è un libro toccante e particolare nel suo genere. Nonostante il tema di fondo è un libro scorrevole che consiglio di leggere attentamente perché ricco di spunti di riflessione.

Consiglio di leggere anche la postfazione per una maggiore comprensione del testo.

A cura di Ilaria Bagnati

ilariaticonsigliaunlibro.blogspot.com

 

Jurek Becker


Jurek Becker (1937-1997), nato a Lodz, in Polonia, da genitori ebrei, scampò ai lager nazisti di Ravensbrück e Sachsenhausen. Trasferitosi nel dopoguerra a Berlino, nel 1978 lasciò la Germania orientale per quella occidentale. Fu spesso invitato a tenere lezioni e corsi nelle università estere. Jakob il bugiardo ha vinto il premio Heinrich Mann nella Repubblica democratica tedesca e il premio Charles Veillon in Svizzera, è stato tradotto in varie lingue e la sua prima versione cinematografica è stata premiata al Festival di Berlino del 1975.

 

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