Intervista a Davide Simon Mazzoli




A tu per tu con l’autore


 

Davide Simon, Uccidi il male, il tuo nuovo romanzo, presentato in anteprima al Salone di Torino, è in uscita in questi giorni per i tipi di La Corte Editore. Ci racconti da dove e quando è partita la suggestione per raccontare questa storia?

Uccidi il Male è il mio quinto romanzo pubblicato, ma è il primo su cui io abbia lavorato. Dopo un anno di ricerca che mi ha visto visitare manicomi criminali, questure, reparti di terapie intensive, cimiteri e molto altro, ho scritto la prima stesura quando avevo ventitré anni e, con mia grande sorpresa, ebbi la soddisfazione di vederlo arrivare tra i sei finalisti del Premio Tedeschi – Giallo Mondadori del 2004. 

Tuttavia, il romanzo non rappresentava pienamente ciò che avevo in mente: la trama meritava di più. Quindi decisi di attendere, di lasciar riposare il tutto e di andare avanti con altri progetti. Gli anni sono trascorsi e nel frattempo ho iniziato la mia carriera lavorativa, mi sono sposato con Alice, mi sono trasferito in Florida e sono diventato papà di Leonardo e Alexander. Ho pubblicato altri romanzi con vari editori, sperimentando diversi generi e modi di scrivere. Dopo vent’anni di esperienza ho deciso di riprendere in mano Uccidi il Male e di concluderlo. Ho dunque rielaborato la trama, lavorando su di una nuova stesura che, con il prezioso aiuto della squadra de La Corte Editore, ho portato alla pubblicazione. Questo romanzo rappresenta una parte di me, i suoi personaggi mi hanno accompagnato per il periodo più importante della mia vita, divenendo parte integrante di ciò che sono oggi come autore. Non esagero quando dico che questo è il libro al quale sono più affezionato.

Sono molto colpita anche dal titolo, Uccidi il male, appunto.  Un’azione negativa, come è il concetto di uccidere, rivolta ad annientare la negatività assoluta, il male. Ribalta fin da subito il concetto millenario del bene che sconfigge il suo opposto. Che valenza ha questa “lettura” nell’economia del tuo thriller?

Questa domanda centra l’essenza stessa di Uccidi il Male. In tutti i miei romanzi il concetto di equilibrio tra bene e male è un elemento molto ricorrente. Viviamo in un moto perpetuo di caos creativo, in cui tutto è in continua mutazione ed è pressoché impossibile riuscire a incasellare, etichettare, quelli che sono i macro elementi che delineano il senso stesso dell’esistenza. Il bene e il male sono due valori assoluti che spesso si fondono, qualche volta si scambiano oppure si nascondono dietro a differenti spoglie. È la resistenza, in realtà, ciò che determina il valore benevolo di una forza. Il concetto del maligno, infatti, si rivela come entità dal potere immediato, distruttivo e apparentemente più potente. Mentre il bene, invece, è ciò che, come detto, resiste. Resiste alla potenza del male. In Uccidi il Male abbiamo un gruppo di protagonisti la cui missione è quella di arrestare la scia di crimini di colui che si autodefinisce il Profeta dell’Apocalisse; crimini che, dal punto di vista del serial killer, rappresentano però un atto misericordioso attuato in nome della Parola di Dio. Protagonisti e antagonisti hanno dunque, nella loro personale visione esistenziale, la stessa missione: sono entrambi convinti di agire nel nome del bene. Di uccidere il male.

Vivi da tempo ad Orlando. La realtà americana è molto diversa da quella italiana, relativamente a crimini, serialità, ossessioni, paure. Cosa converge di tutto ciò nel tuo essere italiano e scrivere thriller?

Vivere tra due mondi mi ha dato la possibilità di godere di una visione più internazionale, capace di cogliere i migliori elementi di due culture opposte. La trama è completamente italiana, ma è raccontata con un occhio esterno in grado di percepire l’essenza più bella del nostro Paese: il valore del nostro territorio, della nostra storia e sicuramente della nostra antica cultura. Elementi che spesso vengono dati per scontato e limitati a divenire sfondi di storie provinciali che, seppur affascinanti, rappresentano ai miei occhi un limite narrativo. Il mio sforzo è stato dunque quello di scrivere un thriller dal ritmo serrato, cinematografico, che rielabora i solidi elementi culturali italiani, raccontandoli con quella forza e grandiosità che di solito si ritrova nelle storie d’oltreoceano. A sugellare questo equilibro ritroviamo infatti Alexander Wolf, il personaggio principale: un ex commissario nato a Orlando, ma di origini italo/svizzere. 

Alexander Wolf, lupo, cosa ci puoi anticipare sul tuo protagonista?

Alexander Wolf è quello che possiamo definire un antieroe. Un uomo sbagliato, pieno di rimorsi ben lontano dai classici cliché di genere. Rappresenta l’eroe sconfitto dalla sua nemesi: un sopravvissuto che ha perso la sua battaglia più importante e che ora riemerge dalle sue ceneri per difendere l’ultimo barlume di vita che gli è rimasto. Alexander Wolf è stato il primo personaggio che ho creato: non per questo libro, ma per il plot di un altro progetto tuttora nel mio cassetto. Appena ventenne, pancia a terra nella mansarda dei miei genitori, avevo iniziato a delineare la vita di un uomo che, nonostante un passato difficile fatto di compromessi e rinunce, era riuscito a ritagliarsi un suo angolo di paradiso: un buon lavoro, una bella famiglia e la consapevole serenità di non essere solo. Poi, senza alcuna pietà, avevo iniziato a farlo a pezzi, testimone del suo calvario e della sua sconfitta. Era stato come levare creta da un blocco a lungo modellato: l’avevo alleggerito, scavato, reso vivo. Maturando come scrittore, ma anche come uomo, ho fatto mia la sua sofferenza, i suoi tormenti. Alexander Wolf è un lupo, una persona che è pronta a tutto pur di non perdere quel poco che gli è rimasto. Un uomo che ha già ucciso in passato e che non si farebbe problemi a uccidere di nuovo.

Sei orientato, ora o in futuro, su un progetto seriale? 

Sì, Uccidi il Male rientra in un progetto seriale a lungo pianificato. Con questo primo romanzo ho creato una serie di personaggi e codificato un universo nel quale si svilupperanno trame che a volte saranno sequel o prequel, mentre altre veri e propri spin off. Un’idea piuttosto complessa, stravagante, ma anche molto divertente: per chi legge, ma anche per chi scrive.

Grazie di cuore, un abbraccio, a presto 

Sabrina 

Grazie a te, Sabrina. Un super abbraccio! Davide

 

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