Il giro della verità




Recensione di Gaudenzio Schillaci


Autore: Fabio Bonifacci

Editore: Solferino

Genere: Narrativa, Thriller

Pagine: 384

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. «E così, dopo 17 anni e 10 mesi vissuti più o meno da bravo ragazzo, si trovò davanti alla Questura dove indagavano per l’omicidio che aveva commesso.» Ma come è finito Lele in quella stanza e come ne uscirà? È nato e cresciuto in periferia ma il talento della scrittura lo ha portato a studiare in un liceo classico del centro dove si è innamorato di Serena, bella e irraggiungibile. Per avvicinarsi a lei esce con un gruppo che fa uso di ecstasy, la prova per non essere da meno e finisce per entrare nel giro. Ma un amico muore per una «pasta» tagliata male ed è solo l’inizio di una serie di eventi a cascata incontrollabili. Custode di un segreto inconfessabile e sottoposto a sfide più grandi di lui, il protagonista è costretto a crescere a marce forzate mentre attorno, in una trama che procede implacabile come un giallo, si svelano le verità nascoste degli amici e, in un intreccio inarrestabile, quelle dei genitori dei ragazzi.

Recensione

“E allora mambo!”, “Ѐ già ieri”, “Notturno bus”, e poi ancora “Benvenuto Presidente”, “Benvenuti al Nord”, “Loro chi?”, “Diverso da chi?”, e ancora “Il principe abusivo”, “Metti la nonna in freezer” e tantissimi altri titoli. Insomma, è difficile che chiunque abbia vissuto in Italia negli ultimi vent’anni non sia già, consapevolmente o meno non è dato sapersi, entrato in contatto con la scrittura di Fabio Bonifacci, che di mestiere ha fatto per anni lo sceneggiatore per il cinema e da qualche mese ha pubblicato, sotto l’ala di Solferino Editore, “Il giro delle verità”, suo romanzo di debutto.

Sin dall’inizio l’autore ci porta dentro un piccolo universo formato da altrettanto piccole “identità in formazione”, ovvero dentro un ambiente scolastico di cui Lele è protagonista.

Accanto a lui si muovono le vicende dei suoi amici e compagni, preda dei tumulti che un’adolescenza borghese comporta, e in particolare si muove Serena, la bella-bionda-triste-inarrivabile femme fatale di cui, inevitabilmente, il nostro subisce il fascino.

La storia risulta subito verosimile, attecchendo su un immaginario collettivo comune, e colpisce altrettanto in fretta per i dettagli con cui ci viene mostrato il contesto socioculturale in cui Lele vive: una realtà in bilico tra sogni troppo grandi per diventare veri e verità troppo difficili per essere comprese.
Con l’inizio di quella che sembra una presumibile storia d’amore e il suo successivo apparentemente inspiegabile declino, Bonifacci si diverte a straniare il lettore spingendolo in direzioni diverse: ci si immedesima in Lele per le difficoltà con cui si approccia al mondo degli adulti, salvo poi staccarsi da lui quando finisce dentro una spirale autodistruttiva con troppa ingenuità, e infine ci si riallinea alla sua figura e alle sue instabilità emotive quando, in quella spirale, cerca di annaspare fino a poter sopravvivere.

In questo gorgo ci finiscono allora non soltanto i suoi compagni, quelli che, con la leggerezza connaturata all’adolescenza, spingono Lele dentro al mondo delle droghe sintetiche, ma anche quei genitori che, in quei figli così distanti, rivedono somiglianze che non vorrebbero vederci, fallimenti e miserie da cui pensavano di essersi affrancati ma che si ripresentano adesso dentro gli abiti e le ossa dei loro affetti più cari, come specchi che riflettono solo le loro deformazioni.

Non mi dilungherò troppo sulla trama, il cui incidere sfrontato e implacabile è uno dei motori trainanti della lettura e sarebbe peccato grave svelarne troppo: a colpirmi maggiormente, però, è stato il “ritratto di borghesia in nero” di cui è stato capace l’autore, che in un romanzo di formazione sui generis è riuscito a delineare e spiegare le fratture della società contemporanea con molta più precisione di quanto orde di sociologi riescono a fare con la loro produzione saggistica.

E non è forse, questo, in fondo, il ruolo che dovrebbe avere un romanzo? Tratteggiare i contorni della realtà, delimitarne i confini, sbatterla in faccia al lettore. Un lavoro in cui questo romanzo riesce senza alcuna obiezione.

Complimenti a Bonifacci, che fa strano chiamare “debuttante” considerando il suo curriculum vitae e che ci dimostra ancora una volta come la magia della scrittura possa presentarsi sotto molteplici forme ma deve sempre sottostare a una sola, grande regola che ne governa le meccaniche: la qualità, alla lunga, viene fuori. E la sua penna, di qualità, ne ha davvero moltissime.

A cura di Gaudenzio Schillaci

https://instagram.com/denzyotollah

 

Fabio Bonifacci


è nato e vive a Bologna. È uno degli sceneggiatori italiani di maggior successo. Ha scritto trenta film per il cinema tra cui Benvenuto Presidente, Bianca come il latte, rossa come il sangue, Mio fratello rincorre i dinosauri, Amiche da morire, Si può fare, Metti la nonna in freezer, E allora Mambo, Diverso da Chi?.

 

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