Il mistero della stanza blu




Il mistero della stanza blu

(Eugenia, 2005)

Riku Onda

Mondadori 2022

Bruno Forzan (Traduttore)

Narrativa gialla, pag.400

Sinossi. Un giallo raffinato, selezionato dal “New York Times” come uno dei migliori libri del 2020, una critica profonda alle contraddizioni e alle ipocrisie della società giapponese, una riflessione lucida e spietata sulla natura del male e gli abissi insondabili della memoria. È una notte calda e afosa degli anni Sessanta, quando nella città giapponese di K viene compiuto un misterioso ed efferato omicidio: durante una festa di compleanno a casa del dottor Aosawa, un eminente medico proprietario di un’importante clinica, diciassette persone muoiono avvelenate. L’unica sopravvissuta della famiglia è la figlia Hisako, mentre sul tavolo della cucina viene ritrovata una lettera con un verso criptico, probabilmente lasciata dall’assassino. Hisako, che ha perso la vista dopo un incidente, è tra i pochi testimoni della strage ma non ricorda quasi nulla: nel suo interrogatorio confuso parla soltanto di una stanza blu, piccola e semibuia, e di fiori bianchi. Pochi mesi dopo, il fattorino che ha consegnato le bevande alla festa viene trovato morto, apparentemente suicida, con un biglietto in cui si dichiara colpevole dell’omicidio. Le indagini si chiudono frettolosamente, ma in molti sono convinti che altre persone siano in realtà coinvolte nel delitto. Attraverso le voci di chi è stato testimone dell’omicidio, Il mistero della stanza blu ricompone come un mosaico l’intera vicenda, ricostruendo magistralmente le pieghe e le ombre di quella giornata terribile. Un giallo raffinato, selezionato dal “New York Times” come uno dei migliori libri del 2020, una critica profonda alle contraddizioni e alle ipocrisie della società giapponese, una riflessione lucida e spietata sulla natura del male e gli abissi insondabili della memoria.


Recensione di Marina Morassut

L’Eugenia della poesia e del titolo originale, ma anche la stanza blu della Villa Seison-kaku a Kanazawa e i fiori dell’albero di San Bartolomeo. E che dire della dedica dell’autrice giapponese al musicista/pianista jazz Michel Petrucciani “che non è vissuto abbastanza per poter vedere il Ventunesimo secolo”…

Tutto concorre a creare quest’atmosfera disturbante e a momenti onirica, quasi un’ode alla memoria, dove imperversa sempre un caldo afoso soffocante e  torrido e  dove tre diversi momenti temporali si fanno contemporaneamente presente, come se tutto fosse ugualmente importante, quasi che la memoria qui protagonista fosse essa stessa il presente imperituro, indimenticabile persino per i protagonisti del romanzo.

Dove i ragazzini protagonisti di un fatto agghiacciante si trasformano in adulti, con ramificazioni e contatti che l’autrice, con il dovuto pathos, ci presenta a ondate ordinate, in interviste che servono a Makiko Saiga, una ragazzina scampata alla strage, a scrivere un best-seller una decina di anni dopo l’efferata strage. 
Dove la malvagità, la propensione al male e l’indifferenza alla perfida crudeltà si tengono a braccetto e procedono di pari passo fino all’incredibile finale. Una chiusa che fra corsi e ricorsi rimane in un certo qual modo aperta, quasi a voler incitare il lettore a proseguire da sé la storia. A colmare il vuoto dilagante che l’autrice, sadicamente, fa scendere lieve attorno al lettore con le ultime pagine del romanzo.

E lungo tutto la vicenda, per come è stata impostata, si intuisce sia la volontà di mettere in luce l’incoerenza  e il convenzionalismo esasperato della società nipponica, sia la familiarità dell’autrice giapponese con i gialli “honkaku”, che sfidano il lettore a trovare la soluzione del delitto.

E’ proprio così che l’autrice traveste il suo giallo e ce lo fa raccontare dalla viva voce di tutti i personaggi che via via decide di farci incontrare una trentina di anni dopo il fattaccio: l’avvelenamento di 17 persone, di cui 6 sono bambini. Una famiglia intera completamente annientata, con una sola bambina superstite. Una bambina cieca che deve al suo handicap e alla sua salute precaria la salvezza dal veleno che ha falcidiato la sua famiglia altolocata e alcuni vicini che erano intervenuti alla festa di compleanno.

Poco dopo un suicidio, con la confessione dell’atrocità commessa. Il caso viene chiuso, nonostante questa soluzione non lasci soddisfatto nessuno, dagli abitanti della cittadina al detective che sta seguendo il caso. Tutti sono convinti che se il suicida è effettivamente l’esecutore materiale della strage, non essendoci collegamenti fra lui e la famiglia assassinata, ci dev’essere di sicuro un mandante.

Il romanzo si sviluppa in modo originale e man mano che si procede nella lettura si capisce la struttura con la quale l’autrice attira il lettore. Come detto, le vicende vengono raccontate dal punto di vista delle diverse persone “interessate dei fatti”, che sembrano rivolgersi ad una persona, il lettore?, quasi fosse un investigatore al quale poter raccontare, proprio perché così lontano nel tempo, la pena di quanto vissuto.

Dieci anni dopo la strage, una delle bambine che ha rischiato di morire, per esorcizzare questa oppressione che non la lascia in pace, che l’assilla, decide di intervistare le persone della cittadina che hanno vissuto da vicino questo dramma, compresa una signora che era stata l’unica superstite della strage.

E da un’iniziale idea di usare comunque questa ricerca anche per la sua tesi di laurea, all’improvviso si trova a pubblicare in realtà questa tesi in forma di romanzo, che diventa un best-seller con il titolo “La Festa Dimenticata”, rimestando ancora una volta nel torbido e nella non conclusa vicenda.Ed immediatamente siamo anche a trent’anni dalla strage, quando lettore/detective ci sentiamo raccontare la vicenda attraverso la voce dei testimoni dell’epoca, ravvisando collegamenti, contatti, legami. Ma ancora non c’è soddisfazione, perché incrociamo e ci scontriamo con persone altre rispetto al comune sentire occidentale, dove la natura è un quotidiano significato presente nella vita dei giapponesi, dove la tradizione è ancora così radicata in seno alla famiglie, dove il sentire resta sempre un po’ distaccato, quasi da entomologo che studia gli insetti, dove la semplicità che regna sovrana in realtà nasconde aspetti psicologici e sociali di una complessità così ramificata da incutere un soffocante timore.

E’ un romanzo che meriterebbe a caldo una seconda lettura, per ripercorrere la vicenda e soprattutto risentire le voci dei diversi protagonisti avendo bene in mente l’epilogo della vicenda.
Il colpevole non resta “nascosto” a lungo. Tutti sanno intimamente chi ha perpetrato la strage. L’autrice ce ne rende partecipi abbastanza velocemente e con perizia.

Ma c’è la persona che forse è più intimamente legata all’omicida che nonostante l’abbia sempre sospettato, solo alla fine, con una conversazione causale con la poliziotta che all’epoca aveva seguito il caso in assistenza al detective, solo alla fine dicevamo, si rende quell’entomologo che dopo aver osservato ed analizzato tutto con attenzione, arriva alla, infine, desiderata, lucida e tardiva consapevolezza finale.   

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Riku Onda


Riku Onda, pseudonimo di Nanae Kumagai (1964) è una scrittrice giapponese.Dopo aver lavorato alcuni anni in ufficio, ha deciso di esordire nella narrativa dopo aver letto il romanzo d’esordio dello scrittore Ken’ichi Sakemi.Autrice di racconti di fantascienza e gialli “honkaku” che sfidano il lettore a trovare la soluzione del delitto. Le sue opere sono ancora inedite in Italia.I suoi libri hanno spesso fornito il soggetto per pellicole cinematografiche e serie televisive come il dorama Akumu-chan del 2012 tratto dal romanzo Yume Chiga Autrice di numerosi romanzi, ha vinto alcuni tra i più prestigiosi riconoscimenti letterari in Giappone, tra cui il premio Naoki nel 2017.

A cura di Marina Morassut

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