Intervista a Enrico Franceschini




A tu per tu con l’autore


 


Ciao Enrico, ti ringrazio anche a nome di ThrillerNord per aver accettato di partecipare a quest’intervista.

Come mai hai dato molte delle tue coordinate biografiche al tuo detective Andrea Muratori detto “Mura”? Lo consideri il tuo alter ego?

“Flaubert disse ‘Madame Bovary sono io’: ogni romanzo è almeno in parte autobiografico. Nel mio caso sono andato più in là: sì, Mura è il mio alter ego. Entrambi siamo stati corrispondenti esteri in giro per il mondo per tutta la vita, entrambi siamo andati in pensione a poco più di 60 anni con un po’ di anticipo per le esigenze aziendali di alleggerire le spese. La differenza è che io sono rimasto a Londra, perché il mio giornale mi ha chiesto di continuare a collaborare, mentre Mura ha ricevuto un benservito ed è tornato in patria. La finzione letteraria mi permette di immaginare la vita che una parte di me avrebbe desiderato fare: tornare alla terra natia, vivere in un piccolo borgo sul mare, ritrovare i vecchi ex-compagni di scuola e passare tutto il tempo con loro”. 

In “Ferragosto” ci sono degli indizi che portano al mitico tesoro di Mussolini che sarebbe stato nascosto a Riccione. Sei partito da un’esigenza narrativa oppure da attento cronista hai captato qualche voce in merito?

“Sono partito dal mistero sull’oro di Dongo, il misterioso tesoro che il duce portava con sé quando fu catturato. Sappiamo che fine fece Mussolini, ma non che fine fece il tesoro: ci sono tante ipotesi, qualcuno pensa addirittura che non sia mai esistito. Su questa storia vera ho inserito un interrogativo puramente romanzesco: Benito era romagnolo, così come sua moglie Rachele, e fine al 1943 trascorsero le vacanze estive nella villa di loro proprietà in riva al mare a Riccione. Possibile che entrambi, e in particolare lei, da vera ‘azdora’ come si dice in Romagna, ovvero ancora e timone della famiglia, non avesse pensato di nascondere un tesoro nella casa di Riccione, pensando che dopo la guerra avrebbero potuto conservarla e che Mussolini, dopo l’arresto l’8 settembre, magari sarebbe stato in seguito rilasciato? Anche questa è un’ipotesi senza risposta, come il mistero dell’oro di Dongo: per sapere se l’oro di Riccione esiste o no, e chi eventualmente l’ha trovato, bisogna arrivare alle ultime pagine del mio libro”.

Dopo “Bassa Marea” e “Ferragosto” hai in cantiere un nuovo episodio della saga di Andrea Mura e i suoi compagni, autodefinitisi “tre moschettieri”?

“Sì, ce l’ho: quattro amici, quattro stagioni, quattro romanzi, per cui dopo la primavera di ‘Bassa marea’ e l’estate in cui è ambientato ‘Ferragosto’, ho in mente altri due volumi, uno che si svolge durante l’autunno e l’altro durante l’inverno”.

Come giornalista hai girato il mondo ma hai deciso di ambientare i gialli con Andrea Muratori nel cortile di casa, la Romagna. Avevi nostalgia di questo territorio così affascinante e seducente?

“Sì, ne avevo e ne ho grande nostalgia. Come ho detto, una parte di me sogna di tornarci: è il mito di Ulisse che ritorna a Itaca, presente in ogni animo umano, il desiderio di ritrovare le proprie radici. La Romagna per me è la California italiana, una terra e un popolo in perenne rinnovamento senza perdere il contatto con le tradizioni. Ma un’altra parte di me si domanda se Ulisse, dopo un po’ di tempo passato a Itaca, non si sarebbe annoiato un po’, desiderando tornare a incrociare ciclopi, sirene e la maga Circe, navigando mari pieni di avventure. Per questo Mura, giornalista in pensione, si caccia continuamente nei guai facendo il detective dilettante: gli manca l’adrenalina del suo mestiere e supplisce salvando damigelle in pericolo”.

Tanti giornalisti di Repubblica, come te, hanno scritto gialli e penso a Corrado Augias, Valerio Varesi, Gianni Mura, Gianfrancesco Turano, Pietro Del Re, Piero Colaprico e sicuramente ne dimentico molti. Come spieghi la predisposizione di Repubblica ad essere “L’università del crimine”, per citare un romanzo di Petros Markaris?

“Penso che non solo Repubblica, ma ogni giornale, grande e piccolo, possa essere una buona scuola per scrivere gialli. Fare il reporter ti insegna a scrivere in modo chiaro e avvincente, fornendo nel contempo tante storie reali degne di un romanzo. Per questo molti cronisti hanno un libro nel cassetto e spesso si tratta di un giallo”. 

Dal tuo privilegiato osservatorio londinese, hai modo di conoscere la produzione giallistica inglese prima di noi in Italia. Quali sono le novità interessanti uscite recentemente?

“Ormai l’industria editoriale funziona a livello internazionale: è raro che un romanzo, specie se vale, arrivi in Italia molto dopo la pubblicazione all’estero. Perciò mi limito a segnalare due gialli anglosassoni, diversissimi tra loro, che mi sono molto piaciuti nell’ultimo anno: ‘Delitto d’inverno’ del grande scrittore irlandese John Banville, all’altezza del miglior Simenon, è ‘ Il club dei delitti del giovedì’ dell’inglese Richard Osman, valido erede del Poirot di Agatha Christie”.

Quali sono i tuoi giallisti preferiti, in assoluto e quali nell’ambito del noir nordico?

“Uno l’ho già citato: Georges Simenon, specialmente nei romanzi in cui non compare il commissario Maigret, ma beninteso trovo formidabili anche questi. Un altro è Raymond Chandler, una prosa inimitabile. Quanto al noir nordico o scandinavo, rimango un fan del precursore del genere, Stieg Larsson. E ho divorato da spettatore televisivo tre serie di questo filone: la svedese ‘Wallander’, che è la mia preferita, la bellissima co-produzione dano-svedese ‘The Bridge’ e la danese ‘The killing’, consiglio di guardarle a chiunque se le è perse”. 

Enrico Franceschini 

A cura di Salvatore Argiolas 

 

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