Intervista a Enrico Pandiani




A tu per tu con l’autore

A cura di Stefania Ceteroni

 

Sappiamo già in partenza (lo leggiamo in copertina) che quella della squadra Ventura è una serie. É nata così fin dall’inizio o strada facendo i personaggi hanno reclamato più spazio?

La banda di Max ventura è nata da un’incontro con Rizzoli, davanti a un piatto di sushi. C’era l’idea di mettere in piedi una serie nuova che avesse inizio nella collana Nero Rizzoli. Les italiens e Zara Bosdaves erano stati in qualche modo ereditati, mentre Max e compagni nascono proprio per comparire nella collana. L’idea è quella di fare cinque romanzi. A Fuoco ne seguiranno altri quattro nei quali, a turno, Max, Sanda, Abdel e Vittoria saranno preminenti e racconteranno anche la loro storia prima dei guai con la giustizia. Infine, temo che Numero Uno li lascerà alla loro nuova vita di liberi cittadini.

 

Sta già lavorando alla prossima avventura?

Sì, mi sto documentando su un’idea che mi piace molto e che credo sarà piuttosto dirompente e controversa. Mi è necessaria una grossa parte di documentazione per raccogliere tutto il materiale relativo alla vicenda che intendo raccontare. In questo secondo romanzo, a tenere le redini di una storia che la calerà in un universo di sopraffazione e violenza psicologica sarà Vittoria. Sapremo così da dove arriva e come ha concepito sua figlia Matilde.

 

I quattro protagonisti sono molto diversi tra loro per età, estrazione sociale, etnia ma queste diversità diventano punti di forza nel completarsi e dare vita ad una squadra ben affiatata: da dove le è arrivata l’ispirazione per ognuno di loro? Fin dall’inizio avevano queste caratteristiche o le loro personalità si sono affinate strada facendo?

Come sempre l’idea iniziale era piuttosto solida. Quando ho cominciato a buttare giù la traccia, le loro età ed etnie e l’estrazione sociale erano già ben definite. Ho una biografia per ciascuno di loro, quindi so tutto e questo mi è servito per affinare i loro caratteri, le personalità e le particolarità di ciascuno. Come sempre, le differenze, se accettate, sono un punto di forza. La relazione che esisteva, e ancora c’è fra loro, fa sì che anche in un momento drammatico come quello in cui si vengono a trovare riescano a stringere i legami e a superare le difficoltà.

 

Di gran fascino e piena di mistero la figura dell’uomo che tira le fila dell’indagine. Si è ispirato a qualcuno in particolare o Numero Uno è esclusivamente frutto della sua fantasia?

Numero Uno è stato da subito il personaggio scatenante, il fulcro attorno a cui gira tutta la vicenda. Al contrario di ciò che si può pensare, non è ispirato dall’omonimo personaggio di Alan Ford, fumetto che ho letto pochissimo e che non mi piaceva. Avevo piuttosto in mente alcuni vecchi attori francesi segnati dal tempo, con i capelli bianchi, le facce da mastino e un’eleganza quasi dozzinale nei loro vestiti impeccabili, ma non costosi. Vorrei mantenerne per quanto possibile l’aspetto misterioso e sfuggente.

 

I legami familiari hanno fatto tremare i quattro protagonisti nel momento in cui hanno dovuto scoprire le carte sul loro passato. Avere dei legami, per membri di una squadra di questo tipo, può essere un ulteriore punto di debolezza o, al contrario, la necessità di difendere anche persone care oltre che sé stessi rende Max e gli altri più forti?

I legami che hanno costruito negli anni di “serena” latitanza, le persone che si sono trovati accanto e che amano, rappresentano l’ostacolo perfetto, il motivo che li inchioda alle proprie responsabilità impedendo loro di fuggire perdendo tutto. Nel momento in cui Numero Uno li mette di fronte a una scelta, la galera o l’obbedienza, sanno di non poter scappare e capiscono di essere costretti ad affrontare la sfida cui li sottopone il vecchio. Le persone care rappresentano le loro radici, il punto d’arrivo delle loro esistenze. Non possono più rinunciare. Devono confessare e cominciare il percorso di redenzione.

 

Se dovesse pensare ad una trasposizione cinematografica, quali volti darebbe ai suoi personaggi?

La bellezza di un romanzo è che se anche lo leggiamo in cinquanta o cento o centomila, ognuno di noi vedrà i personaggi a modo suo, se li costruirà a piacere, li farà diventare i suoi personaggi. Per questo non penso mai a cinema o televisione, quando scrivo. E per lo stesso motivo non voglio dire quale attore o attrice vedrei nei vari ruoli. Anche perché non esiste al momento un attore o un’attrice italiana che possa recitare i miei personaggi come piacerebbe a me.

 

A quale tipologia di lettore ha pensato nel proporre una storia di questo tipo?

In linea di massima io mi rivolgo a un lettore che ami i romanzi di genere, ma che a una storia chieda qualcosa di più che un semplice giallo. Gli argomenti che scelgo di raccontare e nei quali calo i miei personaggi sono sempre di mio personale interesse. Immagino che anche i miei lettori amino approfondire questi argomenti che sono sempre molto sociali e riguardano le città e le vite che si muovono attorno a noi. Sono molto colpito dalla difficoltà di vivere, dalle tensioni e dai contrasti che le persone sono costrette ad affrontare in un mondo che non aiuta nessuno. Su questo tipo di vicende, costruisco le mie storie.

 

 

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