Intervista a Camilla Ghiotto




A tu per tu con l’autore


Un diario è la forma più intima del narrare, sei entrata in punta di piedi nella gioventù di tuo padre, possiamo interpretarlo come la formula per riviverlo intensamente e condividerlo? 

Leggere il manoscritto di mio padre mi ha permesso di vivere la sua gioventù come fossi lì, nei boschi, insieme a lui, ma ancora di più mi ha posto delle domande riguardo la mia gioventù. Credo che confrontarsi col passato debba servire sempre a interrogarsi sul presente, altrimenti è come guardare una cartolina in bianco e nero. Il manoscritto mi ha fatto conoscere mio padre per com’era all’età che avevo io, circa vent’anni e ciò che più mi ha colpito è stata la percezione di trovarmi nello stesso momento della mia vita in cui si trovava lui allora, quello in cui si sta per diventare grandi, quello in cui comincia una formazione personale per la quale si scelgono da soli i propri maestri, per la prima volta, si scelgono valori da seguire, idee da coltivare. Per mio padre questo è avvenuto in una guerra e già la scelta di diventare partigiano ha determinato in lui una certa direzione morale e etica che poi è rimasta per tutta la sua vita. A me invece, quali scelte si pongono di fronte oggi? Che cosa significa resistere nel mio tempo? In questo senso “Tempesta” oltre a essere il nome di battaglia di mio padre da partigiano, è anche un augurio per la mia generazione di giovani, affinché si possa incarnare di nuovo quel momento di cambiamento, quella forza travolgente della tempesta.

Quando ho iniziato a leggere il tuo romanzo ho percepito i segnali di disagio nati dal confronto anagrafico fra gli altri padri e il tuo, cosa che invece ha rappresentato fonte di ricchezza. 

Nel libro la protagonista comincia a vergognarsi del padre e della sua età proprio quando inizia, crescendo, a mettersi in paragone con il mondo esterno e a vedere le differenze tra la sua vita e quelle altrui. Il personaggio del padre è nella stagione del pensiero, mentre la figlia è nella stagione dell’azione, è pronta a esplodere perché è giovane, le strade da percorrere sembrano infinite, ha bisogno di ritmo, di dinamica, mentre suo padre passa ogni giorno a leggere, pressoché immobile e silenzioso. Faticano a conoscersi a fondo, a parlarsi. La ricchezza di questo rapporto diviene chiara quando la protagonista cresce e impara a vedere oltre la vecchiaia del padre, così ingombrante all’apparenza. E oltre ci trova la sua storia. Le storie hanno il privilegio di essere eterne perché non appartengono a nessuno, si tramandano. La ricchezza che lei riceve è proprio la storia di suo padre, che legge nel manoscritto, che scopre dalla madre e che comincia piano piano a sentire dentro di sé.

Tuo padre è stato un giovane innamorato della libertà. Come si approcciava col mondo attuale, intendo con la tecnologia, i registri verbali meno formali, la new wave in difesa dei diritti civili?

Quell’amore per la libertà che lo contraddistingueva si è tradotto, quando lui non è più stato capace di agire in prima persona, in un’estrema fiducia in chi veniva dopo di lui. Credere nel futuro significa credere nelle nuove generazioni. È come passare il testimone. Il suo modo di proseguire quella ricerca inesauribile di libertà si è tradotta a un certo punto in un’osservazione costante dei giovani, delle loro nuove lotte. È stato uno dei primi a investire nell’energia solare, quindi, per fare un esempio, non ho dubbi che oggi seguirebbe con totale fiducia e sostegno le lotte per il clima. Per i diritti civili vale lo stesso, lui era uno che se ad una cena qualcuno faceva un commento che lui riteneva inappropriato, anche una battuta, era capace di alzarsi dal tavolo e andarsene. Ha continuato a partecipare a molte manifestazioni e cortei anche quando, vista l’età avanzata, mia madre o io dovevamo portare una piccola sedia pieghevole perché potesse riposare di tanto in tanto. Ma partecipare era importante per lui. Anche quando lo faceva in silenzio. 

Come vive oggi la sua assenza? 

Oggi la vivo con serenità, sono passati ormai sei anni e la realtà per me è senza di lui. Quello che mi permette di non viverla come una fine definitiva è la consapevolezza che tuttora continuo a conoscerlo un po’ alla volta. Vivo a Roma, ma mi capita di tornare a Vicenza, dove ci sono ancora centinaia dei suoi libri e spesso quando lo faccio individuo un particolare titolo che fino a quel momento non avevo mai considerato, ma che per un motivo o un altro ho scoperto nel frattempo, magari all’università, o su consiglio di amici. Allora tiro fuori quel libro dalla libreria di casa e sfogliandolo scopro le sottolineature o i segnalibri lasciati da mio padre. Questo, per me, è un modo per conoscerlo ancora. Sono le tracce che rimangono dopo la morte. Oltre al manoscritto che raccontava il periodo partigiano nello studio di mio padre abbiamo trovato centinaia di altre pagine con poesie, scritti filosofici, racconti. Non li ho ancora letti tutti, così avrò sempre qualcosa in più da conoscere di lui.

Cosa è per lei il concetto di tempo? Credo che abbia significato molto nel rapporto con suo padre. 

Credo che il tempo abbia molto a che fare, soprattutto nel rapporto con mio padre, con la memoria. La memoria va vissuta in maniera consapevole: non consiste in un bagaglio pesante di cui dobbiamo farci carico, si tratta di individuare e comprendere quei tratti del passato che scegliamo di mantenere come fari per il futuro. In fondo la memoria è un privilegio perché ci permette di confrontarci con la Storia cogliendone i significati puri, privati della sofferenza e dei sacrifici che li hanno prodotti. Abbiamo la possibilità di cogliere il senso profondo del passato proprio perché non vi siamo più immersi e quel senso diventa bussola per il presente. L’aspetto che più mi affascina del tempo è proprio questo, il presente, perché è l’unico che davvero conosciamo, l’unico che esiste insieme a noi costantemente ed è il punto in cui converge il passato e dove nasce il futuro. Solo verso il presente possiamo agire, il resto è un’ispirazione o un progetto. 

Pensa di continuare ancora nella narrazione? 

Certamente continuerò a scrivere, anche fosse per me soltanto. Per scrivere questo libro ho messo in sospeso gli ultimi esami universitari e in questo modo ho avuto il privilegio di potermi dedicare interamente alla scrittura per il tempo che è stato necessario. Non ho dubbi nel dire che è stato il periodo più bello della mia vita. Sento di aver imparato molto grazie all’opportunità di relazionarmi con una casa editrice come Salani e con i professionisti che ho conosciuto.  Il libro è tratto dalla realtà della mia vita e questo è stato in parte un aiuto, significava avere una traccia, ma al tempo stesso, lavorandoci e distanziandomene, ho conosciuto una libertà nella scrittura che consente di scoprire la verità anche lontano dalla realtà. Ed è questo terreno che vorrei scoprire in futuro, raccontando tutt’altro rispetto a ciò che mi è già così vicino.

A cura di Paola Iannelli

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