Intervista a Francesca Diotallevi




A tu per tu con l’autore


 

Dopo otto anni dall’esordio, torni a pubblicare questo romanzo con Neri Pozza. Romanzo che è stato il tuo esordio, davvero giovanissima, ma già decisamente maturo: aveva già riscosso un ottimo successo nella sua prima stesura. Come è stato che hai deciso di rimetterci mano?

Da tempo avevo il desiderio di poter rimettere mano a questa storia. Quando è venuto il momento di ripubblicarlo il mio editore mi ha affiancato un bravissimo editor, che è stato in grado di farmi vedere il romanzo sotto una nuova luce. Lavorare con lui è stato fondamentale per dare alla storia un equilibrio narrativo che prima non possedeva, sono molto soddisfatta del risultato finale. È lo stesso libro, ed è totalmente diverso.

E come è stato questo processo (che io immagino molto difficile)? Com’era la Francesca di allora rispetto alla Francesca di oggi? La donna e la scrittrice? Come ti sei sentita?

In dieci anni la mia vita è completamente cambiata, e sarebbe inesatto dire che sono oggi la stessa persona di allora. Quando ho scritto Le stanze buie ero una neolaureata con poche prospettive, oggi sono una persona realizzata dal punto di vista professionale. Ma quando ho ripreso in mano il libro, ho scoperto di essere ancora la stessa, con gli stessi sogni, con le stesse passioni, e anche con le stesse paure.

I protagonisti principali de Le stanze buie sono due: il maggiordomo Vittorio Fubini, (un po’ mister perfezione) e Lucilla Flores, la padrona di casa, praticamente il suo opposto. A quanto pare gli opposti si attraggono? Avevi in mente un messaggio particolare da dare ai tuoi lettori?

Si dice che ogni scrittore, quando scrive, racconti se stesso: Vittorio e Lucilla rappresentano due poli opposti del mio carattere: la costante ricerca di perfezione e l’anticonformismo che spinge alla ribellione. Sono nati dalla pagina spontaneamente, senza grosse riflessioni a monte, senza messaggi da lasciare al lettore, se non quello che ogni lettore sceglie di cogliere da sé. I libri sono una faccenda estremamente soggettiva, è questo il loro bello.

Ci sono altri due personaggi molto importanti, in questo caso non persone: uno è sicuramente la casa, con le sue atmosfere cupe, le stanze buie, quelle chiuse, quelle silenziose, quelle in cui suonano campanelli invisibili o si vedono bagliori e ombre. E poi…l’Amore. Anzi, direi l’Amore disperato: il romanzo ne è immerso. Tutto molto gotico, senza dubbio. È un’epoca per te, o un movimento, o piuttosto un modo di essere, di vivere?

Nelle Stanze buie la casa è protagonista tanto quanto i personaggi, sì. È una casa che esiste per davvero, in cui ho vissuto e dove, in qualche modo, resta conservata la mia infanzia. Non ho scelto consapevolmente di scrivere un gotico, ma gli elementi che ho inserito nel romanzo lo portano di sicuro in quella direzione: tra queste pagine ci sono anche molti dei libri che hanno contribuito alla mia formazione letteraria. Per citarne alcuni: Jane Eyre, Il giro di vite, Malombra, Fosca… Le ambientazioni cupe mi affascinano da sempre, così come le storie d’amore tormentate. Forse era scontato che, nel momento in cui ho preso la “penna” in mano, io sia andata in quella direzione: era la strada di casa, in fondo.

Chiudo con un’altra domanda di rito: qualche cosa in scrittura o nel cassetto?

Sì, c’è qualcosa in scrittura, di cui però non dico nulla per scaramanzia!

Francesca Diotallevi

Sara Zanferrari

 

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