Intervista a Andrea Albertini




A tu per tu con l’autore


Il suo libro “Una famiglia straordinaria”  è denso di particolari e storie minuziosamente raccontate ; mi sono spesso chiesta , durante la lettura , dove ha reperito tutte queste informazioni? E quanto tempo ci è voluto per una tale ricerca?

Le informazioni le avevo in casa. E’ accaduto anche a me quello che era successo a mio padre, e prima di lui, a mio nonno: ritrovarmi fra le mani oltre 700 lettere di famiglia (le più importanti sotto il profilo storico/culturale sono state donate tanti anni fa alla Fondazione del Corriere della Sera), diversi diari inediti e una quantità di fotografie molto belle. Sono partito dalle foto: le ho scansionate, rimesse in ordine, datate e via dicendo. Poi mi sono letto tutti i documenti e ho cominciato a pensare seriamente di scrivere il libro. 

Lo studio dei testi mi ha tenuto occupato per un anno e mezzo. Nel frattempo, avevo cominciato a prendere appunti. L’interesse che scaturiva da quei documenti stava diventando irresistibile. 

Qual è il motivo per cui ha scritto questa saga della sua famiglia? E perché ha deciso di pubblicarla?

Perché desideravo scrivere la storia di una parte della numerosa famiglia paterna, animata da molte vite appassionanti. E per farlo ho scelto tre rappresentanti emblematici, uno per generazione, affinché la struttura del romanzo avesse lo spazio per dilatarsi e comprendere i novant’anni di storia che mi ero ripromesso di coprire (1847/1937): il trisnonno Giuseppe Giacosa (1847/1906), il bisnonno Luigi Albertini (1871/1941) e la nonna Tania Suchotin (1905/1996).  Nessuno si era mai avventurato nella narrazione congiunta dei miei avi, i più importanti erano sempre stati trattati verticalmente, protagonisti dei saggi a loro dedicati. Ho pensato che sarebbe stato interessante coinvolgere nella trama anche i parenti e gli amici principali per descrivere come affrontarono insieme gli eventi storici di cui furono testimoni e per mettere in risalto i sentimenti di allora (recuperabili dai carteggi e dai diari di cui sopra oltre che dalle storie sentite in famiglia).    

Quando si scrive un romanzo, uno degli obiettivi dell’autore è quello di essere letto. E io, come tanti altri, avevo il medesimo scopo. Ha deciso di pubblicarmi il mio editore Antonio Sellerio. Perché lo abbia fatto bisognerebbe chiederlo a lui. Io gli sono infinitamente grato.

Cosa si prova ad avere come proprio avo una tale colonna portante della letteratura come Tolstoj? Anche Lei, come Lui, continua ad “osservare, parlare, cercare di comprendere il suo popolo”?

La cosa più bella relativa alla mia originale discendenza è la vista sul passato, la possibilità di poter risalire indietro nel tempo e di conoscere le storie di tanti avi russi (ma non solo).  I quali, a loro volta, hanno dato vita a numero impressionante di parenti sparsi per il mondo. Ci si incontrava ogni due anni a Jasnaja Poljana: russi, cechi, svedesi, danesi, statunitensi, canadesi, francesi, italiani… e tuttora nelle rispettive case, in occasione di qualche viaggio, visita, celebrazione. Siamo una rete di persone molto diverse fra loro appesa a una colonna portante della letteratura.

No, i tempi sono molto diversi. Non esiste più il “popolo” di Tolstoj, né qui né in Russia. Lui dedicò trent’anni della propria vita al suo popolo per aiutarlo a ottenere condizioni sociali appena migliori. Da allora in poi abbiamo visto con quanta rapidità avvengono i cambiamenti  epocali. In trent’anni, soprattutto grazie alla medicina e alla tecnologia, non cambiano soltanto i popoli, ma interi continenti. 

Il mondo oggi è migliore di quello da Lei descritto? Che risponda in modo positivo o negativo, me ne spieghi il perché. 

Non risponderei in modo positivo né negativo. Ho un’opinione del mondo di allora – quello che ho raccontato e che ha mediamente 120 anni – perché mi sono potuto documentare, principalmente attraverso i libri di storia. Posso affermare di avere una coscienza storica relativa a quell’epoca perché è finita, si è fermata per sempre e si lascia esaminare. Mentre non credo di averla del tempo presente in quanto non sono in grado di capire cosa potranno generare gli eventi attuali. Ne ho una percezione: troppo poco per un’analisi accurata e una comparazione fra mondi. Fra 120 anni sarò più preparato per rispondere. 

La violenza del mattatoio industriale a Cincinnati ,  la descrizione non proprio onorevole della società americana del suo avo Pin Giacosa, che,  si chiedeva  se valesse la pena vivere per vivere in quel modo (dopo la visita al macello di Chicago); Lei discende da 3 famiglie che hanno dato tanto alla storia, all’economia, al teatro, all’arte nel fermento europeo di allora : oggi cosa succede? Dobbiamo arrenderci alla superficialità ed alla violenza? Dobbiamo rassegnarci al sudiciume e dimenticare definitivamente quanto alta era la cultura in tutta l’Europa?

A proposito delle lettere americane di Pin… Pin soffriva molto di nostalgia e il viaggio negli Stati Uniti acuì il suo strazio ma, rientrato in Italia, espresse un giudizio complessivamente positivo sull’esperienza americana. Durante il suo viaggio si dedicò – oltre al debutto newyorkese della Dame de Challant – a osservare le differenze fra europei e americani e a raccontarle. Non sempre, però – come nel caso della lettera da Cincinnati da Lei ricordata – diede torto allo “stile” americano. Per quanto fosse un uomo di provincia, fortemente legato alla sua terra e alle consuetudini locali, aveva la capacità e la sensibilità per riflettere su quello che istintivamente non comprendeva. Presumo che questa dote ce l’abbiano ancora tante persone e che il ragionamento sia uno dei migliori antidoti contro la superficialità e la violenza. Ce l’hanno insegnato gli antichi greci e ne abbiamo fatto tesoro fino ad oggi. Non mi rassegno.  

Gli Albertini portarono il Corriere della Sera al successo; al contrario degli editori che conformavano il loro giornale al gusto corrente, adeguarono l’opinione dei  lettori al pensiero del giornale. Dopo 25 anni cedettero le quote del Corriere alla famiglia Crespi a causa di pressioni politiche ,   è cambiato qualcosa oggi nel rapporto tra editore, lettore e politica? 

Non credo che sia cambiato qualcosa di significativo da allora. Il Corriere della Sera, ai tempi di Luigi Albertini, esprimeva un chiaro indirizzo politico, economico e culturale e si rivolgeva a un ampio pubblico. Fino all’inizio degli Anni Venti il giornale rappresentò con coerenza il pensiero dei Crespi, degli Albertini e dei lettori. Poi, nel ’25, ci fu l’estromissione causata da pressioni politiche e insanabili divergenze di opinioni. Situazioni che si sono ripetute anche negli ultimi cento anni, soltanto con una risonanza diversa, proprio perché quella che riguardò Albertini ebbe un’eco storica. La relazione fra le tre variabili da Lei indicate: editore, lettore e politica ancora oggi determina le sorti dei media e dei loro direttori. 

Grazie Marcella Labianca per le Sue domande e per l’attenzione dedicata a “Una famiglia straordinaria”.

A cura di Marcella Labianca

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