Intervista a Carlo Lucarelli




A tu per tu con l’autore


 

Grazia Negro è una protagonista molto umana, direi quasi ordinaria, con tante qualità ma anche tanti difetti. Un personaggio comune, se mi lasci passare il termine. Mi affascina il fatto che sia una cacciatrice di serial killer, di mostri. Una persona comune che lotta contro delle aberrazioni, delle anormalità; è un caso o è un messaggio che desideravi veicolare? Cosa hai voluto sottolineare con questa differenza tra loro?

Quando racconto i personaggi non so bene dove andranno a finire, non ci sono messaggi a cui avevo pensato prima. Lo scopro assieme a loro, se c’è eventualmente un messaggio. La mia tendenza è sempre quella di raccontare una persona che è più comune possibile; Grazia è una donna, una persona normale, una poliziotta come tantissime ce ne sono. La sola caratteristica che la contraddistingue dagli altri è l’ossessione che ha nel dare la caccia ai serial killer. Volevo costruire un personaggio vero, reale, non il banale supereroe, che non è così interessante, anzi. Volevo costruire un personaggio che fosse tante persone e che possedesse come unica anormalità questa ossessione atavica. Alla fine il protagonista dei nostri romanzi è sempre l’Uomo che cerca, l’essere umano che cerca la verità, la giustizia, scoprire chi è, salvarsi la pelle. In questo, noi lettori ci riconosciamo.

Come mai la scelta di far tornare l’iguana dopo così tanti anni?

Questo romanzo era nato da un’idea, da un’immagine. La prima immagine era Grazia finalmente felice, appagata dopo quattro romanzi. La sua vita da protagonista di romanzo potrebbe finire nel momento in cui la sua vita diventa normale, appunto da mamma…che ovviamente non potrà raggiungere…L’unica variabile che poteva impedire ciò era soltanto l’iguana. Il principio di tutto, il motore di tutto, il Male, il suo primo antagonista. L’essenza di Grazia l’ho capita quando un giorno stavo presentando un altro libro e mi hanno chiesto cosa stessi scrivendo. Ho risposto che avevo in mente di scrivere qualcosa di Grazia; non sapevo però se era una poliziotta o una mamma. Si alza una persona dal pubblico e mi dice: io sono tutte e due, faccio tutte e due le cose perfettamente. Sono poliziotta e mamma. E lì ho capito il problema; Grazia è una poliziotta da romanzo giallo ossessionata dalla caccia all’uomo ed è, al contempo, mamma ansiosa, iperprotettiva, fragile e debole. Anche se sembra una donna quadrata, mediterranea, concreta, ho scoperto in questo romanzo che è sopra le righe. Non esisterebbe senza l’iguana, sarebbe incompleta.

Tu sei uno scrittore che pianifica ogni pagina prima di scriverla o che si lascia trascinare dalla storia, dai personaggi e non sa mai cosa accadrà il capitolo dopo?

Noi scrittori ci dividiamo in due categorie: scaletta o no. Io non faccio la scaletta; avevo in testa soltanto la prima scena. Sono partito senza avere un’idea, l’ho scoperto pagina per pagina. Nel prossimo romanzo sto tentando di arrivare a un compromesso.

Nel romanzo, citi la Casa delle Donne di Bologna. Qui l’indagine è una scusa per raccontare altro, volevi denunciare il tema dello stalking e del femminicidio?

Sì, assolutamente. Non era una cosa prevista prima, il flusso mi ha trascinato verso quella direzione. Ho inserito un personaggio reale, il tassista Roberto di Bologna5 che ha l’etichetta stampata sul Taxi. Non ho dovuto inventare nulla e ho voluto urlare tra le pagine del mio romanzi uno dei problemi più grossi del nostro paese. Sono infatti il presidente della Fondazione Emiliano-Romagnola per le vittime dei reati e so purtroppo bene di cosa parlo.

La pluralità di voci narranti del romanzo è stata studiata?

C’era la volontà di rispettare una tradizione; i romanzi con Grazia Negro hanno sempre molteplici punti di vista, ho voluto anche qui adoperare questo schema: il punto di vista di Grazia, del killer… Quando penso a un romanzo con lei, penso a questa tecnica narrativa. Ho voluto aggiungere questa volta la voce di Roberto il tassista. I romanzi con Grazia Negro sono polifonici.

Come mai la scelta di ambientare durante il covid?

Anche questo dettaglio è stato casuale, i romanzi di Grazia Negro sono contemporanei agli eventi in cui scrivo. Léon l’ho scritto nel momento in cui il Covid stava regredendo. Non ho scritto un libro sulla pandemia, ho scritto un libro con la pandemia. C’è ed è di sottofondo. È diventata una specie di metafora, tutti chiusi in casa perché c’è un killer all’esterno, invisibile ma mortale.

Tutti i tuoi romanzi con la tua protagonista Negro e Simone l’altro coprotagonista, partono dal titolo di una canzone: Tenco (un giorno dopo l’altro), Buffa (il sogno di volare)…questo connubio tra la musica e il testo è molto evidente nei tuoi libri, come mai?

Con Grazia Negro era nato tutto con Almost Blue. Sentendo quella canzone ho capito come scrivere l’intero romanzo. Ho capito che avevo bisogno di una canzone che facesse da anima, da struttura. Negli altri romanzi ho aspettato la canzone che mi servisse per poter scrivere. Era un’attesa razionale, aspettavo una determinata canzone. Con Léon invece ho avuto un incontro inaspettato, stavo scrivendo un altro libro e ho incontrato la canzone che ha dato tutta la struttura.

In questo romanzo Bologna è meno presente, come mai? C’è sempre la volontà di raccontare però una Bologna che muta col tempo?

All’inizio volevo raccontare la trasformazione di Bologna. Però tutte le volte non c’era spazio per Bologna, i protagonisti sono chiusi in case, in appartamenti, in stanze. Bologna però ci doveva stare, perché è uno dei personaggi di cui racconto la storia, per questo ho avuto bisogno di Roberto, il tassista. È una dichiarazione d’amore nei confronti della città.

De Luca, Negro, Coliandro: quali sono le differenze tra i tuoi personaggi seriali?

Sono diversi, ma hanno una cosa in comune: l’ossessione di qualcosa; di risolvere il caso (De Luca), di fermare il mostro (Grazia), di fare il poliziotto (Coliandro). De Luca è un certo modo di essere italiano, ha una dimensione storica, che riguarda più il nostro Paese, pieno di contraddizioni drammatiche, Grazia è più contemporaneo e assume una dimensione privata, Coliandro è oramai un personaggio tridimensionale, grazie alla tv.

Iguana, cane, lupo mannaro…il prossimo animale chi sarà? Scherzi a parte, progetti per il futuro?

Vedremo quale animale userò la prossima volta. I serial Killer hanno sempre i soprannomi. Ora sto finendo un giallo storico ambientato nel 1940.

Qualche tempo fa Loriano Macchiavelli ha acceso un dibattito; lui afferma infatti che il noir è morto e non serve più a nulla. Alcuni colleghi si sono opposti fermamente a questa presa di posizione, qual è invece la tua opinione al riguardo?

Il noir non è morto anche perché c’è Macchiavelli, che continua a scrivere noir molto belli e attualissimi. Per certi versi ha ragione, è vero che il noir ha sfornato anche libri che sono semplici romanzi di genere. Però ci sono tantissime altri scrittori che scrivono ancora con la logica di essere fastidiosi, che raccontano la metà oscura delle cose, che diventano politici, di denuncia e politicamente scorretti.

Se il noir non è morto sapresti indicarci allora delle nuove leve che secondo te possono continuare a tener viva la fiamma di questo genere?

Ce ne sono tanti, tantissimi come Pulixi che è sempre interessante. Penso anche a Longo, per quanto riguarda gli stranieri penso a Lemaitre, Markaris, Don Wislow.

A cura di François Morlupi 

 

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