Intervista a Graziano Gala




A tu per tu con l’autore


 

Salve Graziano e benvenuto in Thrillernord. Sono un po’ emozionata perché ancora mi porto dietro le tante sensazioni provate durante la lettura del tuo romanzo. Per prima cosa vorrei chiederti come è stata la stesura del libro. Avevi tutto chiaro in testa o ti sei lasciato trascinare man mano dalla scrittura e dall’evolversi della storia? 

Con gli occhi chiusi, a cuore aperto. Fidandomi: non guidavo io, ero solo lo strumento. Ho chiesto a Giuda di affidarsi, di non avere paura. Ho giurato che non avrei tradito con la croce sul cuore: giuramento d’onore. Quanta paura ad andare con lui, quanto male le botte, che bello ridere come disperati. Non potrò mai dimenticare. Conoscevo solo il posto definitivo: sapevo sin da subito dove saremmo finiti, il resto è stato tutto un’avventura. Non sarò mai abbastanza grato di aver avuto questa opportunità. Per come la vedo io sono le storie a scegliere i narratori, mai il contrario. Altrimenti non sono storie, sono chiacchiere.

Ti sei fatto ispirare da persone realmente conosciute o i personaggi sono tutti frutto della tua immaginazione? 

La mela – purtroppo – non cade mai lontano dall’albero. In padri violenti io tengo master, dottorato e cicatrici. Tossici, maledetti, convinti di essere la misura dell’altrui vita. Ad Ammonio vogliamo tutti bene: Ammonio è esistito davvero. Non si chiamava Ammonio però, si sarebbe offeso. Io penso che ognuno di noi tenga n’Angiulina in giro per ‘sta terra che non vede l’ora di recuperare e riabbracciare. I cattivi poi sono ovunque, anche se per fortuna non sono la maggioranza: ecco, forse loro, così goffi e maldestri, vengono dall’immaginazione. Saverio ero io che scappavo: questo non l’ho mai detto a nessuno. Quanta paura: te la racconto e tremo.

È stata una scelta molto coraggiosa, la tua, quella di scrivere un romanzo interamente in dialetto. Un dialetto particolare che arriva direttamente al cuore del lettore. Come mai hai deciso di procedere proprio in questo modo? 

Niente coraggio: sincerità. In italiano non sarei stato in grado, specie nell’italiano ortopedico (definizione stupenda che ho appreso da Mario Capello) che usano in tante opere. Ci voleva una lingua onesta, aderente al protagonista, con un odore addosso. Non asettica, plastificata, da cartolina. La vita di tutti noi è sporca, storta, compromessa. Nessuno di noi parla come il quadro elettrico del nostro appartamento. Mi piaceva l’idea di esplorare quello che si può dire davvero, l’idioletto quasi di un personaggio, di un uomo che gira per un paese senza denti e senza nome. Coraggiosa è stata minimum fax – a loro la mia gratitudine eterna – a crederci. Coraggiosi siete voi, che ci volete bene anche se non siamo profumati, anche se siamo difettosi. Noi niente coraggio, noi siamo dei disgraziati, però se ci volete bene restituiamo cento e mille volte. 

Ho notato che, per assurdo, le poche cose dette in italiano perfetto sono quelle alla fine più fraintese. Penso, ad esempio, a Giuda nel negozio di elettrodomestici. Può esserci un messaggio anche in questo? 

Sì, siamo prigionieri di vergogna tutti, nel quotidiano. Ovvio che l’italiano debba essere lo strumento, ma a volte ci ingabbiamo in spirali assurde per un motivo semplice: abbiamo paura. La lingua può essere sempre la misura del disagio: più la complico, in alcune situazioni, più sto soffrendo. Giuda può parlare soltanto col cuore, il resto sono solo versi, quasi un mugolare d’animali. Non c’è distanza possibile per quelli che si vogliono capire: fosse pure solo per un sorriso, una carezza, degli occhi ben aperti. La bontà si misura in sillabe, è per la spocchia che servono i grandi discorsi.

Ci sono vari abbracci nel testo. Gli abbracci con Turi (il mio amato Turi Bunna), con Ferlinghetti… abbracci come patti di amicizia e di grande solidarietà. Abbracci d’amore. Probabilmente lo metto in evidenza perché ultimamente mi sono mancati molto, causa pandemia. Cosa è per te un abbraccio? 

Un qualcosa che mi terrorizza. Mi hanno fatto cose brutte, è difficile toccarmi. Però quando mi apro, quando decido, do certi abbracci che puoi sentirti accompagnato/a per tutto il giorno. Un abbraccio è una questione delicata: io ti espongo la mia gabbia toracica. Dentro c’è il cuore, se me lo sgualcisci poi cosa facciamo? Giuda ha bisogno degli abbracci, non gli sono stati concessi mai. Ha bisogno di sentirsi accettato, di capire che nel meccanismo lui non è una lancetta fuori tempo, ma che è parte integrante di un qualcosa, di un respiro comune. A sentirsi l’impurità, la macchia da cancellare, l’errore si può anche morire. Ogni volta che Giuda abbraccia torna uomo, cessa di essere bestia, materiale di scarto. Le poche volte che io abbraccio mi ricordo che non tutte le persone sono state create per fare del male, anzi che al contrario la provvidenza esiste e non è da cercare in mezzo alle nuvole ma per strada. 

Quali altri progetti hai in cantiere, se si può dire? 

Un bambino per strada che bussa a ogni porta, nessuno nel paese che voglia aprirgli, tutti che si chiedono da dove sia spuntato fuori. Ci vuole tempo però, stiamo iniziando a parlarci solo ora. 

Per finire una domanda quasi di rito, che ci permette di allungare le nostre già lunghe liste di letture da fare. Quali sono i tuoi autori preferiti, quelli da cui ti senti ispirato e in cui ti rifugi quando vuoi evadere un po’? 

Antichi, moderni e contemporanei, la letteratura è viva e quella italiana perfino in salute. Céline farebbe arricreare chiunque, perché le cose o si scrivono bene o non si scrive proprio. Dostoevskij con i monologhi spacca le ginocchia a tutti in qualsiasi tempo. Perec, consigliatissimo, con la paralisi dell’uomo e la possibilità di scoprire tutto ciò che accadrebbe se ti fermassi. Tesson, Nelle foreste siberiane, oggi e sempre. E poi gli italiani: Arpino, tutto ciò che si trova è consigliato. Cassola, maltrattato ingiustamente. La Capria. Bianciardi. Per la poesia Toma e Pierro. E poi i contemporanei: in Puglia sta scorrendo sangue serio, tra Argentina, D’Amicis, Di Monopoli e Donaera. Spiedo per le migrazioni, Palomba per l’esplorazione dell’umano. Bonazzi per il trauma. Stassi, un maestro. Giovagnoli, qualsiasi cosa scriva. Forgione. Mirabelli, clamorosa.

Grazie mille. Per la gentilezza, la pazienza e per “Sangue di Giuda” che, ripeto continuamente a costo di risultare fastidiosa, è stato un grande regalo. 

 

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