Intervista a Enrica Ferrara




A tu per tu con l’autore


Enrica è un’emozione e un grande piacere poter scambiare due parole con te. Sono gabriel, redattore di Thriller Nord, oggi voglio andare a scardinare che cosa si cela dietro le parole di ‘’Mia madre aveva una Cinquecento gialla’’ il tuo romanzo d’esordio. Anzitutto raccontami quando ha iniziato a prendere forma. 

La storia di cui parlo era in attesa di essere scritta. Diciamo che mi ha aspettato al varco per lunghi anni. Il personaggio di Mario Carafa, politico democristiano che scompare all’improvviso nel 1980, lasciando la moglie e due figlie ad affrontare il trauma dello scandalo collegato alla sua fuga, è ispirato alla figura di mio padre, Angelo Ferrara.

Ci ho messo tanto tempo a decidermi di scriverla perché avevo bisogno di una voce narrativa adatta. L’ho trovata con Gina, ragazzina di dieci anni che è sempre, in un certo senso, un passo indietro rispetto al lettore e rispetto al contesto storico. Ma poi invece, per citare una bella frase di Claudia Durastanti sul romanzo, il non sapere di Gina diviene “il preambolo per una riconquista, per un’accelerazione improvvisa dello sguardo e della coscienza”.

Quando ho cominciato a scrivere? Una mattina del 2017 ero in dart, il treno che corre lungo la baia di Dublino, da Greystones a Howth. Quel giorno il mare era una tavola piatta; il sole basso disegnava una lama di luce che dall’orizzonte giungeva fino a me. Nel luccichio cominciai a vedere una serie di punti scuri che scambiai per teste di foche o delfini. Invece le teste si incontrarono, dipinsero parole nella distesa di luce. Era l’incipit del mio romanzo. 

Mia madre aveva una Cinquecento gialla. Adesso non c’è più e non so nemmeno se ne facciano ancora.

Arrivata al lavoro, al Trinity College, inizialmente dimenticai l’accaduto. Avevo lezioni da preparare, compiti da correggere, riunioni, scartoffie. Ma quando tornai a casa la sera, la frase si mise a ballare di nuovo dietro le ciglia. La ignorai. E così feci per due o tre giorni. Poi però il quarto giorno il treno si bloccò sui binari per dieci minuti all’altezza di Sandymount, dove le dune di sabbia cavalcano per chilometri fino al mare creando un’unica smarginata linea di fuga cielo-mare all’orizzonte. Non ci pensai due volte. Tirai fuori il cellulare e aprii il blocchetto delle note. Le prime pagine di Mia madre aveva una Cinquecento gialla rotolarono fuori, complete di voci, colori, dialoghi.

Come hai gestito il processo creativo? Hai lasciato fluire la penna oppure hai costruito pezzo doppo pezzo? 

La mia routine era di lavorare al romanzo all’andata, per venti minuti, e a volte anche al ritorno. Quando mi accorsi che la storia lievitava e la creatività non accennava a diminuire, iniziai a inviare le note a me stessa e a metterle in fila in un documento Word. Così è nata la prima stesura. Ma in quella versione del romanzo c’era solo la storia di Gina che parla in prima persona nel 1980, all’età di dieci anni. Mancava molto del contesto storico che poi ho inserito nella seconda linea temporale, quella del 1987 che si intreccia alla prima grazie all’incontro della protagonista con suo padre, Mario Carafa, quando lei ha 17 anni. Questa seconda versione l’ho costruita qualche tempo dopo, fra il 2019 e il 2020. In questa fase mi sono stati di grande aiuto i suggerimenti della mia agente, Fiammetta Biancatelli di Walkabout Literary Agency, e di una scrittrice straordinaria che è Simona Baldelli. Quando poi ho firmato il contratto con Fazi, nel 2023, ho lavorato ancora un po’ sulla struttura del romanzo, soprattutto sull’alternanza dei blocchi narrativi e sulle ultime rifiniture stilistiche. Giulia Aiello, la mia editor Fazi, è una persona meravigliosa, attenta ai dettagli, rispettosa e piena di creatività.

Se dovessi consigliare ‘’Mia madre aveva una Cinquecento gialla’’ a quale target di lettori si rivolgerebbe? 

Penso che questo romanzo sia per tutti. È adatto al pubblico giovane delle scuole superiori grazie al punto di vista ingenuo ma curioso della bambina e della ragazza che scoprono la Storia, quella con la S maiuscola, come se fosse una fiaba dalle tinte un po’ nere. Gina è terrorizzata dal fatto che suo padre, Mario Carafa, sia diventato latitante, e si chiede il significato di quella parola – così come di altri termini chiave quali “brigatista”, “capro espiatorio”, “comunista” – come se fosse una parola magica. 

Con il suo compagno di classe, Terenzio, per il quale ha anche una bella cotta, gioca a fare la piccola detective. E si fa strada nel mondo dei grandi arrivando a sciogliere misteri e vedere dettagli che altri non vedono – come dice Nadia Terranova nella frase di copertina: “Di quegli intrecci e segreti di famiglia di cui i bambini non dovrebbero sapere niente, in realtà sanno tutto. Soprattutto le bambine, come quella di questo romanzo, che crescendo toglie il velo alla realtà con la grazia e la precisione della scrittura che restituisce il nome a ogni cosa”. 

Le intuizioni di Gina e Terenzio non riguardano solo la vicenda del padre di Gina ma anche quelle di famosi personaggi politici come Aldo Moro e Ciro Cirillo.

D’altra parte, proprio in virtù dei riferimenti alla politica e allo sviluppo dell’identità femminile negli anni in cui le donne lottavano per la loro emancipazione, gli adulti possono godersi questa storia ad un altro livello. Perché ritrovano sé stessi, i propri padri e le proprie madri, una realtà che hanno conosciuto o di cui hanno sentito parlare, spesso senza riuscire a venire a capo di tanti misteri.

In questo libro meraviglioso analizzi moltissimi elementi: l’amore, il legame familiare, la rabbia e l’incertezza. Com’è per Gina avere questo padre fantasma, che scappa e sta accorto a non farsi trovare mai. Quanto incide l’incertezza della presenza di suo padre dal punto di vista della sua crescita? 

Hai detto proprio bene. Il padre è un fantasma. Per Gina è un trauma avere una famiglia lacerata e non sapere dove sia andato a finire suo padre, che è il suo idolo. Gina continua a adorarlo ma il rancore e la rabbia covano dentro di lei, si scavano un proprio spazio, senza che lei veramente se ne renda conto. Essere “abbandonata” da un genitore significa non sentirsi degni del suo affetto, soprattutto se questo genitore non fa niente per mettersi in contatto con te. Certo, nel caso del padre di Gina, ci sono delle condizioni reali di pericolo che giustificano la sua apparente indifferenza. Ma una bambina, pur comprendendo questi ostacoli a livello razionale, poi però emotivamente non può fare a meno di sentirsi addolorata e indegna di amore. Questo incide moltissimo sulla personalità. 

Gina ha un sogno nel cassetto che condividerà poi con una sua amica di scuola, quello di diventare una scrittrice, dunque, ci stai dicendo che tu e Gina condividete lo stesso sogno? 

Assolutamente sì. Gina Carafa, c’est moi. 

Non a caso quando Gina deve acquisire una identità fittizia, e una finta carta d’identità, per andare a trovare suo padre che è latitante in Sardegna, il suo nome diventa Enrica Coffey. Da quel momento in poi, la piccola Gina che vuole diventare scrittrice, sognerà di scrivere usando lo pseudonimo di Enrica Coffey. Il cognome, come spiego nei ringraziamenti alla fine del romanzo, è quello della mia famiglia irlandese.

Questo espediente metanarrativo mi ha permesso di intrecciare al romanzo di formazione e all’intrigo politico anche una specie di ritratto dell’artista, alludendo appunto allo sviluppo della mia identità di scrittrice.

In questo romanzo ci sono tantissimi intrighi politici, senza svelare tantissimo, svelaci il motivo che si nasconde dietro la scelta di trattare uno spaccato così oscuro che fa parte della storia italiana. 

Come ho accennato, la vicenda di Mario Carafa si ispira a quella di mio padre, Angelo Ferrara, vicedirettore del Banco di Napoli e leader dei GIP, Gruppi di Impegno Politico del Banco di Napoli che appoggiavano e finanziavano la campagna elettorale di esponenti di spicco della Democrazia Cristiana. Mio padre era considerato la promessa della DC partenopea alla fine degli anni Settanta. Ed era molto benvoluto da elettori e amici del partito. Questa sua popolarità lo rese inviso ad alcuni compagni di partito che, per toglierlo di mezzo, lo accusarono di frode. Erano anni violenti, con il rapimento di Moro, il suo assassinio e la strage di via Fani ancora vivi nella memoria e nei fatti. Mio padre ebbe paura. Capì di essere solo e di non poter nulla contro un sistema che faceva quadrato per eliminarlo. Così divenne latitante. 

Quale canzone si avvicina di più a questo titolo? 

Ce ne sono tante di canzoni in questo romanzo. Ma vorrei citarne almeno due: Romeo and Juliet dei Dire Straits e Generale di Francesco De Gregori.

Enrica, Grazie per avermi donato questo tempo di riflessione e arricchimento. Lunga vita alla tua Cinquecento!

Grazie a te, Gabriel, per le tue bellissime domande. È stato un vero piacere!

A cura di Gabriel Uccheddu

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