Il morso della reclusa




Recensione di Mirella Facchetti


Autore: Fred Vargas

Traduttore: M. Botto

Editore: Einaudi

Pagine: 432 nella versione a stampa

Genere: Giallo

Anno di pubblicazione: 2018

SINOSSI
Il commissario Jean-Baptiste Adamsberg è costretto a rientrare prima del tempo dalle vacanze in Islanda per seguire le indagini su un omicidio. Il caso è ben presto risolto, ma la sua attenzione vie-ne subito attirata da quella che sembra una serie di sfortunati incidenti: tre anziani che, nel Sud della Francia, sono stati uccisi da una particolare specie di ragno velenoso, comunemente detto reclusa. Opinione pubblica, studiosi e polizia sono persuasi che si tratti di semplice fatalità, tanto che la re-gione è ormai in preda alla nevrosi. Adamsberg, però, non è d’accordo. E, contro tutto e tutti, se-guendo il proprio istinto comincia a scandagliare il passato delle vittime.

RECENSIONE

«Il poliziesco è una specie di favola, ironica o tragica o cerebrale. Non sopporto i gialli ultraviolenti che raccontano crimini complicatissimi (che nella realtà non esistono): un delitto è sempre semplice».

Fred Vargas

Lo dichiaro subito: amo la Vargas.

Amo il suo modo di approcciarsi al poliziesco (ben chiaro nella dichiarazione che ho riportato all’inizio) e, in particolare, amo la sua scelta di non indugiare sugli aspetti macabri e violenti del crimine, ma di usare il delitto come “pretesto” per permettere al lettore di fare un viaggio in compagnia degli investigatori.

E, anche in questo caso, la Vargas ci accompagna attraverso un viaggio nella mente tortuosa, nebbiosa, del commissario Adamsberg – lo “spalatore di nuvole” – in cui si annidano proto-pensieri (o, come è solito dire lui, bolle aggrovigliate) che necessitano di “quel qualcosa” che permetta loro di trasformarsi in pensieri a tutto tondo. Ma è anche un viaggio all’interno della squadra del 13 arrondissement di Parigi, nell’umanità, e anche nelle paure, di questi personaggi.

Siamo in estate, eppure, su Parigi e il commissariato, c’è sempre quell’atmosfera nebbiosa che porta con sé Adamsberg quando qualcosa non gli è chiaro, quando qualcosa attira la sua attenzione, ma non riesce a capire cosa sia.

Questa volta, mentre si sta occupando di un probabile uxoricidio e di un reato perpetrato ai danni di una componente della sua squadra (nessuno tocchi i suoi uomini), c’è una “bolla” che gli rimbalza continuamente in testa: gli anziani uccisi da quello che sembra il veleno di un ragno, non sono morti per pura fatalità, ma sono stati assassinati. Lui ne è convinto. Ma questa “bolla”, questo proto-pensiero, non ha fondamento in prove e come può chiedere alla sua squadra di indagare? Come può farlo se anche Danglard, il suo amico, nonché braccio destro, si è ammutinato, arroccato in un atteggiamento ostile?

A proposito di Danglard, c’è una descrizione del suo stato d’animo stupenda: “scrutava l’orizzonte aspettandosi minacce di ogni genere, scorticandosi la vita sulle asperità delle proprie paure”.

E così si rischia la spaccatura, la divisione di una squadra. Ma anche quando vi sono tensioni interne, ecco affiorare tutta l’umanità dei personaggi (tratteggiati così bene, in tutti questi anni, dall’autrice, che un po’ ormai li sento amici) che si prendono cura l’uno dell’altro, sempre pronti a sostenersi.

La carica di umanità con cui l’autrice tratteggia i suoi personaggi, permette di ottenere un giallo che è interessante sotto il profilo poliziesco, ma che è in grado, anche, di far affiorare sorrisi carichi di “calore”. Non capita sempre di provare varie sfumature di emozioni leggendo un giallo. Questo libro mi ha fatto sorridere, mi ha “scaldato” e alla fine mi ha commosso.

(Alzi la mano chi, dopo aver letto il romanzo, non avrebbe voglia di ritrovarsi alla Garbure per un saluto al ristorante-ritrovo simbolo di questa indagine, perché come dice Adamsberg “ci sono posti così, che accompagnano un viaggio. Il viaggio finisce e quel posto se ne va con lui”).

La bellezza della scrittura della Vargas, si ritrova altresì nel fatto che, nel bel mezzo di una pista complessa da seguire, ecco che Adamsberg si sofferma ad osservare cose inaspettate: i lillà in piena fioritura, o i merli che sono tornati al nido (il nutrimento dei merli e dei piccoli, diverrà poi un momento fondamentale per tutta la squadra, eseguito secondo turni ben precisi).

Insomma, a mio avviso, i polizieschi della Vargas proprio per l’unione di un intreccio solido e ben congegnato – che ti spinge a continuare la lettura per aiutare il protagonista a diradare e far emergere i suoi proto-pensieri – con tanti elementi extra-indagine pieni di calore e di bellezza, hanno una marcia in più.

Oltre al ciclo di Adamsberg (vi ricordo che il primo libro è “L’uomo dei cerchi azzurri” e vi suggerisco “Sotto i venti di Nettuno”), consiglio, vivamente, anche l’altra serie della Vargas, ugualmente bellissima, dedicata ai “tre evangelisti” (primo libro: “Chi è morto alzi la mano”).

Fred Vargas


Fred Vargas è lo pseudonimo che la scrittrice francese Frédérique Audouin-Rouzeau ha deciso di adottare in omaggio alla sorella gemella Jo, una pittrice che nelle sue opere si firma appunto Vargas (Vargas è il cognome del personaggio interpretato da Ava Gardner nel film La contessa scalza).È figlia di una chimica e di uno scrittore surrealista. È ricercatrice di archeozoologia presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche (Cnrs), ed è specializzata in medievistica.

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