Intervista a Gianni Marchetti 




A tu per tu con l’autore


Benvenuto, grazie per aver accettato questa intervista

Grazie a Thrillernord e a Patrizia Argenziano che ha letto e recensito il mio romanzo con altrettanta passione. 

Innanzitutto complimenti per questo romanzo scritto con tanta passione, passione che si percepisce ad ogni pagina. Il tuo è un bagaglio culturale importante, ex docente di storia e filosofia, per questo noir avevi a disposizione una vastità di periodi storici su cui lavorare, come mai la tua scelta è caduta proprio sul secolo scorso, in particolare su quegli anni settanta-ottanta tanto amati ma anche pieni di contraddizioni e problematiche sotto molti punti di vista?

Ho esordito nell’editoria ufficiale con la poesia (La voce dei grandi edifici, Feltrinelli 2015) ma tutto quello che ho scritto in prosa (una raccolta di racconti e il mio precedente romanzo “Citizen band”, Morellini, 2018) è ambientato negli anni a cavallo tra ’70 e ‘80. Credo sia stato un periodo importante per la nostra storia, sia in senso negativo che positivo. È vero che c’è stato il terrorismo, ma è anche vero che  sono state varate molte riforme decisive per la società, il costume, la vita quotidiana delle persone: la legge sul divorzio,quella sull’interruzione volontaria della gravidanza, la “legge Basaglia” sull’abolizione dei manicomi e non ultima, perché per essa si batte mio Ispettore Cascione, la Riforma della Polizia con la sua smilitarizzazione e l’ingresso delle donne in tutti i settori (prima della Riforma le donne si occupavano solo dei casi in cui erano coinvolti dei minori o della prostituzione). Da reparto militare a polizia civile al servizio dei cittadini. Molti fenomeni di costume sorti negli anni settanta/Ottanta hanno riflessi e conseguenze anche nell’Italia di oggi, nel bene e nel male. Io cerco di individuare le analogie e le differenze tra il mondo di ieri e il mondo di oggi. Per esempio: gli acquisti compulsivi dell’Ispettore Cascione sul catalogo Postalmarket con il postino che recapita i pacchi a casa non sono il prototipo degli acquisti on line di oggi? Le chiacchierate notturne di Ermete Cherubini ( protagonista di Citizen band) con il suo rudimentale trasmettitore sui 27 Mhz della Banda cittadina, non somigliano alle chat sui social di oggi? E si potrebbe continuare. In quegli anni sopravviveva la memoria di una Italia più arcaica e sorgevano prepotenti spinte verso la modernità o la modernizzazione o addirittura la post-modernità. E poi è un periodo che ho vissuto di persona e quindi me lo ricordo bene.

Un romanzo, un insieme di dettagli che prendono forma pian piano dando vita a una pellicola che scorre davanti ai nostri occhi regalandoci uno spaccato di quei tempi: le manifatture, i rappresentanti che viaggiavano su e giù per l’Italia senza cellulari e senza computer, i viaggi in treno, il Luna Park. Cosa rappresenta per te tutto questo?

Prima di tutto rappresenta la mia giovinezza, i miei vent’anni (sono nato nel 1955). Da studente universitario, dal ’75 al ’79 (anno in cui mi sono laureato) vivevo in una pensione a Torino: una Torino ben diversa dalla bella e vivace città che è oggi. Una Torino cupa in cui quasi ogni giorno uomini innocenti venivano assassinati o “gambizzati” dalla furia ideologica dei tempi. Appena laureato, con una scelta apparentemente bizzarra, invece di rimenere nell’alveo delle professioni intellettuali, ho scelto di guadagnarmi da vivere facendo il rappresentante di maglieria per una importante ditta del settore. L’ambiente era veramente difficile, competitivo e le regole del commercio a quei livelli erano davvero spietate, soprattutto per me che scendevo dall’Iperuranio platonico, dal mondo delle idee, per confrontarmi con la realtà, decisamente più prosaica e dura. Fare il rappresentante significava sopportare lunghe attese, girare il centro portandosi appresso pesanti valige di campionario, sopportare lunghe ore in auto e spesso subire umiliazioni.  Non vorrei esagerare, ma qei cinque anni (dal 79 all’83) sono stati per me  un po’ come la Siberia per Dotoevskij. Il paragone è esagerato naturalmente, anche perché almeno io ero pagato bene. Comunque nell’ ‘83 accettai la prima supplenza e per trentacinque anni ho fatto l’insegnante e mi è piaciuto molto. Però quell’intermezzo è stato utile e mi ha tra l’altro permesso di scrivere “Romanzo ferroviario”.

Che tipo di lavoro si nasconde dietro a un noir che intreccia “fantasia” e realtà di un certo calibro, per esempio, appunto, con eventi politici importanti e stragi?

La letteratua è questo, credo. Realismo condito dall’immaginazione. Il ruolo dell’immaginazione è fondamentale nella letteratura come nella vita, che nella sua cruda nudità sarebbe insopportabile. Quindi sentimenti, creazione della bellezza, sogni, anche illusioni  e soprattutto un pizzico di humour trasformano la quotidianità, apparentemente banale, in una storia che viene voglia di raccontare e di ascoltare. È un mix che richiede doti di equilibrio e sensibilità. Mescolare tragedia e commedia non è facile, ma la vita fa questo ogni giorno, spesso in modo sproporzionato, arbitrario e privo di senso esplicito. Con la letteratura cerco di farlo in modo più equilibrato e con un significato percepibile. Spero di esserci riuscito.

Fondamentale in queste pagine è sicuramente la caratterizzazione dei personaggi. Penso a Jerry Malnati il rappresentante, alla figura di Grigorij che ho sempre negli occhi nella sua tutina rossa, alla signora Hilde, potrei nominarli tutti. Rido e piango contemporaneamente, un mondo spietato dove, in qualche modo, i singoli nuotano affannosamente cercando di non affogare. In questa corsa maledetta il lettore riesce anche a sorridere, è importante vero?

Certo. Per citare Giorgio Manganelli, si tratta di “ Hilarotragoedia”, di “poemi eroicomici” che il linguaggio deve saper creare. Tutta la mia scrittura in versi e in prosa è intrisa di “saudade” che non è solo tristezza, ma anche nostalgia mista ad allegria, grazie e dolcezza. È il corrispettivo del “blues”, piccole tragedie quotidiane, fatica di vivere, rimpianti per amori perduti, e guizzi di ironia e perfino allegria, tonalità minori e maggiori mescolate insieme. Spesso siamo malinconici perché abbiamo nostalgia di una felicità che pure abbiamo provato e rievochiamo. Se non avessimo provato gioia per la vita, per l’amore, per la libertà, non saremmo tristi quando momentaneamente non ne possiamo godere. Ma rimpiangendoli, li rifacciamo presenti e ne assaporiamo ancora il gusto, sperando che ritornino. La letteratura, secondo me, dovrebbe svolgere questo lavoro di rimescolamento di riso e pianto, per non dire di trascendenza o sublimazione del vissuto. Jerry Malnati è allegria, merculiarità, intraprendenza, ma  fa anche un po’ pena, Hilde è resistenza, ribellione ed energia incrinata dai sentimenti, dal dolore sopportato in passato, dalla delusione per il presente. Grigorij nella sua ridicola tutina è prestanza fisica minacciata da debolezza di carattere. Cascione è eroico, sbruffone, saggio e ridicolo nello stesso tempo. Sono, credo, tutti personaggi “rotondi”, con luci e ombre. Come tutti noi.

Tra tutti i protagonisti, sei legato a qualcuno in particolare? Forse al brigadiere Cascione?

Cascione è il cliché al quadrato, messo lì apposta in mezzo a personaggi più complessi e originali. È come un capo di abbigliamento convenzionale indossato su un vestito trasgressivo come un tocco di conformismo (In un Noir un ispettore ci vuole…) che esalta la trasgressione del resto. Io amo molto Gadda e forse il mio Cascione è una reminiscienza del commissario Ciccio Ingravallo di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”. Non so, Cascione è nato così, un po’ senza volerlo, come capita a certe “criature” che vengono al mondo per caso, ma poi diventano importanti. Molti lettori mi hanno confessato di amarlo. È rude, ma anche romantico e cortese, illuso sul suo ruolo da eroe e un po’ pasticcione, ma efficace nella soluzione dei casi. Mi sono accorto tardi che il nome “Cascione” ha una certa assonanza con “Chisciotte” l’ingenioso hidalgo di Cervantes. L’Ispettore Cascione è Don Chisciotte e Sancio Panza insieme. Io, devo dire la verità, i miei personaggi li amo tutti e li curo con la stessa attenzione: Giovanna la tabaccaia/contrabbandiera, Attilio il cinico giornalaio, il facchino ficcanaso Alcide Paulli, il loquace appuntato Barreca, il severo maresciallo Palombi l’enigmatica Albertine… Nei miei noir aspiro a dei romanzi corali, un po’ sudamericani.

Impossibile non notare un altro dettaglio che caratterizza questo romanzo e lo impreziosisce: una passione per i treni o, comunque, una buona conoscenza del sistema ferroviario. C’è verità in questa mia sensazione?

La conoscenza dei treni me la sono guadagnata con la documentazione. In romanzi ambientati nel passato, assieme alla memoria conta molto la ricerca e la consultazione attenta dei documenti. Questo vale per tutti particolari: leggi, eventi, abbigliamento, lessico, cultura materiale. Ciò richiede del tempo, ma non si deve e non si può sbagliare (anche se avolte capita…) Devo essere sincero: non ho mai avuto la passione per i treni o i plastici dei trenini. Anche se il modo di viaggiare che preferisco è in treno. Ho scoperto però che nel mondo ci sono milioni di appassionati di treni veri o in miniatura. I siti che riguardano i treni sono frequentatissimi. Ho voluto fare un regalo a questi appassionati. Il treno affascina grandi e bambini. Io poi vivo da sessant’anni a qualche metro dalla ferrovia, forse i treni sono entrati nel mio inconscio così, sentendoli sferragliare di giorno e di notte. Poi siccome il mio “eroe” è un agente della Polfer (polizia ferroviaria), non posso non parlare di treni. Ricordo poi che i treni  negli anni ‘70/’80 sono stati bersaglio di attentati atroci che nel mio romanzo, dovutamente, cito.

Se dovessi scrivere un nuovo libro a quale periodo storico ti affideresti?

Uno sarebbe il terzo della trilogia di Cascione cominciata con “Citizen Band” che era ambientato nel ’78. Quindi parlerei di fenomeni e avvenimenti di quegli anni, ad esempio la già citata “Legge Basaglia” sulla chiusura dei manicomi. L’altro sarebbe la storia di una famiglia dagli anni ’30 alla fine degli anni ’60. Con alle spalle la guerra e di fronte il miracolo economico (miracoloso solo per certi aspetti). La scaramanzia lo vieterebbe ma devo dire che sto già lavorando su due tavoli, cioè su questi due progetti in cui la memoria storica è di nuovo l’humus derra narrazione.

Una curiosità: hai un libro in lettura in sul comodino o un libro che ti piacerebbe leggere e che non hai ancora letto?

Con i libri sono bulimico e con il sonno insonne, per cui il mio comodino è sempre carico di volumi. L’ultimo libro che ho letto con piacere è “La vergogna” di Annie Ernaux, che guarda caso parla della sua infanzia negli anni ’50. Di nuovo la memoria. Devo finire “L’inverno di Frankie Machine” di Don Wislow, non solo per il contenuto, ma anche per la tecnica narrativa che mi ha sorpreso e affascinato. Mi piacerebbe leggere l’autobiografia di Marina Abramovic.  Se leggerete (e se pubblicherò…) il terzo volume della saga Noir dell’Ispettore Cascione, capirete perché.

Grazie per questa intervista e per questo Romanzo ferroviario che mi ha preso il cuore

Grazie a te e a Thrillernord per l’attenzione prestata al mio lavoro.

Un abbraccio

Gianni

A cura di Patrizia Argenziano

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