Intervista a Maddalena Fingerle





A tu per tu con l’autore


 

Italo è un nome che ti porta fortuna! Vinci il Premio Italo Calvino con questo romanzo, che poi viene pubblicato dall’editore Italo Svevo, e parla di lingua italiana, anche se non solo, ma parecchio. Insomma, il gioco con le parole sembra essere uscito dal libro per investire anche la vita reale e, direi, portarti bene!

Sono abbastanza superstiziosa non solo da credere che sia vero, ma anche da pensare che parlarne possa influenzare la fortuna…

Il protagonista della tua storia più che Paolo Prescher, mi sembra sia la lingua. E in verità, oltre alla lingua, troviamo la madre, la madre che gli sporca la lingua, e il concetto di madrelingua (tedesco o italiano, o dialetto tedesco o cosa?). Chi è il vero protagonista?

Sono d’accordo: la lingua è sicuramente protagonista del romanzo. Lo sono soprattutto le parole, in un mescolamento ossessivo di piani per cui personaggi e luoghi, voci e lingue diventano un tutt’uno. La madre gli sporca le parole, gli fa male, ma è uno spostamento. Paolo dice che la madre gli fa male perché gli sporca le parole, noi potremmo pensare che lei gli sporchi le parole perché gli fa male, ma il punto è che è tutto sullo stesso piano per il protagonista (e quindi anche per chi legge), solo che il linguaggio è il luogo in cui riesce a muoversi, in cui può esprimersi. È anche evasione e mascheramento: parlare di parole per Paolo è più facile che parlare di sentimenti, tant’è che quando deve farlo ricorre alla letteratura e alla citazione.

Un altro protagonista è Bolzano e le sue problematiche di città bilingue che si interroga sul proprio bilinguismo: esiste un dialetto tedesco, ma non esiste un dialetto italiano. C’è una fantomatica dichiarazione di appartenenza linguistica da compilare pena il non trovare lavoro. Cose così… E poi ci sono le montagne che l’opprimono, secondo Paolo, la chiudono. E anche qualche altro paio di questioni non troppo semplici. Insomma, sei stata coraggiosa ad affrontare temi tutto sommato scabrosi per la tua città. È pur vero che al momento vivi altrove, in Germania, tuttavia, non hai avuto un po’ di timore nel dipingere la tua città “madre” più negativo che positivo, un po’ come un amore-odio? E ti manca un po’ la tua città?

Non credo ci sia coraggio perché il piano del discorso è quello della finzione secondo il filtro di Paolo. Bolzano, nel romanzo, è la sua Bolzano, fittizia e deformata attraverso il suo sguardo. Infatti se nella prima fase adolescenziale la odia perché si sente oppresso e gli manca l’aria (sempre nell’ottica di un mescolamento di piani tra luogo, persone e lingua), nella seconda fase la riscopre come città bellissima che guarda con gli occhi di Mira, di cui è innamorato. In questo senso non può essere né una denuncia né un omaggio alla città vera.

Sul piano della realtà mi manca Bolzano nel senso che mi mancano le persone che ci vivono e che non vedo da tanto, ma nello stesso modo in cui mi possono mancare Roma, Alessano o Cortona.Paolo Prescher: il protagonista “ufficiale” del romanzo è una voce maschile, anagramma di “parole sporche”. Come mai la scelta del maschile?

Avevo bisogno di una voce lontana dalla mia e, per ottenere una distanza che mi permettesse di trovare un timbro deciso e che mi convincesse, ho scelto una voce maschile. Altrimenti, pensavo, l’avrei sentita troppo vicina a me e avrei rischiato l’identificazione durante la scrittura, si sarebbero creati dei cortocircuiti, ma forse era più una mia convinzione legata al periodo in cui stavo scrivendo il testo che una verità. Sicuramente mi affascina l’idea di fingersi altra/o, di indossare vesti fittizie e altrui per poter dire qualcosa, in questo caso l’abito maschile mi sembrava adatto e abbastanza distante da me da non crearmi problemi o fastidi.

Vincitrice del Premio Calvino 2020: come è andata? Ti sei iscritta tu o ti ha proposto qualcuno di farlo? E cosa hai pensato quando hai saputo di aver vinto?

Nel 2009 avevo sentito parlare del Premio Calvino e ne ero rimasta totalmente affascinata. Mi immaginavo piccole stanze colme di manoscritti e persone intente a scrivere le schede. Nel 2020 c’è stata la 33esima edizione. Il tre porta fortuna, se ripetuto ancora di più, ma vale un discorso analogo rispetto a quello di prima sulla scaramanzia. Mi sono iscritta, era la prima volta che inviavo un manoscritto, e mi ricordo che controllavo i dati dell’iscrizione, al telefono con mia madre che, con una foto dello schermo davanti, mi avrà confermato una quindicina di volte la mia data di nascita con una pazienza che davvero meriterebbe un premio. Quando ho saputo di averlo vinto non ero sicura di aver capito bene, ero in diretta, con un sorriso vero ma stampato e tirato, ero assolutamente incapace di rispondere a mezza domanda che mi si faceva e questo stato di ubriacatura e incredulità non mi ha ancora del tutto abbandonato.

Una curiosità: quanto ci hai messo a scriverlo? A trovare l’idea e poi a scriverlo proprio? Ce lo racconti?

L’idea di un personaggio che si lava lo sporco di dosso senza riuscirci mi è venuta durante una discussione con amici sul numero di docce accettabile durante una giornata. Qualche giorno dopo ci ho aggiunto le parole sporche e il nome del protagonista, quadri di Lucian Freud e la foto del modello di Mira. A partire da alcune teorie del colore, secondo le quali bisogna utilizzare i colori che si odiano per dipingere perché la creatività nasce dal dubbio, ho pensato che il mio protagonista dovesse odiare qualcosa, e ho aggiunto Bolzano, a partire dall’aspetto ombelicale del provincialismo e dal bilinguismo di facciata, esasperandoli nella distorsione di Paolo. Sulla base di questi elementi ho costruito una trama e ho utilizzato alcune parti di un vecchio tentativo di scrittura come base, per mantenere l’immagine dei colori (che è alla base anche della dicotomia sporco/pulito). Senza contare quel tentativo ci ho impiegato due o tre mesi di scrittura, infatti è stato fondamentale lasciarlo decantare per riprenderlo con più distanza in fase di editing.

Maddalena Fingerle

A cura di Sara Zanferrari

 

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