Intervista a Franco Matteucci




A tu per tu con l’autore


L’ambientazione dei gialli dell’ispettore Santoni corrisponde ad un paese che esiste davvero. Lei è nato nelle vicinanze di questo paese? Perché ha scelto Valdiluce per ambientare i suoi romanzi?

Sì, l’Abetone dove ho trascorso la mia gioventù. Ho amato quel luogo fino al punto di ritenerlo l’ambiente più affascinante per ambientare i miei gialli. In realtà è su quelle montagne che ho imparato a mangiare pane e neve e a incontrare personaggi simili a Santoni.

Di solito il paesino di montagna risulta tranquillo anche perché non è alta la densità di abitanti, invece nella serie che vede come protagonista l’ispettore Santoni in questi paesi si verificano cruenti omicidi. Perché questo paradosso?

E’ normale in un giallo che scegliendo un ambiente piccolo accadano numerosi eventi criminali. In realtà è un palcoscenico immaginario, dove si svolgono tanti racconti che io ho sempre definito “favole gialle”. Basta pensare a Cammilleri o alla serie tv di Barnaby, ambientata nella campagna inglese, che è un po’ il mio punto di riferimento.

I suoi romanzi sono influenzati da notizie di cronaca o magari dalla lettura di determinati libri o è frutto della sua creatività?

No, solo frutto della fantasia che nella vita mi ha sempre assistito, tra l’altro non usando mai droghe – come d’altra parte fa l’ispettore Santoni che in un episodio ha rifiutato l’offerta di uno spinello – ma al massimo mangiando la confettura di mirtilli dell’Abetone, a cucchiaiate. Non per niente ho dedicato “Il mistero del cadavere sul treno” alla marmellata di mirtilli.

L’isolamento dal caos e dallo smog cittadino di Lupo Bianco, che ama la vita di montagna, è un riflesso del suo io o del suo passato?

Certamente! C’è nell’ultimo romanzo un riferimento reale alla mia infanzia, di quando la neve sommergeva il paese e restava per giorni isolato. Erano i momenti più belli, anche perché le scuole venivano chiuse.

Com’è  nata la passione per il giallo? E come considera questo genere che molte volte viene soffocato da thriller scritti per attirare lettori senza curare i particolari?

E’ più una professione che una passione, visto che sono giunto al settimo episodio. E’ stato il mio editore Raffaello Avanzini a spingermi a scrivere un giallo. In realtà è una bella sfida e credo che grazie alle regole ferree che richiede un poliziesco ci guadagni la scrittura e anche la mia fantasia, spesso troppo esuberante, che viene imbrigliata dall’indagine. Vista la fatica che si prova a scrivere un giallo, non trovo alcuna diversità dall’impegno di un romanzo. Sono sempre un modo di raccontare se stessi e il mondo che ci circonda.

La spia applicata a Valdiluce per origliare e osservare ignari utenti è una forma di denuncia nei confronti della tecnologia che non lascia respiro agli ignari umani?

Sono d’accordo con Santoni quando dice che la privacy non esiste più e dovrebbe essere tolta dal vocabolario. Ma d’altra parte spesso molte indagini si risolvono grazie a queste telecamere che sono ovunque.

La Forest Therapy trattata nel romanzo vuole avere come fine il sensibilizzare le persone che ancora non hanno capito quanto sono importanti gli alberi e le piante in generale?

Sì. La Forest Therapy è diventata di gran moda in tutto il mondo, ma in realtà racconta la stessa emozione di quando da bambino mi infilavo in un bosco e dalle ragnatele che ti cadevano sul viso capivi che da lì non c’era passato nessuno da molto tempo. E veniva un brivido quando sembrava che gli alberi ti stessero osservando.

Ha  mai letto dei thriller nordici? Se li ha letti, è riuscito a trovare un autore preferito o anche più autori preferiti? Quali?

No, però in casa c’è mia moglie che li legge tutti e talvolta me li racconta.

Franco Matteucci

Marianna Di Felice

 

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