Intervista a Diego Pitea




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Diego ti ringrazio per aver accettato di rispondere a qualche domanda sul tuo ultimo libro, per ThrillerNord.


“La stanza delle illusioni” viene dopo “L’ultimo rintocco” ma è in pratica un prequel ed ha una trama molto diversa dal tuo libro precedente che è essenzialmente un thriller psicologico. Come mai ha cambiato registro?

Nella mia vita ho sempre accettato e amato le scommesse e questa de “La stanza delle illusioni” è una grande scommessa. In realtà non ho cambiato registro ma sono tornato alle origini. Il mio primo amore è sempre stato il giallo classico. Ricordo da ragazzo i tour de force che cominciavano la mattina e finivano a notte inoltrata per terminare un libro di Agatha Christie, S.S. Van Dine o John Dickson Carr. La risoluzione di un mistero, la scoperta dell’assassino provocano in me una scarica di adrenalina che poche altre cose riescono a eguagliare. Quando dieci anni fa mia madre si ammalò feci il giuramento che se si fosse salvata non avrei più letto un giallo e questo libro è stato il primo tentativo di approcciarmi alla scrittura, per colmare la lacuna lasciata dalla mancanza. Tentativo che andò molto bene visto che, con un altro titolo, risultò finalista al premio “Tedeschi” della Mondadori nel 2012, affermazione bissata nel 2014 con il secondo giallo che spero possa uscire l’anno prossimo.

Solitamente l’investigatore è una proiezione dell’autore ma in “La stanza delle illusioni” mi è parso che ti sei divertito talmente a scriverlo che ti sei immedesimato nel protagonista. È un’impressione esatta?

Tu sei sempre un fine osservatore e lettore. Ho sempre sognato di essere protagonista di un’indagine a fianco di Poirot e quando è stato il momento di scrivere ho voluto inserire un personaggio che mi assomigliasse. A parte gli scherzi, effettivamente Richard Dale ha molte caratteristiche che mi appartengono. Oltre alla naturale propensione di tutti a raccontare cose che si conoscono, che abbiamo vicine, ritengo sia il modo migliore per rendere più vivo, reale, un personaggio. So che l’hanno fatto molti scrittori prima di me, penso a Oscar Wilde, Hemingway, Chandler, lo stesso Van Dine con Philo Vance del quale Richard Dale riprende molte caratteristiche. Se loro hanno ritenuto idoneo questo tipo di approccio chi sono io per confutare la tesi di tali mostri sacri?

Qual è stata la molla che ti ha spinto a scrivere un romanzo così tipico dell’età dell’oro del giallo deduttivo con la camera chiusa, la villa isolata nella neve, gli ospiti che si odiano e tutti quei punti salienti dei gialli all’inglese?

La voglia di far rivivere un genere che ha fatto sognare moltissime persone della nostra generazione. Come ben sai, oggi, libri che affrontano la tematica del giallo classico e soprattutto con tutta la varietà di elementi presenti ne “La stanza delle illusioni”, tranne rari casi di scrittrici straniere come Fred Vargas e Elizabeth George, non esistono e secondo me è un peccato. Agatha Christie, solo per citare la più famosa, è ancora oggi apprezzata da milioni di lettori e i suoi libri sono fra i più citati nei gruppi di lettura che frequento, per cui la fame di gialli classici non è mai venuta meno, semmai è venuta meno la capacità degli scrittori di crearne sempre nuovi e con trame ricche e originali. Come scrissi qualche tempo fa in un articolo, il giallo deduttivo è il genere più difficile da scrivere, per cui gli scrittori invece di impelagarsi in un libro complicato, che richiede parecchio tempo in ricerche e pretende una precisione estrema nello sviluppo, preferiscono approcciare strade già battute e sulle quali camminano a occhi chiusi. Per rispondere alla tua domanda, quindi, la molla è stata la volontà di far risorgere un genere che non è affatto morto, ma che ancora oggi annovera milioni di estimatori a cui manca però la materia prima. Tra l’altro questo è un problema solo italiano, perché in altre parti del mondo, penso all’Inghilterra e al Giappone c’è un rifiorire del giallo deduttivo a enigma.

Il delitto della camera chiusa è un classico nella storia del giallo. Qual è stata, se c’è stata, la maggiore difficoltà nel gestire una trama con questo particolare espediente narrativo?

Tutti i maggiori scrittori nella storia del giallo si sono cimentati, a un certo punto della loro carriera, con un romanzo che vedeva al centro della trama un omicidio commesso all’interno di una camera chiusa. Anche ne “La stanza delle illusioni” c’è un piccolo accenno agli esempi più riusciti e ai maestri del genere: penso a John Dickson Carr, che nel romanzo “Le tre bare” fa un vero e proprio compendio di questo vero e proprio sottogenere, ma anche ad Agatha Christie con “Il Natale di Poirot” fino al più moderno Paul Halter. Con questa mole di materiale già esistente la possibilità di creare qualcosa di già visto o di scimmiottare qualcuno di più famoso era dietro l’angolo, per cui la difficoltà principale è consistita nel mettere a punto un meccanismo che avesse caratteristiche di originalità e al tempo stesso coerenza. Inoltre la camera chiusa, per le sue caratteristiche richiede una precisione assoluta nella predisposizione dei moventi e nella gestione tecnica dei punti di vista. Non è stato facile ma penso di esserci riuscito.

Ci sarà un nuovo libro con Richard Dale e se sì, sarà un giallo come “La stanza delle illusioni” oppure un thriller?

Certamente. Richard Dale, con il suo carattere schivo, introverso, è ormai entrato nel cuore di molte persone, per cui anche le prossime storie lo vedranno protagonista. Ho già scritto due libri oltre “L’ultimo rintocco” e “La stanza delle illusioni” e uno è in fase di ultimazione, pertanto gli appassionati avranno ancora per un po’ di tempo storie da leggere. Non so ancora, però, quale uscirà per primo. Dovremmo ragionare con l’agenzia letteraria “Saper scrivere” e la casa editrice “AltreVoci” per decidere quale sarà la scelta migliore. Vi posso però anticipare che sono un giallo deduttivo con una trama originale e spiazzante e un thriller psicologico con un serial killer atipico.

Spesso molti giallisti scrivono per mettere nero su bianco i romanzi che vorrebbero leggere. É successo anche a te?

Come ti dicevo a me è accaduto proprio questo. Quando mi sono trovato nella situazione di non poter leggere ho dovuto fare di necessità virtù, per così dire, e ho creato una storia, che poi è quella narrata ne “La stanza delle illusioni”, che mi sarebbe piaciuto leggere quando ero ragazzo. Tutti i miei romanzi, inoltre, hanno al loro interno numerosi elementi che rappresentano le mie passioni neanche tanto nascoste: arte, scacchi, enigmi, rompicapo. Le inserisco illudendomi, in una sorta di trasferimento onirico, che sia io e non Richard a risolverli. Dai commenti e dalle manifestazioni dei lettori, comunque, devo dire che piacciono molto anche loro.

Quali sono i tuoi autori preferiti, anche nel genere thriller e noir?

Per quanto riguarda il giallo una su tutte, non sarà difficile capire a chi mi riferisco. Con Agatha Christie è stato amore a prima vista, non per caso sono suoi i romanzi che a mio avviso rappresentano il “must” del genere: “La serie infernale”, in assoluto il mio preferito, e “Dieci piccoli indiani”. Accanto alla Regina ci sono degli autori eccezionali che hanno raggiunto vette inarrivabili: penso a John Dickson Carr, con i suoi enigmi impossibili, a Ellery Queen, il maestro della deduzione logica e a S.S. Van Dine, con il dandy geniale Philo Vance. Le mie letture non si limitano, però, solo ai gialli. Sono amante dei noir di Chandler e Woolrich, dai quali penso di aver rubato quel senso di angoscia continua che permea i loro romanzi. Ultimamente ho scoperto Dennis Lehane, uno scrittore contemporaneo che mi piace molto. Il suo “L’isola della paura” è un esempio magistrale di come si crea suspense. E da sempre sono, inoltre, amante degli scrittori giapponesi che ritengo dei giallisti eccezionali e quando posso mi immergo nelle loro ambientazioni che ai nostri occhi appaiono particolarmente suggestive.

Chi vedresti bene come interprete nel ruolo di Richard Dale in un film tratto da questo libro?

Ti confesso che non ci ho mai pensato. Se dovessi scegliere così su due piedi ti direi Keanu Reeves, un attore che amo per le sue interpretazioni e che come Richard ha, nello schermo e nella vita, quell’aspetto tormentato che funziona nei thriller.

 

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