I nostri padri




Recensione di Loredana Gasparri


Autore: Karin Brynard

Editore: Edizioni E/O

Traduzione: Silvia Montis

Genere: Narrativa moderna e contemporanea

Pagine: 544

Anno di pubblicazione: giugno 2019

Sinossi. In viaggio verso il Capo, l’ispettore Albertus Beeslaar si ritrova per caso sulla scena di un crimine: una donna bianca, moglie del facoltoso imprenditore Malan du Toit, viene assassinata nella sua villa in un ricco quartiere di Stellenbosch. Beeslaar si inoltra nei labirinti della città simbolo della cultura Afrikaner: capitale del vino e roccaforte bianca, apparentemente non toccata dalle colpe dell’apartheid, Stellenbosch nasconde molte ombre dietro le quinte degli eleganti palazzi. A millecinquecento chilometri più a nord, il sergente Johannes Ghaap, pupillo di Beeslaar, si fa le ossa nella sterminata città baraccopoli di Soweto. Teatro di delitti e guerriglia durante la lotta di liberazione, fumosa e tentacolare, la township nera porta su di sé il marchio a fuoco di un passato di sangue e miseria. In lotta contro il tempo per salvare la vita di una donna rapita, Ghaap si ritroverà a dare la caccia a una figura leggendaria, che da anni popola i racconti del terrore dei bambini della township: uBaba, “Il Padre”, uno sciamano talmente potente e crudele da essere considerato intoccabile.

Recensione

Se, quando aprite un libro, cercate una realtà completamente diversa dalla vostra, senza ricorrere alle creazioni fantasy o fantascientifiche, sicuramente I nostri padri soddisfa le vostre richieste. Dal punto di vista geografico, siamo in Sudafrica, a Stellenbosch.

Almeno per le prime pagine. Dopodiché, veniamo catapultati a Soweto, a circa due ore e mezzo di volo, alle porte di Johannesburg. E da quel momento in avanti, fino all’ultima pagina del libro, siamo sbatacchiati come una pallina di ping pong tra le due città nel campo di gioco più grande della storia, l’intero Sudafrica. Alla fine, ci siederemo con il fiatone, ma felici e soddisfatti perché la trama non ci ha fatto sentire nessuna fatica. Anzi!

Cominciamo la lettura con tranquillità, con una certa dose di compostezza. Stiamo accompagnando l’ispettore Albertus Beeslaar a Stellenbosch e scopriamo che non è più tanto felice di compiere quel viaggio cui si era preparato da tempo. Avrebbe dovuto incontrare un altro poliziotto come lui, in pensione, un personaggio che si è vestito da padre per quel ragazzo spezzato dentro da un dolore inestinguibile, dopo tanti anni di separazione.

Arriva in tempo per il suo funerale: una morte improvvisa, spiazzante, senza malattia. Ora, da questo momento, le cose iniziano a precipitare secondo dopo secondo. Albertus non fa in tempo ad elaborare l’accaduto, che viene coinvolto, suo malgrado, e contrariamente ai confini della sua giurisdizione, in un omicidio brutale che avviene proprio il giorno del funerale del suo amico. La bella e ricca moglie di Malan du Toit, un costruttore edile miliardario della regione, discendente di una delle famiglie più antiche e rispettate di Stellenbosch, viene trovata massacrata in casa sua. Marito e figli sotto shock, coperti di sangue, terrorizzati. Sembra una rapina finita male, malissimo… ma qualcosa stona.

E l’ispettore Beeslaarcoglie quella nota stridula, pur se seppellita sotto negazioni, provvidenziali smemoratezze, omissioni, reticenze da parte della stessa famiglia colpita dal massacro.

Inizia un gioco sottile, veloce e sanguinario, a Stellenbosch. Di quei giochi che si nutrono di fiumi di soldi, non sempre puliti, e di persone che non vedono l’ora di dirottarli interamente nelle loro tasche, passando sopra trattative, contratti, espropriazioni storiche, diritti negati. E per coprire e confondere le acque, in Sudafrica è tanto, tanto facile tirare in ballo le questioni razziali, gli odii per le sfumature di pelle, il rancore per il bianco ricco e potente, la contraddizione e la frustrazione di trovarsi sempre nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con il colore sbagliato. Troppo scuro, troppo chiaro. Troppo ricco, troppo povero. Troppo presto, troppo tardi.

E mentre cerchiamo di capire perché Albertus si trova intrappolato in una questione che non lo riguarderebbe minimamente, ma di cui non riesce a liberarsi nemmeno fosse un catenaccio fissato alle sue caviglie, Karin Brynard ci afferra e ci spinge vicino al sergente Ghaap, proprio mentre si trova coinvolto in un furto d’auto particolarmente sanguinoso a Soweto, oltre mille chilometri a nord di Stellenbosch. No, qui niente ville hollywoodiane e ricchezza che gronda da viali alberati, edifici opulenti e vigneti rinomati nel mondo.

Questo è il mondo tormentato, violento e pericolosissimo delle township. Bianchi, neri, meticci e altre nazionalità combattono qui una guerra quotidiana a colpi di furti d’auto e crimini efferati. Povertà estrema, volontà di sopravvivere e crudeltà bestiale sembrano le caratteristiche principali, e se non si è resistenti e veloci, tutto diventa ancora più duro e complicato.

Ma dai furti d’auto passiamo di livello altrettanto rapidamente: una donna scompare, con il figlio piccolo, e Ghaap si ritrova a doverla rintracciare, da un minuto all’altro!

Cominciamo a sudare, perché questo non è un evento da niente. La donna ha un legame… vedrete con chi, ed è finita tra le grinfie di un criminale crudele dalla reputazione così terribile, da essere considerato una specie di spirito del male. Il Padre, ecco il suo nome. E poiché nessuno è mai riuscito a vederlo o a catturarlo, è diventato una sorta di alter ego dell’Uomo Nero… uno spauracchio che le madri agitano per spaventare i bambini cattivi.  

Come finirà la partita di ping pong più grande del secolo, con noi lettori sballottati tra due città sudafricane così diverse in apparenza, e così piene di violenza, intolleranza e avidità?

Scoprirete tutto nel libro.

E tanto, tanto di più! Se vi appassionano le lingue, troverete tantissimi termini tratti da alcune delle principali lingue parlate in Sudafrica. La traduttrice ha veramente giocato un campionato mondiale, vincendolo alla grande, giostrandosi tra inglese, afrikaans, xhosa, e il gergo di ciascuna. Non tutti i personaggi del libro sono di quell’estrazione sociale che li farebbe invitare a Buckingham Palace per un tè con la regina, e il loro modo di parlare ne è la chiara espressione!

Se siete curiosi della storia e della società sudafricana, qui ci sono scorci e spunti sull’apartheid e sui difficilissimi rapporti tra razze diverse, che non sembrano aver mai trovato davvero un modo per guardarsi senza maledirsi gli uni con gli altri. E poi, un filo quasi trascurato, ma che continua ad affiorare, e che si sviluppa in una conversazione originale tra Albertus e la sua affittacamere: la figura del padre. E non mi riferisco alla leggenda del terrore che spadroneggia a Soweto.

I padri, nel romanzo. Quelli dei protagonisti, stressati, svuotati, schiacciati. Quelli sudafricani, apparentemente incapaci di prendersi cura dei figli. E i bambini… creature prese soprattutto di mira, tiranneggiate, eliminate con facilità.

Chi sono davvero, questi padri?

Sono… mai esistiti sul serio?

A cura di Loredana Gasparri

https://www.delfurorediaverlibri.it

 

Karin Brynard


Karin Brynard ha ricevuto diversi premi letterari, tra cui il Debut Prize della University of Johannesburg e due M-Net Award. Giornalista, ha lavorato a lungo per il settimanale Rapport come corrispondente per la politica estera. I suoi romanzi sono stati pubblicati in afrikaans, inglese, tedesco, francese, olandese e italiano. Nel 2018 le Edizioni E/O hanno pubblicato Terra di sangue. Vive a Stellenbosch.

 

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