Il cadavere del Canal Grande




 Il cadavere del Canal Grande

di Enrico Vanzina

Harper Collins 2022

Giallo, pag.224

Sinossi. Jean de Briac ha un sogno, fare il pittore. Ma suo padre, un nobile francese assai più interessato al guadagno e alle mucche che all’arte, non voleva sentirne parlare. Così Jean ha rubato un cavallo dalla scuderia paterna e ha galoppato fino a Venezia, dove è riuscito a farsi prendere a bottega dal pittore che ama di più, il maestro Giambattista Tiepolo. La vita tra i canali e gli affreschi gli sembra tutto quello che ha sempre desiderato, finché un giorno va a sbattere contro una bellissima ragazza. Lei lo guarda e prima di svanire tra la folla gli affida un sacchetto di velluto con la preghiera di consegnarlo il prima possibile alla signora Ginevra, la proprietaria della locanda “Alle due spade”. Jean lo apre: contiene uno smeraldo di dimensioni stupefacenti. Pochi minuti dopo dal Ponte di Rialto si alzano delle grida, “c’è un cadavere nel Canal Grande”. È la ragazza del sacchetto… Dopo una notte turbata da un sonno inquieto Jean si reca alla locanda. Incontrerà Ginevra, la donna più sensuale che abbia mai visto, e finirà in un misterioso intrigo che coinvolgerà i potenti di tutta Europa e il più celebre veneziano di sempre: il cavalier Giacomo Casanova.


Recensione di Pier Livrieri

Enrico Vanzina chiude il giro d’Italia (con delitto) giungendo in Laguna; dopo Roma e Milano è Venezia, e la campagna veneta, a fare da quinta alle vicende narrate.

Ma la Venezia di Vanzina non si limita ad un solo delitto, sarebbe forse riduttivo per cotanto proscenio.

Una Venezia che non è solo semplice scenario ma che gioca un ruolo da protagonista con le sue calli, le acque torbide, i canali, le gondole, le chiassose giornate e i silenzi notturni, ma tanto movimentati.

Una città senza tempo e fuori dal tempo per una storia ambientata nel secondo Settecento in cui i molti ingredienti si mischiano senza mescolarsi (sì, questa è già sentita). E allora abbiamo uno stuolo di notabili, Alti Prelati, donne fatali, sbirri, artisti del calibro del Tiepolo e i suoi aiutanti e il mito, Giacomo Casanova.

Tutto ruota intorno ad un misterioso smeraldo, ma a far ruotare tutto è la locandiera Ginevra Trevisan. Attraverso l’arte della seduzione e con doppi, tripli e quadrupli giochi saprà conquistare la fiducia di molti uomini, tanto potenti, temuti e rispettati quanto denudati, non solo metaforicamente, innanzi all’offerta delle sue grazie.

Opportuna citazione è pienamente meritata da Cesco Zardin, calato alla perfezione nel ruolo dello sbirro, diciamo così, di provincia. Tanto dedito ad assicurare alla legge e alle galere i ladri di pescegatti – licenza che mi prendo vista la zona d’azione – quanto sensibile a non turbare i potenti, a non scontentarli, a non stuzzicarne fastidi che potrebbero ripercuotersi negativamente sulla sua carriera. Un solo sussulto di orgoglio e dignità, ma al momento giusto.

Il racconto scivola via rapido come le cavalcature nella campagna veneta (Mestre e poi il vicentino e il trevigiano sono altri luoghi vissuti dai protagonisti del racconto) e musicale come lo sciabordio delle gondole tra i canali.

Un romanzo in cui i poteri giocano un ruolo centrale: il potere in sè e gli appetiti famelici che lo circondano, il potere del denaro e il potere dell’amore.

E poi il sesso, strumento per il potere, a cui nessuno dimostra di saper resistere. Allora come oggi. La natura dell’uomo non cambia. E non so se tale certezza sia di conforto.

Che fine farà lo smeraldo non posso svelarlo ma posso ammettere che non sarebbe corretto descriverlo semplicemente come un romanzo sul potere crudo.

Note dolci di colore rosa sono dipinte dall’entusiasmo dalla caparbietà e dalla tenerezza di Jean de Briac, giovane artista francese al seguito del maestro Tiepolo e innamorato di Ginevra; note calde di un tramonto infuocato caratterizzano un Casanova crepuscolare che si fa apprezzare per le proprie umane debolezze.

Alla fine rimane il sapore di una lettura assolutamente godibile e divertente. I continui cambi di scena, di equilibri e di prospettive ben si presterebbero a trasposizioni su schermo. Ma qui ci occupiamo di libri, non credo che l’autore possa accettare suggerimenti in quel campo…

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Enrico Vanzina


Enrico Vanzina è un notissimo sceneggiatore. Figlio del grande Steno e fratello di Carlo, entrambi registi. Ha scritto circa cento film, alcuni famosissimi. Ha vinto il Nastro d’argento, la Grolla d’oro, il Premio De Sica e il Premio Flaiano. Cinema e tv non sono le sue uniche occupazioni. Ha collaborato con il Corriere della Sera e Il Messaggero. Ha pubblicato diversi libri, tra cui “Il gigante sfregiato” (Newton Compton), suo primo romanzo giallo, poi “Le finte bionde”, “Una famiglia italiana” (Mondadori), “Colazione da Bulgari” (Salerno Editrice), “La sera a Roma” (Mondadori), Mio fratello Carlo (HarperCollins Italia) e “Una giornata di nebbia a Milano” (Harpercollins Italia).