Il dittatore inglese  




 Il dittatore inglese

di Derek Raymond

Time Crime 2022

Silvia Petrone ( Traduttore )

thriller politici pag.275

Sinossi. Sono gli anni Sessanta. L’Inghilterra è diventata una dittatura, governata da un politico astuto e spietato di nome Jobling. Tutti i non bianchi sono stati deportati, The English Times è l’unico giornale e la gente comune vive nel terrore del coprifuoco notturno e della polizia segreta. Richard Watt ha usato tutto il suo talento giornalistico per smascherare Jobling prima che salisse al potere. Ora, in esilio in una fattoria nel caldo asfissiante della campagna italiana, Watt coltiva i suoi vigneti. Il suo remoto idillio rurale viene sconvolto dall’arrivo di un emissario del governo da Londra, ed è costretto a tornare a casa in un’Inghilterra che è diventata fatiscente e squallida, per affrontare accuse inventate di irregolarità fiscali. Riuscirà a dimostrare che le accuse sono false, a mantenere intatto lo spirito combattivo che lo ha reso uno dei più acerrimi nemici del regime e a convincere anche altri a opporsi alla dittatura? Oppure gli converrà piegarsi?


Il dittatore inglese

A cura di Stefania Ceteroni


 Recensione Stefania Ceteroni

Di mestiere fa il giornalista e non gli interessa infiocchettare le notizie. Richard Watt è un uomo schietto che affronta la vita di petto anche quando questo potrebbe avere delle dure conseguenze. 

Quando va al potere, nell’Inghilterra degli anni Sessanta, un uomo che risponde al nome di Jobling e si impone come dittatore, inizialmente non si rende conto di ciò che questo possa comportare per lui… Perché Jobling è un uomo potente, al momento, e non ha dimenticato che – tempo prima – venne intervistato proprio da Watt e messo in grande difficoltà davanti alle telecamere quando ancora era un semplice candidato. Watt, in diverse occasioni, ha anche scritto contro di lui apertamente. Quell’affronto ripetuto continua a bruciare sottopelle, a quanto pare, anche se oramai è cosa passata per la cronaca politica dell’epoca e per Jobling è arrivato il potere, quello vero.

Dico “a quanto pare” visto che Jobling non compare come personaggio in questa storia ma la sua presenza è costante. Lo è nelle deportazioni di tutti coloro che non sono bianchi, lo è nelle leggi restrittive applicate in Inghilterra, lo è dietro agli ordini di rimpatriare inglesi che se ne sono andati all’estero voltando le spalle alla loro terra.

Richard Watt è uno di questi. Dopo aver perso il lavoro (chissà perché?) vive in Italia con sua moglie ed è diventato un contadino. Non scrive più articoli di cronaca politica ma il suo carattere di contestatore non si è spento. Non si fa problemi a dire ciò che pensa anche se si rende conto che le cose stanno cambiando anche per lui. 

Non abbasserà mai la testa davanti alla dittatura.

Non cambierà mai le sue idee per ottenere qualche cosa in cambio.

Sarà sempre contrario al regime, qualunque cosa ciò possa comportare.

Nella prima parte del libro viene raccontata la vita da contadino di Richard e devo ammettere che ho avuto l’impressione di avere a che fare con tante, troppe informazioni superflue. Poi, all’improvviso, lo scossone. Da metà libro (più o meno) in avanti, la situazione cambia notevolmente tanto da mettere davanti a quel tranquillo contadino una prospettiva che mai avrebbe potuto immaginare.

Lo sforzo d’immaginazione dell’autore è tale da rendere terribile il regime in Inghilterra e la sorte di quell’uomo, considerato un acerrimo oppositore del regime, sembra segnata anche se lui non se ne rende conto fino alla fine. E fino alla fine non abbassa la testa, fino alla fine continua a contestare chi lo ha in pugno e continua a manifestare le sue idee anche quando la sua posizione diventa più che scomoda.

Io a dire il vero ho visto, nelle vicende che lo riguardano, più una vendetta personale del dittatore che l’applicazione di norme di qualsivoglia tipo. E devo anche ammettere che la realtà politica immaginata è davvero terrificante, come se si fosse tornati indietro nel tempo e si ripetessero le scelte che hanno portato tanta gente alla morte.

Molti sono i riferimenti politici, i discorsi politici che vengono introdotti tra le righe e questa, secondo il mio parere, è la parte meno scorrevole ed anche piuttosto ripetitiva.

Mi sono chiesta, alla fine della storia, se sia coraggio quello che porta Richard a restare fermo sulle proprie idee o incoscienza. Non sono riuscita a darmi una riposta.

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Derek Raymond


era lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook, nato a Londra nel 1931 e ivi morto, al ritorno da una peregrinazione durata una vita, nel 1994. Sottrattosi ben presto all’educazione borghese impartitagli dalla famiglia, ha iniziato a viaggiare vivendo, tra gli altri posti, in Marocco, in Turchia, in Italia, improvvisandosi nei lavori più improbabili: dal riciclaggio di auto in Spagna all’insegnamento dell’inglese a New York, dall’impiego come tassista alla carriera di trafficante di materiale pornografico. I suoi esordi nella carriera letteraria risalgono agli anni Sessanta, con opere chiaramente influenzate dall’esistenzialismo di Sartre. Un’influenza che riemergerà a partire dagli anni Ottanta nella sua serie noir della Factory a cui questo romanzo appartiene e culminata con Il mio nome era Dora Suarez. L’opera di Raymond vive di assoluta originalità nel panorama dell’hard boiled internazionale.

A cura di Stefania Ceteroni 

https://libri-stefania.blogspot.com